Le nuvole erano nascoste nei suoi occhi

dal n. 11 di Kafasına Göre (anno 2016)

L’autobus era arrivato sano e salvo. Per quanto fosse rosso il suo vecchio corpo, non era un rosso che trasudava salute dalle sue guance. Il suo corpo lungo con il suo soffietto simile a una fisarmonica, piuttosto che melodie balcaniche, ad ogni frenata faceva ballare lentamente l’halay alle persone al suo interno e persino il bar di Erzurum nelle curve e l’horon alle frenate improvvise. Tutti gli autobus avevano nomi diversi e si chiamavano l’un l’altro con i loro nomi, piuttosto che con i numeri che gli davamo noi.

Quando l’autobus si fermò sano e salvo, le sue porte si aprirono con il suo respiro rauco. Arrivai in fondo sospinto dalla folla come se avessi lasciato andare il mio corpo tra le onde. Andare in fondo era un’abitudine della scuola, che mi faceva mostrare valorosamente la mia elevata statura, ma gli esperti erano certi che sedersi in ultima fila significava essere il leader di un gruppo criminale organizzato. 

Il mio orologio da polso con calcolatrice incorporata segnava le 7:45. Il concetto di tempo e spazio non avrebbe potuto unirsi in modo più bello: due fermate dopo, verso le 8.00, sarebbe salita la ragazza che vedevo da due settimane, la ragazza con le nuvole negli occhi. Saliva sull’autobus e cercava educatamente un posto adatto.

Quando l’autobus arrivò alla sua fermata, aprì subito le porte davanti, come se stesse schiarendo il suo respiro rauco. Anche se non riuscivo a vederla per via delle teste che mi stavano davanti, quando salì fece rallentare tutto e tutti, insieme all’autobus. Il vecchio autobus stava diventando il mio migliore amico e se anche avesse parlato, avrebbe mostrato tutta la grandezza della sua età.

Non conoscevo il suo nome, mi limitavo a guardarla e quando la guardavo, anche se c’era il sole, iniziava a piovere lentamente. I frammenti di nuvole leggere che nascondeva nei suoi occhi stavano portando pioggia alle condizioni metereologiche del mio cuore. Anche se non conoscevo il suo nome, stavo vivendo scene la cui storia e provenienza non avevano importanza. L’aria leggermente umida nei suoi occhi era entrata nei miei sogni. Nei miei sogni la nominavo e provavo il nostro primo saluto.

“Ciao”
“Ciao”

Non c’era bisogno del resto perché qualsiasi cosa espressa in frasi avrebbe potuto rubare il significato ai suoi occhi. Mentre ci guardavamo l’un l’altro, le frasi avrebbero potuto diventare verbi e i verbi rivelare il nostro soggetto segreto.

L’autobus partì. Dovevo scendere tre fermate prima ma aspettavo per stare con lei. Quello era un mondo in cui la distanza di tre fermate avrebbe potuto rappresentare un problema, giacché le nuvole negli occhi avrebbero potuto disperdersi. Memorizzai gli orari di Ego senza presunzione. La nostra storia di due settimane era vecchia come nostro padre Adamo ma anche unica come nostra madre Eva. All’interno dell’autobus insieme a lei stavo viaggiando nei posti più belli della terra.

Ero nella ruota panoramica del soffietto quando l’autista dell’autobus, girando la testa indietro disse ad alta voce “Andiamo verso la parte posteriore!” Quando la folla mi investì, come se fossimo ad un appuntamento mi ritrovai occhi negli occhi con lei, ma quando due occhi erano così vicini qualcuno non poteva reggere lo sguardo…

Amavo le nuvole. Le nuvole che sfidano coraggiosamente il sole erano la storia di questa ragazza. E la sua storia era la mia storia.

Stavamo girando la scena d’amore più bella del mondo. Guardando il mio orologio calcolatrice sul mio braccio chiese “Scusi, che ore sono?” Il mio orologio faceva le 8:15 ma il quarto d’ora non era importante perché lei sarebbe comunque scesa dopo i venti. La sua voce fu memorizzata dai dispositivi di registrazione dentro di me e ora tutte le voci avevano il suo tono. 

Questa ragazza fu l’argomento di tutto ciò di cui parlavo ai miei amici. Raccontai così tante cose di lei che stavano letteralmente morendo e risorgendo per la curiosità.

“Qual è il suo nome?”
“Non lo so”.
“Le hai parlato?”
“No”.
“Perché?”

Se tagliassimo le domande, le mie risposte sarebbero nascoste nei suoi occhi. Forse era come guardare il panorama più bello del mondo dalla collina più bella del mondo. Volevo far crescere o far germogliare qualcosa sulle sponde più affollate dell’autobus. La nostra prima frase, il nostro primo saluto sarebbero dovute durare tutta la vita, figuriamoci tre fermate.

Sebbene Hakan e Mehmet non ne avessero bisogno, iniziarono a prendere l’autobus con me. La curiosità fu una buona cosa. Poter amare qualcuno a distanza era più bello, più intrigante. Mentre parlavo dei suoi capelli, della sua pelle e, soprattutto, dei suoi occhi, la ragazza della mia storia stava scendendo dall’autobus e si stava trasformando in un’eroina delle fiabe di cui non conoscevo il nome.

Avevo le corde vocali che urlavano come un branco di teppisti, raccolte al comando del mio cuore. Avevano il potere di tradurre la domanda “Che ore sono?” in giapponese! Ma anche se tutte le traduzioni avevano lo stesso significato, riuscivo a capire solo il suo linguaggio.

La mia storia di due settimane arrivò alla terza, che fu l’indicatore gregoriano della fine dell’Era Glaciale e del passaggio alla Prima Era.

Alle 7:30 del mattino, Hakan e Mehmet mi stavano aspettando sorridenti alla nostra fermata, ma dietro il loro sorriso c’era una malizia infantile. Era come se fossero venuti per rubarmi qualcosa ma quello che stavano per rubare non erano le foto delle auto che si trovavano nelle gomme da masticare Turbo. Quello che gli avevo raccontato apparteneva a me ma era la storia delle nuvole, cioè di questa ragazza, più che la mia storia.

Il vecchio rosso, di cui non sapevo il nome, ma che conoscevo dallo strappo nel suo soffietto, arrivò alle 7.45. Come sempre andai verso il fondo. Mehmet e Hakan stavano accanto a me ma avevano trovato riparo sotto al gomito di qualcuno perché non erano alti come me. Non conoscevano i posti in fondo, quelli che gli piacevano di più erano i posti vicino all’autista. I loro sorrisi non si sono mai spenti. Sorridevano a trentadue denti, luminosi come lanterne sul molo.

Stavano arrivando le 8:15. Il traffico mattutino rendeva le persone nervose. La mia eccitazione stava causando frane in posti invisibili dentro di me e mentre Mehmet e Hakan continuavano a sorridere e la gente continuava a suonare il clacson nel traffico, le frane diventavano vere e proprie erosioni.

Quando l’autobus arrivò alla famosa fermata, eravamo tutti e tre pronti. Ero il capo dell’operazione e grazie a Dio ero il più alto. La porta sibilò e cigolò come se avesse mollato tutti i catenacci. Faceva rumori così brutti che non si addiceva né a chi stava arrivando né alla posizione triste di chi stava aspettando. Mentre aspettavo con la bocca aperta come un poppante, la nostra ragazza salì sull’autobus mano nella mano con qualcuno…

In quel momento, l’autobus invecchiò ancora di più, trasformandosi nel volto di un vecchio scontroso sul letto di morte. Avrei potuto lavare il volto del ragazzo che la teneva per mano con dell’ammorbidente, giacché la sua anima odorava di acido cloridrico. Mentre Mehmet, dandomi una gomitata al fianco, mi chiedeva “Quale è?”, l’autobus stava diventando più brutto e si stava trasformando nel mio nemico. Anche se le previsioni davano pioggia, in un attimo il tempo stava diventando soleggiato e le nuvole si stavano disperdendo come se non fossero mai esistite.

Hakan catturò il mio sguardo e disse: “È questa?” 
“Cosa…?”
“La ragazza che nasconde le nuvole negli occhi è questa?”

C’erano momenti in cui non c’era bisogno della verità. I sogni e le cose che ci appartenevano a volte erano più importanti di ciò che chiamavamo realtà.

Rivolgendomi ad Hakan dissi “Il tempo è soleggiato oggi”.
“Non ho capito”
“Voglio dire, no fratello, andiamo… questa ragazza è molto brutta”.

                                                                                                          Engin Akyürek

Note
Halay: è una danza popolare turca, che viene ballata collettivamente tenendosi per mano, a braccetto o tenendo le mani sopra le spalle, accompagnata da tamburo e zurna.
Bar: è una danza popolare dal ritmo pesante, ballata nelle regioni orientali e settentrionali dell’Anatolia, principalmente nelle regioni di Artvin ed Erzurum, tenendosi per mano.
Horon: è una danza popolare molto veloce ballata da molte persone nella regione orientale del Mar Nero in Turchia, tenendosi per mano e a braccetto.
Turbo: marca di gomme da masticare

16 risposte a “Le nuvole erano nascoste nei suoi occhi”

  1. Questo racconto mi ha emozionato molto più degli altri, cosa che non mi era mai successo.
    Le delusioni adoscenziali sono per me un ricordo ancora vivo nella mia mente….Engin l’ha descritta in maniera straordinaria ❤️
    Grazie Silvia !!!

    1. Penso che una delle tante doti di quest’uomo sia proprio quella di riuscire a smuovere in qualche modo quello che ciascuno di noi tiene sopito nel cassetto dei ricordi e delle emozioni 🤍

  2. Bellissima, storia.Grazie Silvia come sempre cogli le sfumature veritiere di quello che Engin sta raccontando.Bravissima.

  3. Ah l’amore platonico!!!
    Quanto gli piace e quanto ce lo fa piacere a noi con queste storie delicate. Dentro la testa ed il cuore di Engin c’è davvero un universo ….

  4. Fantasia? Frammenti di ricordi legati all’adolescenza? Di certo Engin mette sempre molto di sè nei suoi racconti, non solo per esserne l’autore, ma perchè l’attenzione ai dettagli nel descrivere le situazioni e le emozioni sanno essere così perfette solo se le hai provate. Grazie cara Silvia.

  5. Meraviglioso…lieve e poetico, ma mai stucchevole; sa di buono, profuma di bucato 🥰. E’stato come entrare intimamente in contatto con la sua anima, bellissima e delicata. Lo leggi in sospensione, con il timore di sgualcirlo…di violarlo ♥️
    Grazie ancora, mi emoziona sempre

  6. Ah Engin Engin. Quanto è bello entrare nel tuo mondo, nel mondo di un sognatore. I sogni che ci fai vivere ad occhi aperti sono speciali come te che li crei. Grazie a Silvia che ci porta nel suo mondo.

  7. Grazie Silvia, un bellissimo regalo, ne avevo bisogno!!!💖 L’ho letto di getto come il mio solito ed il mondo di Engin è entrato dentro di me con le sue parole e la sua visione della realtà che le stesse ci rappresentano! Ogni volta un’ emozione che si rinnova, ogni volta ci rivela un pezzetto del suo sentirsi vivere…ma come succede già per gli episodi delle serie da lui interpretate, ora me lo rileggerò con calma e non con l’ansia della prima volta e me lo godrò appieno! Teşekkürler abla 💚🌷

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