Traduzione italiana del racconto scritto da Engin Akyürek per il n. 46 di Kafasına Göre – anno 2022

Risposi al telefono di casa, che squillava tutti i giorni alla stessa ora. Chi chiamava, sapeva quando ero solo e non appena rispondevo, dopo un profondo silenzio, parlava cambiando voce. I toni confusi e artificiali che cercava d’inserire nella sua voce lo facevano sentire come se fosse più giovane. Per molto tempo ho pensato che uno dei ragazzi della classe stesse cercando di creare una situazione di scherno, impersonando la voce di una ragazza. Avevo cercato di trovare quel tono di voce che mi prendeva in giro da mesi, nei volti degli adolescenti che conoscevo, che avevo dovuto conoscere e che addirittura non avevo mai salutato. Quando i miei non erano in casa, il telefono squillava amaramente e non taceva finché non rispondevo. Poiché non esisteva una tecnologia di disattivazione dell’audio sui telefoni con il disco, riuscivo a silenziarlo scollegandolo o tenendo staccato il ricevitore. Dopo due mesi, mi resi conto che la voce apparteneva a una ragazza: nella cultura di quartiere, il modo per capire il genere della persona che abbiamo di fronte consiste nel valutare il suo temperamento quando si maledicono la mamma, la moglie, la sorella e la famiglia. Feci tutto e sputai fuori tutte le maledizioni fintanto che il mio diaframma ne ebbe abbastanza e, dopo un breve silenzio, tutto ciò che disse fu:
“Per favore, calmati, parliamo e basta”
La sua calma in ogni occasione mi faceva impazzire e continuavo a imprecare includendo anche i suoi lontani parenti. Quando la situazione diventò insopportabile, raccontai alle persone di casa quello che stavo vivendo. La situazione tecnologica degli anni novanta permise di cambiare il numero di telefono, mentre la ragazza che mi aveva preso in giro non venne trovata, poiché chiamava dalla cabina telefonica a gettoni. Mio padre in casa dispensava consigli a tutti: “Ecco cosa succede quando date il vostro numero a persone che non conoscete, non scrivete il vostro numero su qualsiasi foglio, così”.
Dopo una settimana di relax, le chiamate ripresero, la voce confusa si alzò e lei iniziò a parlare con un tono reale. Disse “Sono qui” come risposta al nostro cambio di numero. Si creò una situazione tale che non riuscivo a risolvere e che rimaneva senza risposta ogni volta che chiedevo, che mi portò a scegliere la lista dei sospetti tra i miei parenti per mesi.
“Come fai a sapere quando i miei genitori non sono a casa?”
“Non posso rispondere a questa domanda.”
Cercavo la padrona di questa voce in tutte le strade che incrociavano la casa a destra e a sinistra. Non appena i miei uscivano di casa, esaminavano tutte le cabine telefoniche intorno, seguivano per un po’ le facce sospette ma il telefono iniziava a squillare non appena io mettevo piede in casa. Questo diventò la mia preoccupazione, dimenticai lezioni e tutto il resto e misi questa ragazza, che mi prendeva in giro, al centro della mia vita. Non c’era amore platonico o altro, altrimenti dopo un po’ avrei dovuto sentire le note romantiche nel tono della sua voce. Lo stato disastroso della pagella che mi venne consegnata durante il semestre riassumeva la mia situazione. Ogni volta che mi sedevo a studiare, abbinavo il tono di voce che avevo nell’orecchio con i volti di chi conoscevo e ogni giorno guardavo qualcuno con sospetto. Non riuscivo a mangiare, non riuscivo a ricordare le cose che mi piacevano, non uscivo nemmeno, aspettavo al telefono invece d’incontrare i miei amici.
Come un investigatore, scrivevo tutto quello che diceva sul mio taccuino e, nella mia mente, completavo ogni sua frase cercando di darle un significato. Forse questa ragazza stava cercando di dirmi qualcosa.
Scollegare il telefono non creava una soluzione, ma solo la necessità di usarlo, così un senso di curiosità mi guidava e lo collegavo senza accorgermene. E non appena lo collegavo, il telefono iniziava a respirare e a squillare profondamente. Mi sentivo come un personaggio virtuale in un videogioco, che perdeva le sue qualità eroiche a causa della sua scarsa salute. Nonostante le condizioni tecnologiche degli anni novanta, ero bloccato nella realtà, poiché non avevo la possibilità di vedere la persona di fronte a me come un personaggio digitale o un avatar nella realtà odierna. Mia madre era scettica sulla situazione e pensava che avessi creato le telefonate nella mia testa. Mio padre usciva di casa, mia madre andava al lavoro, mio padre girava dalla parte opposta ed entrava in casa come un ladro dalla finestra della stanza sul retro, progettando di attaccare il telefono che squillava. Appena mio padre entrava in casa, il telefono non squillava e così crescevano i dubbi sulle mie facoltà mentali. Con mio padre che, in giacca e cravatta, si era preso una giornata libera dal lavoro, aspettammo tutto il giorno che squillasse il telefono. Sapevo che non appena mio padre avesse lasciato casa, il telefono avrebbe iniziato a squillare.
“Non giocare più con me, mi fai sembrare matto”
“Non ho questa intenzione…”
“E che intenzioni hai?”
“Parlare con te, per condividere con te ciò di cui non posso parlare con nessuno.”
“Perché io?”
“Quante volte ancora risponderò a questa domanda?”
“Fino a quando non dirai la verità; se sei consapevole, non ti sto più maledicendo, sto cercando di capirti.”
“Grazie, ma cercare di capire qualcuno non significa conoscere la sua verità.”
“Sei sicura di avere quindici anni? O stai cercando di far sembrare più giovane la tua età con la voce?”
“Perché dovrei fare una cosa del genere…”
“Potrebbe essere perché hai creato un’aria di mistero su di te e parli consapevolmente?”
“Voglio condividere con te ciò che sento e che so”
Iniziai a dire tutto ciò che voleva sentire a questa ragazza che ispirava un senso di curiosità e che, per arrivare alla mia mente adolescenziale, elencava le frasi di cui avevo bisogno, il che era spaventoso. Le persone a casa e i miei amici più cari pensavano che stessi facendo amicizia con un personaggio che avevo creato nella mia mente e che la situazione stesse peggiorando per me. Le maestre della scuola, le anziane signore del vicinato, i bottegai anziani, mi guardavano con compassione e alcuni di loro picchiettavano sul legno e si grattavano il posteriore, dicendo “lontano da casa!”1. Nessuno mi parlava a scuola, perché le madri dicevano ai loro figli cose spaventose su di me, pensando che la situazione sarebbe stata contagiosa. All’età di quindici anni mi ero trasformato in un ragazzo solitario con brutti voti e incapace di mangiare. Mia madre, non sopportando più la situazione, mi portò da uno psicologo che cercava di ascoltarmi con una faccia sorridente qualunque cosa dicessi, il che non mi convinceva.
“E nessun altro è stato testimone di queste telefonate?”
“Non è stato possibile…”
Le frasi che dicevo cominciarono ad assomigliare alle sue frasi. In passato mi sarei dilungato nel raccontare, aggiungendo bugie alle cose che stavo dicendo. Iniziai ad assomigliarle, a pensare come lei. Non so come riuscii a farlo, ma non mi ero mai sentito così leggero e reale. Il mio corpo aveva quindici anni, ma la mia anima aveva raggiunto la maturità. Le mie bugie, mescolate al richiamo della pubertà, erano svanite. Provai a leggere Marcel Proust, Dostoevskij e Albert Camus con i suoi consigli. Anche se non avevo capito nulla quando lo avevo letto per la prima volta, sentivo che mi faceva bene e che stava tracciando un nuovo percorso per me.
Lo psicologo gettò indietro gli occhiali con le dita e con un sorriso che cercava di essere sincero disse:
“Questa ragazza ha un nome?”
Era chiaro che non credeva a quello che stavo dicendo. Quando disse: “La ragazza ha un nome?” Pensò che mi sarei inventato un nome.
“Non ha mai detto il suo nome.”
“Perché non l’ha detto?”
Dice: “Lo scoprirai quando sarà il momento”
“Come la chiami?”
Ha detto: “Potresti dire la ragazza al telefono…”
“La ragazza al telefono, ho capito…”
Le anziane del vicinato e i lontani parenti persuasero mia madre a far versare il piombo.2 Al centro della sala, con gli occhi chiusi, io cercavo di capire cosa stesse succedendo e loro cercavano di salvarmi con le preghiere che venivano lette sulla mia testa. Sebbene fossi stanco del rituale, l’espressione sul mio viso era sorridente perché, mi sentivo più felice e sereno di quanto non fossi stato da molto tempo. Anche se all’inizio mi ero molto arrabbiato con la ragazza al telefono, le fui grato per quello che mi faceva sentire. Non tenni per me questa situazione e la condivisi con lei:
“Grazie per quello che mi hai fatto sentire”
In altre sedute, lo psicologo cercava di riassumere la situazione o meglio, di fare una diagnosi. Veramente, il fatto che la casa fosse tecnicamente chiamata nelle ore in cui i miei non c’erano, e questo era stato dimostrato, era una prova a favore del fatto che io non ero tecnologicamente pazzo. Tuttavia, non riuscivo a convincere nessuno. Anche le ricerche di pettegolezzo da parte dei provocatori del quartiere diffondevano voci sul fatto che fossi io. Ero un cattivo adolescente, malato di mente, dannoso per il futuro, che doveva stare lontano da tutti.
Lo psicologo scrisse qualcosa su un foglio e cercando di aggiungere sincerità al suo volto sorridente disse:
“Per la prossima seduta scriverai quello che mi hai detto?”
“Come una storia o come una cosa reale?”
“Scrivi come vuoi.”
Appena arrivato a casa, scrissi la storia della ragazza al telefono, quello che stavo vivendo e come mi sentivo, aggiungendo anche le parole che mi aveva detto e di cui avevo preso nota. Nella nostra ultima conversazione, raccolsi il mio coraggio e, a questa ragazza che una volta avevo maledetto, dissi:
“Vediamoci ora…”
“Vediamoci, è arrivato il momento d’incontrarsi faccia a faccia.”
Sedute con lo psicologo, versare il piombo, preghiere e intenzioni a parte, mio padre fece staccare il telefono per risolvere la situazione alla radice e l’esorcismo venne finalmente compiuto. Non c’era più un telefono in casa nostra.
Mentre pensavo a che tipo di storia avrei dovuto scrivere per la rivista Kafasına Göre, mi sono venuti in mente i ricordi di ciò che avevo vissuto anni prima e di cui vi ho appena raccontato. Ho trovato la storia che ho scritto per lo psicologo, che sapevo essere tra i vecchi fascicoli. Ho inviato la storia da pubblicare nel nuovo numero della rivista, rimanendo fedele all’originale, senza cambiarla molto. Il mio telefono ha iniziato a squillare nel giro di un’ora. La direttrice della rivista İdil, non appena letto l’articolo, avrebbe chiamato per condividere le parti problematiche per l’editing. Sullo schermo del telefono appariva un numero di Ankara.
“Pronto.”
“…”
“Pronto.”
“Ciao, sono la ragazza al telefono.”
Scritto da Engin Akyürek tradotto da Silvia Musuruca
1 Modi di dire e di fare legati alla superstizione equivalenti ai nostri “toccare ferro”, “fare le corna” o dire “vade retro satana!”
2 Versare il piombo: si tratta di una credenza popolare turca per allontanare il malocchio e le energie negative; il piombo fuso viene colato in una ciotola piena d’acqua e poi versato sulla testa, sul ventre e sui piedi della persona che, per sicurezza, viene protetta con una coperta; durante queste operazioni viene recitata una preghiera. Il piombo, a contatto con l’acqua, si solidifica e non dovrebbe “esplodere”; se “esplode” vuol dire che quella parte del corpo è vittima delle cattive energie portate dal malocchio.
Seguici su:
Anche stavolta Engin mi ha catapultata nel suo mondo magico con il suo bellissimo e ultimo racconto.Grazie Silvia per permetterci di leggere i suoi preziosi racconti 🤍
Un racconto veramente simpatico, questo ❤️
Grazie a te cara 🙏🏻😘
Sono tornata in quel bellissimo Luna park che è la mente di Engin. un bellissimo racconto. Di quelli che ti portano lì e ti fanno trattenere il fiato per vedere come va a finire. Grazie Silvia🤍
Grazie Fra, anche io non vedevo l’ora di arrivare in fondo per capire come sarebbe finita e… fantastico!!! Un finale veramente fantastico!!! La testa di quest’uomo è proprio un bellissimo Luna Park 🤍