Quinta parte del racconto ispirato da Engin Akyürek .

Lei♀

Nelle settimane successive Bianca si ritrovò in un autentico frullatore: giornate intense a organizzare, telefonare, scegliere, progettare…era elettrizzata! Le piaceva molto il clima della fase preparatoria di una mostra, un crescendo di tensione, ansia, cose da fare, problemi da risolvere, ma adorava di più il secondo immediatamente successivo al taglio del nastro che la catapultava ogni volta in uno stato di grazia, di calma, finalmente libera di aggirarsi con lentezza tra le opere esposte, che si gustava come fosse la prima volta che le vedeva, come se a organizzarne la loro esposizione non fosse stata lei. Era un modo per giocare con sé stessa ma anche per godere dell’Arte, provando a cogliere qualche emozione in più nel guardare ogni minimo dettaglio.
Ecco, la spinta motivazionale era proprio arrivare a quello stato di pace che avrebbe provato, una volta allestita e messa in moto la macchina. Ma per il momento doveva pedalare!!!
Bianca era una perfezionista, tutto doveva essere esattamente come dove essere: questa la frase che ripeteva come un mantra durante i preparativi. Aveva messo su uno staff, con l’aiuto del direttore Kaya: Fatih il fotografo, Eylül l’addetta stampa, Bülent l’architetto e Meryem organizzatrice di eventi e PR che l’avrebbe aiutata a relazionarsi con una città nella quale non conosceva praticamente nessuno.

Quella mattina, ormai mancava poco al vernissage, doveva trasferirsi a Istanbul, fare su e giù era stato estenuante, Neylan le aveva proposto di andare per un po’ a casa dei suoi, sarebbe stata comodissima e i suoi genitori l’avrebbero sicuramente coccolata. 
E così stava ultimando la valigia, scegliendo cosa mettere di bello e comodo, aveva preparato anche tutto il materiale da lavoro che le serviva, che avrebbe messo nella sua inseparabile borsa rossa.

Ma prima doveva svuotarla, per togliere tutto ciò che non era strettamente necessario.  Capovolse la borsa sul letto che in un istante fu sommerso da una valanga di cianfrusaglie: carte, scontrini, caramelle varie e, suscitando lo sguardo stupito di Bianca, un libro di poesie di Cemal Süreya. E questo da dove sbuca fuori? si chiese Bianca ad alta voce.

Le tornò alla mente come un film alla moviola il viaggio in treno con Furkan Aslan e il volto di lui che le sorrideva con quel libro in mano.
Capì subito che era stato proprio lui a metterglielo nella borsa. Prima di recapitargliela in ospedale.

In quello stesso istante avvertì un forte sentimento di delusione: sì, era delusa da sé stessa per non averlo ringraziato quella sera al ristorante. E, peggio, si sentiva profondamente a disagio con quella sensazione addosso.
Decise che, dato che sarebbe stata a Istanbul per qualche giorno, sarebbe andata in radio e avrebbe chiesto di lui. Sì, lo doveva assolutamente ringraziare.

Anzi fu la prima cosa che fece quel pomeriggio stesso, dopo aver depositato i bagagli a casa dei genitori di Neylan. Aveva cercato l’indirizzo della radio e si era incamminata, mentre continuava a rimproverarsi per la superficialità con cui si era comportata.
«Che stupida che sono stata! Insomma, come ho potuto non ricambiare quella gentilezza? Ma che mi è passato per la testa?», diceva al telefono all’amica, mentre percorreva il tragitto verso Radyo Konuş.

“Ecco, Bianca, la domanda è appunto questa. Chiediti, come mai? Sei proprio sicura che ora ci stai andando solo per ripagare un debito di gentilezza verso quest’uomo?», le disse l’amica.

«Cosa vuoi dire Neyaln? Certo che sì, dio mio proprio io che non faccio che parlare di come la gentilezza sia scomparsa dai radar dei sentimenti umani, di quanto questo maledetto mondo abbia bisogno di generosità, di attenzione verso gli altri, ma anche solo e semplicemente di gesti che mettano la pace nel cuore! Proprio io sono stata così scortese!».

«Ecco, appunto Bianca, proprio per questo, chiediti sinceramente perché non lo hai fatto. Ma devi essere sincera con te stessa, prima ancora che con me. Maledetta paura!!!».

Si salutarono. Bianca ripensava alle parole dell’amica. In fondo aveva ragione, ma non glielo avrebbe detto. O almeno non in quel momento. Non voleva complicare la sua attenzione emotiva per l’incontro che sperava di fare in radio.  Non voleva arrivarci col cuore in gola per l’emozione di rivederlo.

Ci vado solo per ringraziare della gentilezza, ripeté come una nenia per autoconvincersi, finché non arrivò in radio.
Fece un respiro profondo e poi suonò al citofono.
Chiese di lui, dall’altra parte una voce maschile ripose «Un attimo», poi il rumore del portone che si apriva.
Attese qualche minuto, una manciata di lunghissimi minuti che fecero da anticamera alla delusione nel vedere che chi le andava incontro non era lui.
«Prego», disse un uomo dalla faccia simpatica, che le fece segno di accomodarsi dentro.
«Cerco Furkan Aslan» la frase che pronunciò un’impassibile Bianca che per camuffare meglio la delusione non tolse gli occhiali da sole.
«Furkan Aslan non c’è, è fuori per un lavoro, ha bisogno di qualcosa in particolare?»
«No, avrei voluto solo…ma no, non importa, non si preoccupi».
«Se desidera può scrivergli un’e-mail, magari quella riuscirà a leggerla».
Bianca fece cenno di sì, appuntò l’indirizzo sul cellulare, ringraziò e salutò.

LUI

Entrò nella sua stanza d’albergo sfinito ma raggiante, era così contento di come stavano andando le cose! Qualche giorno ancora e poi sarebbe tornato a Istanbul, giusto il tempo di ultimare i dettagli preparatori al set e poi sarebbero ripartiti nuovamente per cominciare ufficialmente le riprese. Engin non vedeva l’ora. Era teso ma carico, era un nuovo lavoro a cui teneva particolarmente.

Si tuffò sul letto, si sarebbe rilassato qualche minuto, poi avrebbe fatto una doccia, cenetta veloce e se ne sarebbe andato a nanna, magari dopo aver letto un po’.
Intanto, riaccese il cellulare che cominciò a vibrare per le notifiche: una raffica di messaggi. Tra questi anche uno di Kemal «Fratello, chiamami quando puoi».

Lo chiamò subito.

«Amico mio che succede?»
«Eh eh eh, penso di aver visto la tua sconosciuta, oggi!», esordì Kemal, che gli raccontò di quella visita inaspettata in radio.
«Credo fosse proprio lei…era un po’ imbarazzata, aveva gli occhiali da sole che insieme ai lunghi capelli castani le nascondevano quasi il viso, ma ho proprio l’impressione che fosse lei. Ah, dimenticavo un dettaglio…. aveva la borsa rossa!», disse Kemal canzonandolo un po’.
«Eeeeee….?» rispose Engin.
«Le ho dato la tua e-mail, chissà magari ti scriverà. Non ha voluto dire perché è venuta qui in radio», chiuse Kemal.
Engin rimase immobile a fissare il soffitto. Un sorriso lentamente cambiò la forma delle sue labbra.
Era contento! Eccome se era contento! Poi, riprese in mano lo smartphone per controllare la posta elettronica

Gli aveva scritto.

«Ciao Furkan oggi sono venuta in radio, speravo di trovarla. Ci tenevo a ringraziarla e a scusarmi se non l’ho fatto prima. Grazie per essersi preso cura della mia borsa, che è un po’ la mia seconda casa, giramondo come sono… Grazie anche per il libro di poesie, ma che bell’idea! È un modo per far rivivere gli oggetti ma anche i momenti che forse non torneranno.
Dicono che gli incontri non siano mai casuali, che dietro a ogni incontro c’è sempre il tocco leggero del destino. Forse è vero, il nostro, piacevolissimo, mi ha portato questo libro e fatto scoprire questi bellissimi versi:

Era settembre.
Quando ha tracciato le tue tracce, improvvisamente te ne sei andato,
Ora non c’era significato di silenzio.
Sono rimasto completamente nudo nel mezzo del tuo silenzio.
Poi ho camminato lungo il bordo delle scogliere che non risuonavano con la mia voce.


Quindi, tre volte grazie,
Bianca».

Lei♀

Il grande giorno era arrivato. Dopo lunghi preparativi, finalmente il giorno del vernissage era arrivato. Quella sera si inaugurava la mostra, Bianca era agitatissima. Tutto, però, sembrava sotto controllo.

Si era presa il pomeriggio per sé, per rilassarsi e prepararsi adeguatamente per quella occasione che aveva sognato a lungo e per la quale aveva così tanto lavorato.

Mentre usciva dalla doccia, ripercorreva mentalmente i concetti del discorso che avrebbe fatto al momento del taglio. Era stata invitata un sacco di gente, la stampa, le autorità, i collezionisti, amanti dell’arte, associazioni culturali e anche Neylan aveva contribuito, invitando tutti gli amici degli amici degli amici che avevano interesse per l’arte.

La mostra aveva alcuni pezzi importanti che il direttore Kaya era riuscito a far arrivare da alcuni musei e collezionisti privati europei e anche Bianca aveva rimesso in moto tutte le sue conoscenze, riuscendo a far arrivare per l’occasione anche un’opera che amava particolarmente, un autoritratto che Francis Bacon aveva realizzato nel 1971.

L’esposizione di Bianca indagava il volto visto dall’occhio creativo dell’artista: insieme ad alcuni capolavori della storia dell’Arte, anche le opere degli artisti contemporanei emergenti che Bianca sperava di piazzare, in fondo era la sua grande occasione. E la loro.
Ma la sua mostra voleva essere qualcosa in più.
Voleva essere il suo messaggio al mondo, il suo issare la bandiera ai venti che no, non sarebbe stata bianca, come non lo era stata in passato.
Era il suo modo per gridare il suo dolore, in fondo mai del tutto sopito, ma anche il suo riscatto, la sua rinascita, la sua seconda possibilità.

Le opere degli artisti e di alcuni fotografi che aveva inserito l’aiutavano in questo grido sussurrato, come solo l’Arte riesce a fare, ma forte di verità e drammaticità. Un grido autentico, vero, di chi ha visto e vissuto il dolore.

Anche Hasan, il consulente finanziario che le aveva presentato Neylan, le aveva dato una grossa mano: organizzare una mostra comportava sempre un bell’investimento economico e una sfilza di pratiche fra assicurazioni e altre rogne, come le chiamava lei, e Hasan si era offerto di aiutarla, coinvolgendo dei finanziatori privati e occupandosi con il suo studio delle pratiche burocratiche.
Bianca, però, sperava che quell’aiuto non avesse messo Hasan nella condizione psicologica di sentirsi creditore di “qualcosa”, Bianca detestava quelle situazioni. Pensò che un modo per sfilarsi da eventuali ambiguità sarebbe stato quello di comprare una delle opere in esposizione e regalargliela. In segno di stima e gratitudine.
Avrebbe scelto con calma quale, non c’era fretta.

Il pensiero di Hasan ebbe, però, l’effetto di farle ritornare alla mente Furkan – anzi Engin, si disse Bianca – , lo scambio di mail che avevano avuto e il silenzio che ne era seguito dopo.

Non si erano più scritti, d’altro canto non ce n’era ragione, si era detta Bianca da sola, ogni volta che ci aveva pensato. Perché ogni tanto ci aveva pensato.
E ripeté quella stessa frase anche quel pomeriggio, mente infilava il lungo vestito verde Gucci che aveva comprato anni prima a Firenze. Si guardò allo specchio, si truccò leggermente, dando più che altro enfasi agli occhi con la matita nera e mettendo giusto un velo di rossetto. E i capelli? Stasera li leghiamo, si disse Bianca.
«Non devi aver paura Bianca, di nulla. Sei bella e sei forte»: non era quello che le ripeteva come un mantra la sua amica Neylan?
E quella sera voleva dimostrare al mondo di essere bella, nonostante tutto.
E forte.

LUI

Kemal lo aspettava sotto casa, era passato a prenderlo in taxi. Engin era rientrato dal sopralluogo sul set del suo nuovo lavoro e avrebbe trascorso la serata con il suo amico.

«Eeeeeee….dove andiamo quindi stasera?», chiese Engin salendo in auto, mentre si sfregava le mani per il freddo.
«Engin amico mio, pensavo di andare a cena insieme, prima però vorrei fare un salto al vernissage di una mostra, una mia amica, una bravissima organizzatrice di eventi con cui mi piacerebbe collaborare prima o poi, mi ha invitato.  Ci facciamo un giretto e poi ti porto in un ristorante delizioso».
Engin alzò le mani in segno di resa: «Ok, stasera sono tutto tuo!», disse sfoderando uno di quei suoi fantastici sorrisi che mandano in visibilio le fan di mezzo mondo.

Mentre il taxi si faceva ragione del traffico, addentrandosi nelle vie affollate di caffè e ristoranti e di una umanità piena di aspettative, Kemal chiese a Engin: «Com’è andata a finire con la bella sconosciuta dalla borsa rossa?»

«Bah, niente di che. Mi ha voluto ringraziare, le ho risposto. Fine», rispose porgendogli il suo smartphone per fargli leggere le e-mail, la prima di Bianca e la sua di risposta:

«Cara Bianca, non deve ringraziarmi, ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque. Mi fa piacere, però, che abbia apprezzato il libro di poesie, è un giochino che faccio spesso, lasciare il libro che ho finito di leggere su una panchina, sul tavolino di un bar, dove capita, immaginando che nuove storie possano nascere da quell’incontro metaforico fra sconosciuti. Sì, anch’io credo che gli incontri non siamo mai del tutto casuali, c’è sempre un motivo che magari apparentemente può sfuggire.
Chissà, forse un giorno il tempo ci svelerà la ragione per cui i nostri sorrisi si sono brevemente incrociati su quel treno diretto a Konya. Intanto in bocca al lupo per la sua mostra (sì, lo confesso, ho origliato mentre era al telefono 😁).

Alla prossima, allora, chissà…
Engin».

Aveva firmato la sua e-mail col suo vero nome, dettaglio che non sfuggì all’amico: «Hai deciso di svelarti?»
«Tanto non la rivedrò più, amico mio!», sentenziò Engin rassegnato, mentre il taxi si fermò vicino al palazzo Alan Kadıköy, dove c’era un crocchio di persone che attendeva di entrare.

La presenza di tante persone non sorprese più di tanto Engin, dato che l’Alan Kadıköy, una struttura modernissima e all’avanguardia, un teatro avveniristico con 650 metri quadrati di galleria, era frequentato ogni giorno da un pubblico numeroso di appassionati grazie ai concerti, alle mostre e agli spettacoli teatrali in cartellone.

Si misero in fila anche loro. Kemal era un continuo salutare, sorridere, dare pacche a destra e a sinistra.
Qualcuno si accorse della presenza di Engin e nel giro di pochi minuti si scatenò il delirio: chi voleva stringergli la mano, chi fare un selfie, chi semplicemente complimentarsi. Con la coda dell’occhio Engin si accorse di una troupe televisiva che si avvicinava a grandi passi verso di lui, così per sfilarsi da quella situazione, con la complicità degli addetti all’ingresso che compresero al volo, si intrufolò nel palazzo.

Dentro, tirò un sospiro di sollievo.  Non gli sembrava giusto rubare la scena agli organizzatori della mostra, erano loro quella sera a meritare la ribalta.

Da solo, nella penombra della sala ancora deserta, Engin si gustò l’intimità di quell’atmosfera. Con uno sguardo d’insieme fotografò l’ambiente, piuttosto minimalista: grandi muri rossi, dove erano appese delle tele ma anche delle grandi foto, che ritraevano volti femminili trasfigurati da segni evidenti di violenza. Su alcuni muri erano stati riportati passaggi chiave di alcune poesie. Engin si avvicinò per leggere meglio: sì, erano proprio i versi di Cemal Süreya.

Gli bastò una frazione di secondo per ipotizzare che sì, forse, quella era proprio la mostra che stava organizzando Bianca. Mentre elaborava con stupore questo pensiero, la vide.

O meglio ne riconobbe prima la voce, era sbucata dal nulla mentre parlava con qualcuno al telefono per accertarsi che fuori fosse tutto ok.

Era stupenda. Indossava un lungo vestito verde di un tessuto che Engin pensò potesse essere la più bella seta mai prodotta da un esercito silenzioso di bachi. Le bretelle mettevano in evidenza delle bellissime e sensuali spalle e quel colore esaltava l’incarnato, mentre i capelli erano tirati indietro e legati in una coda alta: il tutto le conferiva un’aria regale.

Dio quanto sei bella, balbettò fra sé e sé Engin mentre pensava a cosa sarebbe stato meglio fare: salutarla subito, cogliendo l’occasione che un destino giocherellone gli aveva fornito nuovamente o aspettare di farlo dopo, con calma?
Ma prima che potesse decidere, lei lo vide.
Un sorriso di stupore le illuminò il volto.
«Engin?»
«Bianca! »
«Che ci fa qui?»
«Onestamente non lo so, il mio amico….il destino…. ci ha fatti rincontrare!», farfugliò Engin.
Tutt’e due scoppiarono a ridere.

Se possibile Bianca sembrò agli occhi di Engin ancora più bella.

Si avvicinarono l’uno all’altro ed erano entrambi imbarazzati. All’improvviso l’aria che circondava i loro corpi sembrava essersi caricata di un’elettricità pazzesca. Per questo erano imbarazzati. C’era una forza magnetica che sembrava spingere il corpo dell’uno verso il corpo dell’altro.

Engin, nella penombra che avvolgeva ancora la sala prima dell’avvio ufficiale, notò sul viso di lei qualcosa di strano, ma distolse lo sguardo. Come se la bellezza che emanava Bianca lo avesse abbagliato. Non potè non notare, però, che i capelli tirati indietro avevano messo in risalto il suo volto, che ora gli sembrava ancora più familiare.

«Sono così felice, che ci siamo rincontrati di nuovo», disse lei interrompendo il flusso di pensieri che si affastellavano nella testa di Engin. E un secondo dopo si scusò: «La cerimonia sta per iniziare, sono agitatissima, non sono certissima che sia tutto ok, mi scuserà vero?»
«Certo», rispose lui, che altro non avrebbe saputo dire, mentre immobile la guardava allontanarsi.

Dopo qualche minuto, gli ospiti cominciarono ad affollare compostamente la sala, anche Kemal era riuscito ad entrare, scorse Engin da lontano e lo raggiunse.
«Che ci fai qui in disparte?», gli chiese non appena lo ebbe raggiunto.
«Mi godo meglio lo spettacolo», rispose Engin spostando lo sguardo in direzione di Bianca in modo che l’amico capisse.
«Bianca? È QUELLA Bianca? È lei?»
Engin annuì senza distogliere lo sguardo dalla donna che il caso aveva fatto in modo di rincontrare.
«Noooooooo», fu la risposta incredula di Kemal che con affetto gli diede una pacca sulla spalla: «Non ci posso credere!».

Engin l’ammirava da lontano, Ma quanto sei bella? continuava a ripetere dentro di sé.

Le luci che si accesero, la musica in sottofondo, la stampa, il brusio per l’arrivo dell’autorità, confermarono che oramai il vernissage stava per iniziare.
Il primo a parlare fu il direttore Erol Kaya che spese parole di elogio per Bianca: «Una grande professionista, con un gusto e un occhio da esperta nello scovare artisti di talento e una personalità forte e decisa: è una fortuna per noi che sia tornata in Turchia, sono certo che faremo grandi cose insieme».
Poi fu la volta delle autorità, infine, finalmente, il microfono passò a Bianca.

Era emozionatissima: «Ringrazio tutti voi per essere qui stasera, per essere al mio fianco. Ho desiderato tanto questa collettiva, che ho fortemente voluto dedicare al volto, ai volti. Viviamo l’epoca in cui sui social a trionfare spesso è solo il narcisismo, a me interessava spostare l’attenzione sull’Arte, capire come oggi un artista riesca a cimentarsi col ritratto. Ho voluto, insieme alle opere di alcuni nuovi talenti che molti di voi conosceranno questa sera, anche alcune opere celebri della storia dell’Arte, che siamo riusciti ad avere dalle più importanti istituzioni museali europee e da importanti collezionisti. Li ringrazio per quest’atto di fiducia e per essere qui stasera con noi, avranno modo di respirare lo straordinario fermento culturale e artistico, che ho ritrovato in questo Paese bellissimo che mi ha accolta nuovamente, che ho voluto fissare come in un fermo immagine con le opere di questi artisti: tecniche diverse, ma un unico grande fuoco in comune, quello dell’Arte».

Poi la voce sembrò leggermente incresparsi, Bianca inspirò profondamente e a lungo, come se dovesse immergersi sott’acqua, poi con un filo di voce, che man mano si fece più chiara e forte, proseguì: «Il ritratto è anche un’occasione per indagare i temi dell’identità e dell’attualità, per spostare l’attenzione, denunciare, gridare la troppa violenza subita dalle donne per mano di uomini ossessionati dal concetto di possessività. È per questo che ho voluto accanto a me questa sera l’associazione “Mor Çatı”, che ringrazio per il lavoro quotidiano che svolge dal 1990 per combattere la violenza contro le donne.  A loro, a tutte le donne violate, voglio dire di non avere paura, voglio dire con speranza di continuare a combattere, di non arrendersi, di non isolarsi, di non vergognarsi, né sentirsi in colpa. La violenza vuol costringere noi donne a vivere nella paura, nell’impotenza e nell’insicurezza. Sappiate che non siete sole. Non siamo sole. A voi, a noi, dedico questa mostra. A voi dedico l’Arte, che per me è stata l’àncora di salvezza».
Parole che strapparono un applauso fragoroso e sentito da parte di tutta la platea, che era vistosamente commossa.

Engin rimase immobile, in silenzio. Ecco cos’era dunque quello strano segno che aveva intravisto sul viso di Bianca. 
Concentrato su questo pensiero, non si accorse nemmeno che una lacrima gli stava scendendo lentamente sul viso.

Anche Kemal era rimasto toccato da quella storia.
Di più, con un’espressione terrificata, dopo qualche secondo, si voltò verso Engin dicendo: «Noi conosciamo già quella donna, vero? È Adele?»

Engin guardò l’amico con uno sguardo che era un misto di dolore e consapevolezza, tristezza e rabbia, impotenza ma anche stupore.

Si voltò nuovamente verso Bianca. Per guardarla ancora. Prima di scappare via.

Si soffermò ancora un istante. Forse due. Capì in quel momento quanto il destino possa essere beffardo. Amaro e dolce, allo stesso tempo.
Era lei. Era tornata.
Le lacrime continuavano a rigargli il volto.

to be continued…..

© Rosaria Bianco

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16 Comments

  1. […] Il vento prima o poi si alza/5 […]

  2. […] Il vento prima o poi si alza/5 […]

  3. Wow……ora il tutto si riempie di mistero……si fa più intrigante…..come resistere fino alle prossime puntate!
    Quando hai deciso di abbandonare il gruppo EAI, io ti scrissi che in questa decisione chi perdeva un pezzo da novanta erano loro……continuando a leggere i tuoi racconti e le tue analisi, non posso che rafforzare questo mio pensiero👏❤️

    1. Un pezzo da novanta….woooow, grazie Valentina!!!!

  4. Questo racconto diventa sempre più bello, che voglia di trovare un libro che Engin lascia in giro 😉 ma fantasticando un pó voglio immaginare che Sessizlik sia quello che ho trovato ❤️ …ma non si potrebbe avere anche l’ email ??🤣🤦‍♀️

    1. ahahahaha e lo chiedi a me?????? 😂

      1. Io vado alla fonte l’ email a Kemal chi glielo ha dato se non l’ autrice 😉🤣

      2. 🤦 😂❤️️

  5. Il racconto si fa sempre più interessante … bella tutta la descrizione sui quadri che Bianca aveva scelto che per lei avevano un significato e posso ipotizzare … ma aspetto il seguito ❤️

    1. 🙂 grazie Simo

  6. Wow Ros, qui la storia prende una piega inaspettata e misteriosa che ci porterà sicuramente il suo carico di emozioni! Ti prego non farci aspettare troppo! La tua prosa è travolgente e coinvolgente, quando la puntata finisce mi ritrovo a sognare ad occhi aperti con una voglia che questo racconto duri all’infinito. Grazie, a presto mi raccomando!

    1. söz 😜❤️️

  7. Molto bello lo sguardo sull’arte

    1. Grazie Patrizia! D’altronde senza l’arte (in tutte le sue forme) che vita triste sarebbe….

  8. Qui davvero lasci con l’enorme curiosità di conoscere “Bianca”. Anche se sempre più chiaro è il motivo della paura di Bianca di lasciarsi andare. Un piccolo particolare, che a me ha ricordato l’immagine di una bellissima donna, ma che fa parte di casualità ed interpretazione personale. Nel vestito verde e con i capelli raccolti in una coda, con estrema eleganza, ho intravisto Ada (Another Self) Complimenti! Brava come sempre

    1. Come sempre accade, ognuna di noi rivede mentre legge immagini e suggetioni che ci hanno particolarmente colpite. Però non avevo pensato a lei, immaginandomi Bianca 🙂

Ros

Giornalista freelance, ghostwriter, content editor, sommelier, mi occupo di uffici stampa e comunicazione. Scrivo, leggo, ascolto musica, divoro film e serie tv. Soprattutto turche. Soprattutto con Engin Akyürek. Il mio sogno? Intervistarlo

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