Engin Akyürek

Traduzione italiana dal turco del racconto di Engin Akyürek scritto per la rivista Kafasina Göre, nr 44 – maggio 2022 e pubblicato nel suo secondo libro Zamansiz (Indigo Kitap), maggio 2023

Per un po’ ho pensato che si nascondesse in qualche angolo appartato.
Quando spariva, quando non strisciava sotto i miei piedi e non si accoccolava, apriva le porte chiuse degli armadi con le zampe anteriori e ci si nascondeva dentro. Anche se gli dicevo: “Aziz, Aziz, dove sei?”, non emetteva alcun suono e dormiva in un angolo buio rantolando.
Passavano le ore, avevo cercato in tutti gli armadi dove avrebbe potuto nascondersi, anche nelle sue dispense con cui mi faceva impazzire ogni volta per la sua creatività, e man mano che il tempo passava mi trovavo di fronte a una sensazione che mi bruciava le viscere per la paura di perderlo. Le scintille che iniziavano a sfrigolare dentro di me sembravano bruciarmi la voce. L’annodarsi della lettera z nella mia gola mentre dicevo “Aziz, Aziz” equivaleva alla perdita delle mie corde vocali.
La porta esterna era chiusa a chiave, le finestre erano ben chiuse. Giravo per l’intero condominio, guardavo nelle scale, nel ripostiglio, molestando anche i vicini. Chiedevo anche agli altri gatti che si aggiravano nel giardino del condominio. Ogni volta che sentivo per strada “Aziz, figlio mio, dove sei?”, il mio cuore soffriva un po’ di più.

Aziz era entrato nella mia vita un anno fa. Ho sentito la sua voce per la prima volta nel cuore della notte in una strada vicina al palazzo in cui vivo, poi ci siamo salutati e incontrati quando si è strusciato contro la mia gamba. Non aveva graffi sul muso, il suo pelo era lucido e il fatto che avesse un collare sottile coperto di fango intorno al collo significava che era un gatto di casa. Era ovvio che era stato buttato per strada o che era scappato di casa. Mi chinai e gli accarezzai la testa con la punta delle dita. Pensai che avesse fame dal suono che emetteva strofinando la testa contro i miei palmi. Lo afferrai dalla pancia e cominciammo a camminare, mentre le sue zampe anteriori ciondolavano, come se stessi trasportando qualcosa che mi era stato affidato.

Camminavo e rispondevo alle domande che mi giravano in testa: “Lo porto a casa o compro il latte al negozio di alimentari all’angolo, gli do da mangiare e lo lascio lì?”
Ho messo il latte comprato al negozio di alimentari nel vasetto dello yogurt appoggiato al muro per far bere l’acqua agli uccelli. Lui guardò prima il vasetto dello yogurt, poi il latte, poi me. Avrei imparato più tardi che i gatti non corrono dietro al latte anche se hanno fame, e che non si può mettere un vasetto dello yogurt sporco davanti alla fame. Con la sua linguetta bevve il latte che avevo comprato al supermercato, alzò lo sguardo e mi guardò di nuovo. Quella sera lo portai a casa mia: le mie prime frasi “Fallo scaldare un po’ e dagli da mangiare” mi avrebbero condotto a “Fallo vedere dal veterinario”, al cibo migliore e ai cuscini colorati per gatti. Il momento in cui alzò lo sguardo dal vasetto sporco dello yogurt e mi guardò fu come la sinossi dell’anno che avremmo trascorso insieme.

La notte in cui è scomparso, avevo perso la speranza di trovarlo. Non sapevo se era quello che facevano i gatti. Forse Aziz sapeva andarsene così come era arrivato. Anche se non conosco la sua età esatta, secondo il veterinario aveva più di sette anni. Per un gatto era il tempo di fare esperienza, per un umano l’età in cui comincia la scuola… Aziz aveva già finito la scuola della vita.

Quando l’ho trovato, il collare al collo diceva “Aziz”. Non ho sentito il bisogno di dargli un altro nome. Comunque, non mi avrebbe guardato qualunque nome avessi scelto, solo Aziz. Man mano che ho imparato a conoscerlo mi sono reso conto che un altro nome non gli sarebbe stato bene… Era un “Aziz” *… Il giorno dopo, senza aver chiuso occhio, ho raccontato cosa era successo ai miei amici più cari e cercato un modo per trovarlo. I miei amici che conoscevano il mondo dei gatti hanno immediatamente condiviso le foto di Aziz sui social media e sulle pagine dedicate ai gatti. Sebbene non fossi tanto pratico, per un momento ho sperato di trovarlo. Una settimana dopo, ho iniziato a sentire sempre di più l’assenza di Aziz. Quando ho visto la sua ciotola del cibo, i cuscini per dormire, i peli di soriano appiccicati al divano, i miei occhi si sono riempiti di lacrime e ho sentito quanto ero stato felice dell’anno trascorso con lui.
Nella seconda settimana della sua scomparsa, un numero di telefono che non conoscevo mi iniziò a chiamare con insistenza, non potevo rispondere perché ero in riunione e la curiosità mi divorava perché non potevo rispondere. Era un numero non registrato e poteva trattarsi di Aziz. Il telefono, che avevo messo in silenzioso sul tavolo, sembrava strillasse… Non ce la feci, afferrai il telefono, uscii con un piccolo cenno di scuse e risposi: “Pronto…”.

Dopo quindici chiamate perse, chi c’era dall’altro capo del telefono rimase in silenzio per un po’ pensando che non avrei risposto.
“Pronto…”
“Pronto…”
“Sono Leyla, scusi se la disturbo, ma forse sono un po’ emozionata”.

“Prego, vi ascolto”.
“Ho visto l’annuncio del suo gatto scomparso…”.
Quando ho sentito la parola “gatto”, ho improvvisamente liberato l’aria sporca che mi si era annodata in gola da giorni. Mi aggrappai con il fiato sospeso alla ragazza dalla voce vellutata che pensavo avesse trovato Aziz.
“Oh, grazie a Dio, l’ha trovato?”
Non ha risposto subito alla mia domanda, come se volesse liberare il fiato che aveva trattenuto in gola per un po’. “Mi lasci dire che il gatto di cui ha denunciato la scomparsa è il mio”.
“Aziz?”
 “Sì, Aziz, non gli ha nemmeno cambiato nome, è scomparso un anno fa”.
Poiché eravamo entrambi due persone che avevano perso qualcosa, questa conversazione telefonica iniziata per la scomparsa di Aziz ci ha portato ben presto a seguirci sui social media, a messaggiarci, a incontrarci e a bere tè e caffè con una leggera curiosità. Avevamo un argomento in comune, ovvero Aziz. Quando ci vedevamo, eravamo felici come se avessimo visto Aziz, e alleviavamo la nostra perdita raccontandoci i nostri ricordi su Aziz. Non so se, tolto Aziz, avremmo avuto altri argomenti di conversazione o se le nostre frasi che si apprezzavano a vicenda si sarebbero sedute a un tavolo.

Leyla lo aveva trovato vicino a casa sua una notte e lo aveva portato a casa. Con il suo collare con la scritta “Aziz” e il suo lucente pelo soriano, la sua entrata e la sua uscita dalla nostra vita sono state le stesse. Aziz uscì di casa alla fine di un anno con tutte le porte e le finestre chiuse, come se ci avesse concesso un periodo di un anno.


Le nostre conversazioni si sono approfondite e, man mano che si approfondivano si sono rivelati i nostri volti nascosti dietro a quelle frasi. Era come se Aziz fosse venuto, avesse avvicinato due persone e se ne fosse andato…

Per tre mesi abbiamo parlato al telefono tutti i giorni, ci siamo incontrati nei fine settimana, abbiamo bevuto tè e caffè e abbiamo trasformato le nostre frasi iniziate con Aziz in frasi su di noi. Sapevamo entrambi che se avessimo portato via Aziz, il tavolo dove stavamo bevendo il tè avrebbe ceduto alla gravità e la sedia sotto di noi sarebbe scomparsa nel vuoto.

Erano passati sei mesi. Le nostre conversazioni telefoniche avvenivano una volta alla settimana, le chiacchierate per il tè erano distribuite nell’arco di quindici giorni. Non eravamo esattamente amanti né amici; era come se avessimo una relazione in cui il tempo avrebbe deciso cosa ne sarebbe stato. Per essere amanti, forse avevamo bisogno di più passione, palpitazioni e curiosità. Il tentativo di rimanere amici aveva anche creato l’inizio di conversazioni poco piacevoli. Era come se entrambi stessimo bevendo tè su un ponte sottile e il tempo avrebbe deciso dove saremmo caduti.

Alla fine di un anno, il nostro rapporto tra l’essere amanti e l’essere amici era diventato estenuante. C’era una piccola ma crescente ferita nel mezzo, che era prigioniera della mediocrità e creava un rapporto poco eccitante. Ogni volta che decidevamo di essere amici, ci mancavamo come coppie di innamorati. Se iniziavamo a diventare amanti, le nostre conversazioni e confidenze diventavano insincere e ci sentivamo come due estranei.
Questa situazione stava diventando stancante per entrambi.

Avevo deciso di porre fine a questa relazione che era bloccata tra l’essere amanti e l’essere amici facendoci del male… Stavamo bevendo il nostro tè nel bar in cui ci piaceva incontrarci. Nel silenzio, cercavo di trovare le frasi più adatte alla situazione, cercando di trasformare le parole migliori nella mia testa in un discorso, senza alterarle. Entrambe le nostre teste erano sulle tazze da tè…
Fu lei a rompere il silenzio.

“Ti conosco da un anno…”.
“Wow, è passato un anno”. Pronunciai una frase bugiarda, come se non mi rendessi conto della situazione. Era passato un anno e venticinque giorni da quando ci eravamo conosciuti. E un anno e trentacinque giorni da quando Aziz se n’era andato…
Lei rispose alla mia frase insincera con un sorriso sincero.
“Sì, è passato un anno… Ho passato bei momenti con te e ho avuto momenti di dolore…”.
La sua frase iniziata con un sorriso si stava dirigendo verso un punto drammatico: “Non lo so, cosa ne pensi?”
In realtà, avevo capito cosa intendesse dire e le gettai addosso il peso di voler ascoltare da lei il discorso di rottura della nostra relazione senza nome.
C’era un’espressione senza senso nel mio sguardo: “Non capisco, cosa vuoi dire?”
“Penso che siamo entrambi molto stanchi, non vediamoci più…”.
Il mio cellulare accanto alla tazza del tè cominciò a squillare.
Leyla aveva un’espressione in attesa di risposta.
“Hai ragione, siamo entrambi stanchi…”.
“Quindi sei d’accordo sul non vederci?”.
“Hai ragione, siamo entrambi stanchi…”.
Il telefono continuava a vibrare sul tavolo.
“Rispondi a quel telefono, potrebbe essere urgente”.
Voleva condividere il peso e la responsabilità della conversazione di addio.
Bloccato dalla sua domanda, mi aggrappai al telefono sul tavolo come se fosse il mio salvatore.
“Pronto”.
“Pronto, sono Nehir Yılmaz. Mi scusi se la disturbo, ma ho visto l’annuncio della scomparsa del gatto che ha condiviso un anno fa…”.
“Sì…”
“Ho il suo gatto Aziz da un anno e ho visto l’annuncio per caso”.
“Oh…”
Leyla mi guardava con occhi curiosi, cercando di capire cosa fosse successo.
“Come possiamo… Mi sono preso molta cura di lui per un anno, ma d’altra parte avvertivo uno scrupolo, sono sicura che fosse molto turbato”.
“Sì, molto”
“Posso mandarle il mio indirizzo via sms, se vuole”.
Leyla faceva domande con lo sguardo, cercando di capire il contenuto della conversazione
“Cos’è successo, niente di grave, vero?”.

Non le avevo detto, o meglio non volevo dirglielo, che Aziz era al centro del discorso di rottura.
Mezz’ora dopo eravamo nel tempo in cui non ci saremmo più visti.
Tirai lo schermo del telefono verso il collo, dissi: “Niente di importante, si tratta di lavoro…”, feci un cenno di scuse con la testa e mi allontanai dal tavolo.
“Aaa… Signora Nehir, mi sente?”.
“Sì”.
“Se mi dà l’indirizzo, vengo subito a ritirarlo”.
“Lo invierò come messaggio”.
“Che le porte e le finestre siano ben chiuse. Arrivo subito…”.


* Aziz: Ho chiesto ad una persona per me davvero speciale, che ho avuto la fortuna non solo di conoscere ma anche di essere considerata da lui un’amica, il significato di questo nome, supponendo che non fosse casuale la scelta fatta da Engin. Non mi sbagliavo.
Questa la sua risposta: Aziz è una persona che è considerata superiore all’acqua, alla vita, a tutti gli esseri considerati di valore, insomma una persona che è considerata superiore nell’amore, nella bellezza, nell’amicizia, in tutte le sfere dell’esistenza, una persona che è considerata “PIÙ”.

“EN” (più) è una parola molto speciale. Se si chiama qualcosa “EN”, non si può chiamare altro nello stesso modo. Per esempio, avete guardato una montagna e avete detto: “Questa montagna è la montagna PIU’ bella!”. L’argomento è chiuso, non ci si può rivolgere a un’altra montagna e dire: “Questa è l’altra montagna PIÙ bella”: sarebbe contro la semantica e l’etimologia, e se qualcosa è PIÙ, qualcos’altro non può essere PIÙ.

Questo è ciò che è un “AZIZ”. Il “PIÙ”.

Ros

4 Comments

  1. Camelia Antonietta

    Grazie Ros ,è sempre piacevole leggere i racconti  di Engin ,in questo mi sembra che,Lui,il protagonista dopo un anno si sia affezionato molto più ad Aziz che a Leyla con la quale ha instaurato un rapporto senza nome , con Aziz è stato amore a prima vista: ” il momento in cui mi guardò…fu come il riassunto di un anno che avremmo passato insieme” mentre con Leyla era nata una relazione indefinita già destinata a cadere era solo questione di tempo : “il tempo avrebbe deciso dove saremmmo caduti” il finale lascia come sempre spazio alla fantasia : Aziz tornerà a casa o scapperà ancora con porte e finestre chiuse ?? Può uno spirito libero essere rinchiuso??

    1. Può un sentimento come l’amore essere ingabbiato in una relazione senza nome?

      1. Carissima Ros, non immagini quanto ti sono grata per questi racconti.Grazie di cuore. Approfitto per farti i complimenti anche per i tuoi articoli,che riflettono l amore per Engyn,che io condivido in pieno

      2. Grazıe Angela, che carina che sei! Mi fa un enorme piacere che ti piaccia ciò che scrivo….e che si capisca da cosa sono mossi 🙂
        A presto!

Ros

Giornalista freelance, ghostwriter, content editor, sommelier, mi occupo di uffici stampa e comunicazione. Scrivo, leggo, ascolto musica, divoro film e serie tv. Soprattutto turche. Soprattutto con Engin Akyürek. Il mio sogno? Intervistarlo

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