Ti indicherò la via, Kerim e le scene clou/12

Episodio 12, analisi di alcune scene di Fatmagül con Engin Akyürek

“Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno, un padre, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita.”

Prendo in prestito uno stralcio del bellissimo “Oceano Mare” di Alessandro Baricco per mettere a fuoco il rivolo delle emozioni, il filo che, secondo me, lega la narrazione di questo dodicesimo episodio. E cioè la strada che attende di essere percorsa, “da qui al mare”.
Una strada difficile e complicata per una ragazza che è stata violata, privata dei sogni e che accanto non vede più nessuno – nessuno – che possa prenderla per mano e accompagnarla lungo quella via. O quantomeno indicarle la direzione, mostrarle che è capace, che può farcela.
Qualcuno che in mezzo a quella calma dolorosa di giorni tutti uguali, la porti lì dove la corrente della vita possa travolgerla nuovamente, farla sentire di nuovo viva. Qualcuno che possa squarciare la coltre di dolore che ha soffocato la leggerezza dei suoi sogni, che provi a sussurrarle, nel frastuono vociante che l’avvolge, parole di speranza.

Fatmagül si sente sola. Decisamente sola. L’amore del suo Abi non è sufficiente perché assolva al suo compito di fratello maggiore e dunque di guida, per le ragioni che conosciamo; Mukkades con il suo caratteraccio e il suo personalissimo codice di valori rende la vita di questa ragazza un vero inferno, scaraventandole addosso le sue personali frustrazioni.
L’unica persona che sembrava essere ancora al suo fianco, che lei immaginava fosse ancora lì da qualche parte ad aspettarla sui bordi della vita, l’uomo con cui aveva immaginato un futuro insieme, non c’è più: anche Mustafa non c’è più. A dire il vero Mustafa non c’è più già da un pezzo (o forse non c’è mai stato veramente…), dal momento in cui ha ignorato il suo urlo straziante, dall’istante in cui la sua rabbia ha soverchiato ogni altro possibile sentimento, dal giorno in cui ha appiccato il fuoco alla loro casa, riducendo Fatmagül in polvere e cenere.
In realtà Fatmagül ha continuato a coltivare nel profondo del suo cuore la speranza che tutto potesse ricomporsi, che i brandelli di quella sua vita maledetta dal destino si potessero ricucire. Ma alla notizia che Mustafa sarebbe partito per l’estero, Fatmagül vive la terribile certezza di aver perso definitivamente tutto. Di essere definitivamente sola.

Il terrore della solitudine
Fatmagül è disperata. Ha litigato con Mukkades che non perde occasione per provocarla, deriderla, colpevolizzarla. Fatmagül è immobilizzata, paralizzata, costretta in un vicolo senza uscita, inchiodata dal fallimento: accanto non ha nessuno che possa tenderle una mano. Di chi potrà fidarsi? Se potesse, scapperebbe via lontano da tutti e da tutto, per ritrovarsi altrove, liberandosi dei fantasmi che aleggiano su quel poco e niente che è rimasto della sua vita.
Istigata e profondamente ferita dalla cognata, Fatmagül si rinchiude nel bagno, nel disperato e infantile tentativo di mettersi al riparo da una casa troppo stretta, in cui nessuno sembra in grado di sentire la sua sofferenza. L’unica capace di compiere un (altro) passo verso di lei, di preoccuparsi veramente, di sentire il suo dolore, è Meryem.

Meryem sente tutta la disperazione di Fatmagül, teme possa fare qualche gesto estremo. Chiama Kerim.  Il quale può fare poco e nulla.  L’unica cosa che può fare è sfondare la porta del bagno, prima che sia troppo tardi. Ai loro occhi appare tutta l’angoscia di uno scricciolo in lacrime: Fatmagül è seduta a terra, urla disperatamente, rannicchiata come una bambina che non sa difendersi. Negli occhi smarriti di Kerim si legge tutto il terrore di Fatmagül. Quel terrore entrerà come una lama nella carne viva di Kerim. Che non dimenticherà.
Engin è particolarmente bravo a dare corpo, attraverso il suo viso, allo stupore ma anche allo smarrimento che quella visione provoca a chi guarda col cuore.  Una visione che spiazza, per il dolore gridato furiosamente, che mette a nudo i sentimenti di chi vuol vedere, dopo aver prima depredato Fatmagül.

Il primo passo
Meryem, con la dolcezza, la pazienza e la sua capacità empatica conquista la fiducia di Fatmagül, difendendola apertamente da Mukkades. Ora è al suo fianco. Con la saggezza e la stabilità mentale ed emotiva che nessuno in quella casa possiede, può assurgere al ruolo per cui è chiamata: indicare la strada da percorrere. Meryem consiglia a Fatmagül di chiedere aiuto ad uno specialista, ad un medico, “perché il silenzio accresce il guscio di dolore”.  Fatmagül ha bisogno di parlane, ha bisogno di essere aiutata: “Devi lasciare uscire il veleno che hai dentro, per non rischiare di conviverci per tutta la vita”.

È il primo passo verso la guarigione. È il primo, necessario, passo, di un percorso lungo e doloroso. È una prima metamorfosi importante: la violenza e le sue conseguenze non sono qualcosa da accettare con rassegnazione, non rappresentano la colpa e il marchio da portare a vita. Se l’atto, vile, ignobile, imperdonabile, non potrà mai essere cancellato, le sue conseguenze si possono attutire, gestire, governare, prevenire. La metamorfosi è nella consapevolezza di questa possibilità. È nella consapevolezza che si tratta di una condizione di sofferenza da cui uscirne. È nella consapevolezza che dà speranza.

Kerim e il travaglio interiore
In questo clima di fiducia crescente fra le due, Fatmagül confida a Meryem che Kerim sta per andare via. Ovviamente Meryem non perderà occasione per riprovarci.
Attenderà la sera, gli porterà la cena nel capanno. Andrà dritta al punto:
“Fatmagül mi ha detto che stai andando via. Non vedi cosa sta passando questa ragazza?”.
“Abla, per favore. Devo andare via da qui, la mia presenza è inutile”.

Poi Meryem prosegue, condendo il tutto con un velo di sarcasmo, per rendere ancora più amaro ciò che gli sta dicendo:

“No no, vai, vai, scappa dalle tue responsabilità. Andando via forse dimenticherai l’ingiustizia che hai commesso. La voce della tua coscienza non ti raggiungerà, non la sentirai. Dopo aver rovinato una vita qui, te ne rifarai una nuova di zecca altrove. Potrai aprire una nuova pagina, lasciando la ragazza qui, senza fiato e infelice. Temo di non poterti dire addio.
Se te lo stai chiedendo, io non andrò da nessuna parte, rimarrò qui, non permetterò a quella donna di torturare questa ragazza. Non posso lasciarla sola. Non sono così senza cuore. Buon appetito”.

Il buon appetito è la goccia di veleno finale.
Kerim non può più mangiare, esce e va al torrente.


La distanza che separa
È ancora seduto sulle sponde di quel corso d’acqua che scorre con la stessa lentezza delle loro vite, quando Fatmagül in piena notte si sveglia in preda a un incubo e raggiunge il torrente. Troverà Kerim in lacrime.
Kerim sente tutto il peso del caos che ha intorno: tutti sospettano di loro, Fatmagül non lo perdonerà mai, Meryem continua a metterlo alle strette. Kerim è schiacciato dalla responsabilità di aver causato tutto questo.  Essere il motivo dell’infelicità a cui ha condannato Fatmagül è un carico che non riesce a gestire.

Fatmagül e Kerim davanti al torrente, sono due vite in pena, dilaniante dal dolore, due anime sole che combattono a modo loro con i fantasmi di una violenza che li ha travolti entrambi. 
Kerim si accorge di lei, ha un sussulto, la guarda quasi con terrore perché teme di farla soffrire ancora, anche solo con la sua presenza. Si guardano ed entrambi non possono non vedere il dolore sul viso dell’altro.
Kerim va via, non può restare. Lei si volta a guardarlo, dopo un poco lo fa anche lui.  Lui si allontana. Tra Fatmagül e Kerim non può che esserci distanza.
L’allontanamento di lui su cui il regista si sofferma è la rappresentazione plastica della distanza fra i due. Così vicini su quelle scale della villa Yasaran quando tutto sarebbe potuto accadere ma nulla è stato, così maledettamente distanti adesso, sul vialetto di questa casa che non riesce ad essere il rifugio sicuro che avevano cercato.
Non può essere diversamente. Almeno, non ancora. 

La distanza da colmare
Toccherà a Kerim però colmare questa distanza. Quantomeno provarci.
Fatmagül è sparita, a casa non c’è, non c’è da nessuna parte. Sarà Kerim che la ritroverà nel parco, mentre lei si aggira come uno spettro, mentre corre in un bosco sconosciuto, da sola, con lo sguardo perso “come una gazzella impaurita”, dirà poi.
Fatmagül ha appena chiamato Mustafa, ma ha risposto una donna. Fatmagül comprende di averlo perso per sempre.
Fa male, maledettamente male, quando l’ultima idea che ti mantiene ancora in vita va in frantumi.

Kerim la ritrova.

“Tutti sono preoccupati per te”.
“Vai via”, dice lei. A Fatmagül non importa che siano preoccupati. Non le può importare del loro dolore, perché deve fare i conti con il suo di dolore. Deve fare i conti con la certezza di essere rimasta definitivamente sola. Con la certezza di non importare più a nessuno. Con la certezza di essere condannata a quella vita per sempre.

“Che è successo? Perché stai piangendo?”
“Vai via”.
“Vieni, andiamo”.

Lei si rifiuta. Ma Kerim sta imparando a conoscerla, sa che per il fratello farebbe qualunque cosa: “Tuo fratello si è spaventato, sta piangendo anche lui”.

Poi le indica la strada: “Da questa parte”.
È la prima di numerose volte in cui Kerim la prenderà per mano. In cui le stringerà delicatamente la mano per accompagnarla, guidarla, starle semplicemente accanto. Per ora è solo uno stringerla metaforico, non la sfiora nemmeno. Non può nemmeno pensare di farlo. Ma è come se le prendesse quella mano, condividendo simbolicamente un pezzo di strada assieme. Portando simbolicamente un pezzo del suo dolore sulle sue spalle.

Kerim sta imparando davvero a conoscerla, sa che lei non camminerebbe mai accanto a lui. E allora comincia a percorrere quel sentiero nel bosco davanti a lei. Cammina davanti a lei. Le mostra timidamente la strada. È la stessa strada, in fondo. Devono percorrerla insieme. Ma, ancora, non accanto.

L’atteggiamento delicato di Kerim è la premura di chi preoccupato si pone allo stesso livello di chi soffre, l’approccio di chi si abbassa per guardare negli occhi e riuscire a vedere la sofferenza della persona a cui ha teso la mano. L’atteggiamento di Kerim è ascolto, delicatezza, pazienza, è dire “ok facciamo come vuoi, ma ti prego torna, siamo tutti così in pensiero per te”.  L’atteggiamento di Kerim è l’arma con cui riuscirà a vincere i mostri della loro vita.

Kerim e Fatmagül iniziano a camminare. Lui è davanti, lei lo segue. È Kerim che ha il compito di indicare dunque la strada, di guidare il percorso di Fatmagül. A Kerim tocca indicare la “strada da qui al mare”. Lui ancora non lo sa, ma sarà così e questa scena per me è iconica in tal senso. Kerim non scappa dalle sue responsabilità, non rimane fermo in attesa che succeda chissà cosa perché Fatmagül lo perdoni o gli creda, ma si mette in cammino. Ci prova.  Tenta. Inizia a camminare.
Comincia a relazionarsi con lei con tatto, amorevolezza, pazienza e delicatezza. Lui ancora non ha consapevolezza di tutto questo, ma quanto è successo in questa scena è il segnale di ciò che può accadere. In un tempo lontano, certo, ma può accadere. È la speranza in grado di accendere una minuscola miccia per la metamorfosi, il cambiamento, la trasformazione.  Una speranza che si intravede, si percepisce appena appena, sul bellissimo volto di Kerim, abilmente utilizzato da uno straordinario Engin, che senza mai esagerare – come solo lui sa fare –  riesce a esprimere ciò che si muove nel cuore di Kerim.

Il tempo di andare
Nessuno dei due, ancora, ha la predisposizione d’animo giusta per sentire che hanno bisogno uno dell’altra. Non c’è la lucidità per ascoltarsi, figurarsi per capire. Non c’è spazio per qualcosa di diverso dalla rabbia, dalla confusione, dalla voglia di scappare via.  Gli eventi travolgono, continuano a travolgere, entrambi.
Qualcosa, però, sembra accadere quando Kerim sente casualmente la chiacchierata fra Meryem e Fatmagül.

“Nella sua vita c’è un’altra. Ha trovato un’altra e mi ha dimenticata. E adesso sto peggio”, Fatmagül le sta raccontando della telefonata.

Kerim è nella stanza accanto, rimane immobile, poi gira le spalle e va via: una punta di gelosia, adesso, sembra aver fatto irruzione fra i sentimenti provocati da questa ragazza. Qualcosa di diverso, dunque, dalla sola preoccupazione per ciò che le ha causato.
Ma non è tempo di provare altro.
È tempo di andare.
Il postino gli consegna il visto.
Adesso Kerim può, finalmente, andar via.
Le strade dei due sembrano destinate a non condurre allo stesso mare.

Ros

2 risposte a “Ti indicherò la via, Kerim e le scene clou/12”

  1. Grazie Ros ❤️
    Era da tanto che non ti leggevo e rivivevo la, splendida Fatmagul. In questa puntata la sofferenza di entrambi è molto molto forte e la di percepisce per tutta la puntata. La scena sul pontile eccezionale recitata solo con gli occhi

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