Riflessioni e ansie sul 13° episodio di Adım Farah
Una donna col capo coperto si avvicina al mare mentre uno stormo di gabbiani si alza in cielo. Poi quelle stesse mani abbasseranno l’hijab prima di compiere un gesto banale, quotidiano, eppure così sovversivo: legare i lunghi capelli con un elastico. La macchina da presa si avvicina, inquadrando di lato questa donna dai tratti mediterranei che guarda il mare, con uno sguardo carico di pensieri, prima di voltarsi e incamminarsi confondendosi tra la folla di Istanbul.
Quella donna è Farah.
Mentre ci avviciniamo a grandi passi al finale non posso fare a meno di tornare indietro alla prima puntata per recuperare un dettaglio che non mi era passato inosservato e che, dopo aver visto come è stata sviluppata la figura di Farah e delle altre donne protagoniste della serie, merita di essere sottolineato per evidenziare ancora una volta il coraggio e la bellezza di questa serie.
Adım Farah non è una serie di denuncia sociale in senso stretto, eppure sceglie come protagonista principale una donna iraniana che vive a Istanbul da clandestina e, nel dare avvio al racconto della sua storia, sceglie di esprimere con quella minuscola ma significativa sequenza solidarietà alle donne che in Iran stanno vivendo un momento storico lacerante. Farah compie lo stesso gesto, quello appunto di legarsi i capelli in una semi coda, compiuto dalla giovanissima attivista Hadith Najafi per ricordare Mahsa Amini, la ragazza curda morta dopo essere stata arrestata dalla polizia della sicurezza morale iraniana per aver indossato il velo in modo non corretto. I dettagli emersi dopo la sua morte, non hanno lasciato dubbi sul fatto che Mahsa sia stata brutalmente picchiata dalla polizia morale (*fondata nel 2000 per pattugliare le strade e assicurarsi che l’aspetto delle donne sia rispettoso dei principi islamici). Quel gesto banalmente ordinario, usuale, normalissimo, è diventato nel giro di pochissimo tempo l’immagine simbolo della rivolta delle donne in Iran. Anche Hadith Najafi è purtroppo morta tragicamente, colpita da sei proiettili al petto, al collo, al cuore.
Dopo quei due episodi, in Iran le piazze si sono riempite di migliaia e migliaia di persone che hanno voluto protestare contro il governo e le regole imposte alle donne, in tantissime hanno bruciato in maniera estremamente simbolica il velo e tagliato i capelli. Una mobilitazione che si è allargata in tutto il mondo, con manifestazioni di solidarietà e vicinanza alle donne iraniane che si ribellano al fondamentalismo islamico e a un governo maschilista.
Perché tagliare i capelli? Si tratta di un gesto antichissimo, un rituale menzionato addirittura nello Shahnameh di Ferdowsi, capolavoro della poesia epica scritto intorno al X secolo (la copia più antica ancora esistente è conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze!). Si tratta di un classico della poesia epica persiana – considerata come la poesia epica più lunga del mondo scritta da un poeta solo – che racconta la leggendaria storia dei re pre-islamici dell’Iran. Il gesto di tagliare i capelli esprime da sempre lutto, rabbia, desiderio di vendetta, la provocazione nel voler ignorare la bellezza femminile poiché soverchiata da questi sentimenti negativi. In alcuni villaggi dell’Iran le giovani vedove appendono ai rami degli alberi i propri capelli intrecciati e tagliati.
La situazione femminile in Iran, però, non è sempre stata questa. Nel 1926 ci prova lo scià Reza Pahlavi interpretando la richiesta di modernizzazione e occidentalizzazione di una parte del popolo. Dà così avvio a un processo di radicale trasformazione, nel quale le donne, oppresse a lungo dalla sharia islamica, piano piano conquistano un ruolo di protagonismo nella vita pubblica. Negli anni sono diverse le modifiche introdotte: dalla possibilità di studiare all’università, al diritto di voto, dall’innalzamento a 18 anni dell’età per potersi sposare (prima era di 15 anni…), all’aborto con il consenso del marito. Durante questo periodo di riappropriazione del proprio ruolo sociale, le donne non hanno l’obbligo di indossare il velo e possono vestire liberamente senza incorrere in richiami da parte delle forze dell’ordine. Questo lungo e virtuoso percorso di cambiamento conosce però uno stop repentino nel 1979 con l’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini, che blocca il processo di occidentalizzazione, riducendo drasticamente i diritti delle donne. La prima azione è quella di reintrodurre l’obbligo del velo islamico e qualche anno dopo non indossare l’hijab diventa un reato punito con frustate o la prigione. Alle donne, inoltre, non è più consentito potersi truccare né lavorare senza il consenso del marito, mentre l’adulterio comporta la pena di morte con lapidazione. Oggi le donne iraniane sono tenute a indossare il velo già a nove anni, non possono viaggiare all’estero da sole se sono sposate e chi tradisce il proprio marito rischia la pena di morte.
Un articolo datato 2020 dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” riporta dei dati allarmanti, secondo cui ogni anno trentamila ragazze sotto i 14 anni si sposano forzatamente: gli anziani ayatollah estremisti, considerati “fonti di emulazione sciita”, sostengono che è sufficiente il raggiungimento della pubertà affinché una ragazza possa sposarsi con il consenso del padre. Ciò sarebbe coerente con i dettami del Profeta Maometto, il quale si dice abbia sposato almeno una ragazza minorenne: “Aisha, di sei anni, con la quale ha consumato il matrimonio quando lei ha compiuto nove anni”.
Nel 2011 un film del regista Babak Amini “I Wish Someone Were Waiting for Me Somewhere” (che mi piacerebbe tanto vedere) ha denunciato la realtà delle “nozze a tempo” in Iran: nel “Sighe” (il matrimonio temporaneo celebrato da un mullah) si stabilisce la durata del contratto che può andare da un’ora a 99 anni e rappresenta un modo per aggirare le leggi iraniane che puniscono il sesso prima e fuori dal matrimonio ordinario. Gli uomini possono contrarre più matrimoni a tempo contemporaneamente, mentre alla donna ne è consentito solo uno, inoltre deve aspettare almeno due mesi prima di sposarsi di nuovo, perché potrebbe essere rimasta incinta.
Un paio di mesi fa, in una scuola di Teheran alcune giovanissime studentesse hanno filmato il momento in cui distruggono la fotografia dell’ayatollah Khamenei cantando queste parole: «Non abbiate paura, restiamo unite. Donna, vita, libertà». Un fatto che ci restituisce la potente energia di queste giovani donne pronte a tutto per conquistare ciò che in realtà spetterebbe loro di diritto. Mi preme, peraltro, riportare due dati significativi, per rendere più completo il ritratto della condizione femminile in Iran: il 97% delle donne sono alfabetizzate, con un 66% di laureate di cui il 70% in materie STEM (ossia scienza, tecnologia, ingegneria e matematica); inoltre, in questa ribellione contro il controllo patriarcale del loro corpo e degli spazi pubblici, le donne iraniane non sono sole, al loro fianco ci sono i giovani uomini, perché la lotta per i diritti delle donne è anche la lotta per la propria libertà.
Queste le parole della scrittrice iraniana Bita Malakuti a Vanity Fair per descrivere l’attuale condizione delle donne del suo paese: “Le donne, in Iran, non hanno il diritto di scegliere il proprio abbigliamento. Devono indossare il foulard. Le donne sposate devono chiedere il permesso al marito per lavorare, viaggiare e persino ottenere un passaporto. Gli uomini hanno un assoluto diritto alla custodia dei figli in caso di divorzio. L’eredità riconosciuta alle donne ammonta alla metà di quella degli uomini. Non hanno il diritto di divorziare, se non in circostanze molto particolari. Da poco tempo, le donne non hanno nemmeno più il diritto di sottoporre a screening il feto nel loro ventre”.
Perché questa lunga parentesi? Perché credo possa essere utile per cogliere meglio il contesto sociale da cui proviene Farah e comprendere anche, a mio avviso, il suo comportamento. Il suo relazionarsi a Tahir, per esempio. Che ha espresso ed esprime tuttora una certa ritrosia, che non è però ritrosia civettuola, ma conseguente ai condizionamenti sociali e culturali vissuti in patria. Farah ci dà la sensazione di essere sempre un poco trattenuta, di non lasciarsi andare mai del tutto, completamente, di non sprigionare quella cedevolezza, che è decisamente naturale quando si è nel pieno dell’innamoramento. I condizionamenti culturali hanno bisogno di tempo per essere superati. Da questa prospettiva, quindi, assumono un significato ancora più profondo alcuni dettagli. Come l’iniziativa presa da lei nella scena dell’amore nell’episodio precedente: un passo avanti importantissimo nel percorso di affrancamento dai limiti dell’educazione ricevuta in patria e dai condizionamenti sociali. Ancora: qual è la prima cosa che fa Farah una volta che si sente di essere al sicuro, nella casa di Tahir? Ricordate quando indossa quel lungo abito da sera azzurro? Si trucca. Si guarda allo specchio, mentre per la prima volta ha tolto i vestiti umili da donna delle pulizie clandestina e mette il rossetto. In quell’episodio, ancora le dinamiche tra Farah e Tahir non sono chiare, noi supponiamo (e speriamo!) che ci sia qualcosa che sta nascendo fra i due, ma questo non importa in quel momento. Farah inizia a riappropriarsi della sua identità femminile: indossare un bel vestito, mettere in mostra il proprio corpo, truccarsi le labbra, gesti che urlano il desiderio di affermare il diritto alla sensualità e alla femminilità. Ma anche, la cura e l’attenzione prestata da Farah ai capelli in questo 13° episodio: gesti che qualunque donna compirebbe per prepararsi per il compleanno del proprio uomo, ma che in questo contesto assumono il sapore della conquista.
Farah è una donna che ha dovuto conquistarsi ogni singolo pezzo della propria vita. Una donna che ha dovuto pagare un prezzo alto per raggiungere la sua libertà, che ha dovuto rinnegare la sua stessa identità – ricordiamo che è un medico e come tale la sua propensione è salvare ogni vita umana – uccidendo l’uomo di cui era innamorata follemente. Un uomo che improvvisamente la considera una peccatrice e che, in quanto tale, deve essere trattata da criminale in quel paese dove peccato e reato divengono un’unica cosa, dove la legge morale modella la legge civile, dove la religione e i testi sacri sono le fondamenta della costituzione. Può l’amore essere considerato un peccato?
E proprio con la parola peccato Farah sogna l’arrivo del padre di Kerimşah, che è vivo e vegeto, in un sogno che si intreccia con la realtà, lasciandoci per un lungo attimo una sensazione di smarrimento perché non capiamo dove finisce la realtà e dove inizia il sogno.
È un sogno. Tiriamo un brevissimo sospiro di sollievo per poi chiederci se quello a cui assistiamo è il fluire tormentato della coscienza di Farah o se si tratta di un sogno premonitore. Perché quell’incubo si conclude con l’immagine peggiore che ci potremmo aspettare: la morte di Tahir.
Un sogno nel quale risuonano le parole terribili del padre di Kerim: “Tuo figlio non è nato secondo le tradizioni religiose, come te è anche lui un peccatore”. Che significato hanno queste parole? Anche Kerimşah come Farah è condannato alla stessa sorte? Quindi dobbiamo aspettarci che Berhan non rivendicherà la paternità di Kerim se non per eseguire la forma più becera di giustizia? La condanna per il frutto di un amore nato fuori dal matrimonio?
La cosa che rende ancor più raccapricciante il sogno a cui assistiamo è che Farah usi le stesse parole che rivolse a Tahir nel loro primo incontro a casa di lei: “Fai di me quello che vuoi, ma ti prego, non toccare mio figlio”, mettendo in bocca al padre di Kerim le stesse parole che pronunciò in quella stessa occasione Tahir: “Stai piangendo? Dovresti piangere”.
Perché questa trasposizione? Cosa sta elaborando l’inconscio di Farah? Cosa ci dobbiamo aspettare? A cosa ci stanno preparando gli sceneggiatori? Anche alla luce del momento conclusivo dell’episodio, quello in cui Tahir -consapevole del pericolo in arrivo dall’Iran – affida la vita di Farah e Kerimşah a Mehmet.
In soldoni, il dubbio che mi dilania è: Tahir morirà?
Io spero tanto che non sia così. E non solo o non tanto perché siamo delle inguaribili romantiche e ci piace l’idea del lieto fine, ma perché la morte di Tahir di fatto significherebbe vanificare tutti gli sforzi di Farah e del suo cammino di emancipazione, di riscatto da quella cultura che l’avrebbe condannata a morte certa. Attenzione, scrivo questo non perché la realizzazione di una donna passi necessariamente dalla relazione con un partner, ma per tutto quello che ha rappresentato Tahir in questo percorso che ha compiuto Farah, coronato anche (e non solo) dalla relazione sentimentale. Tahir ha rappresentato iconicamente quello che a volte può succedere quando ciò che apparentemente – convenzionalmente – rappresenta il male (il peccato?) in realtà può celare qualcosa di molto positivo. È il ribaltamento del concetto biblico del peccato originale: non è la mela che cela l’occasione di peccato, l’apparentemente bello che nasconde il male, è esattamente il suo contrario. Certo, occorre andare al di là delle apparenze, riuscire a vedere oltre le convenzioni, cogliere l’essenza autentica di ciò che abbiamo di fronte, guardare nel cuore al di là delle azioni, dare un significato a quelle azioni, risalire all’origine del male per liberare finalmente l’anima dalla gabbia della cattiveria.
Tahir inizialmente è un pericolo per lei (doveva ucciderla per ordine di AGA) ma poi si trasforma nell’opportunità di invertire la sua vita, di darle un nuovo senso. Tahir è l’emblema stesso del riscatto. Tahir è supporto, è sintonia, è condivisione, è amicizia, è sogno, è onestà, è rispetto, è verità. Tahir incarna quella seconda chance che a tutti dovrebbe essere concessa. Anche allo stesso Tahir.
Ecco, la sua morte sarebbe il fallimento per Farah e per Tahir stesso che in questa donna ha trovato l’occasione di ridisegnare il percorso della sua vita. Sarebbe un messaggio devastante, sarebbe come dire: non importa quanto tu ti possa impegnare, il tuo destino ti inchioda inesorabilmente al tuo fallimento. Il fallimento di Farah e di ciò che rappresenta con la sua storia e il suo percorso, simbolo di riscatto per le donne che non hanno voce, come la dolce amica Sepide e le tante sparse in tutto il mondo. Il fallimento di Tahir, che incarna con la sua infanzia negata e una vita contraffatta dall’inganno, il diritto a risalire dall’abisso, che tutti – tutti – meritano.
Intanto, però Il 12° episodio ci ha lasciato con un altro dubbio, su chi fra Bade e Farah sia stata ferita (e quanto gravemente) nell’agguato all’automobile di Bekir. Scrivo così perché sono convinta che quella raffica di proiettili fosse destinata a Bekir che con Orhan prima e Ylias dopo si è sbilanciato forse un po’ più del dovuto. E quindi, a mio parere, sono loro gli artefici della sparatoria. Non credo che quel gesto fosse rivolto alle due e che dietro ci sia AGA, non solo perché in un veloce frame si scorge il cappuccio di Ylias, ma perché AGA ha già messo in moto la sua perfida vendetta contro Farah: mettere al corrente il padre di Kerimşah dell’esistenza in vita di suo figlio. La cattiveria di quest’uomo non conosce davvero limiti, non solo si vendicherà della cimice che Farah ha messo nel suo studio, ma metterà Tahir in una situazione di grande pericolo. Con la chiara consapevolezza di ciò che potrebbe accadere.
Tahir sa bene di rischiare molto. La conferma definitiva gli viene dall’avvocato di ritorno dall’Iran, che gli riferisce quanto il padre di Kerimşah sia arrabbiato con Farah per essersi sposata. È una questione d’onore, chiosa l’avvocato. Tahir sa evidentemente cosa possa significare questo per chi proviene dall’Iran, dove non sono infrequenti gli omicidi d’onore ai danni di donne ritenute colpevoli di condotte distanti dalle leggi islamiche. Sa che dovrà affrontare quest’uomo, potentissimo, ammanicato con i servizi segreti iraniani, per consentire a Farah e a Kerim di continuare a vivere una vita nel pieno riconoscimento dei loro diritti. Sa bene di dover rischiare la propria vita per loro due. E affida le vite per lui più preziose proprio a Mehmet. Non potrebbe mai affidare la vita di Farah ad AGA, Farah sarebbe la prima ad esserne contrariata. E dunque affida entrambi all’unica persona con cui in fondo Farah è a suo agio, con la tranquillità per Tahir che si tratta di un uomo di legge, che non farebbe loro mai del male. È dunque Farah di fatto ad aver avvicinato incredibilmente questi due uomini che ancora non sanno di essere fratelli. Non vedo l’ora di vederli guardarsi negli occhi sapendo di essere fratelli, vederli all’opera mentre portano a galla verità e chissà, magari, mentre salvano proprio Farah. Sarebbe bello se fosse Farah a sugellare il definitivo avvicinamento-riconoscimento tra i due fratelli.
Mehmet stesso si stupisce della richiesta di Tahir: “Affidi le persone più care al tuo nemico?” Con questa richiesta Tahir, dice, mette la parola fine a questa faida.
Anche in questo momento dell’episodio scrittura e regia giocano sul filo dell’ambiguità per tenerci col fiato sospeso. Tahir prima di uscire da casa ha scritto un messaggio, ma il destinatario non è Mehmet.
Siamo al grande giorno. Al giorno che chiude l’epopea degli Akıncı, all’ultima azione criminale che ha a che fare con una grossa partita di armi. È lo stesso AGA ad aver parlato in questi termini a Tahir: “L’ultimo giorno”, prima di chiedergli un luogo sicuro, grande come mai prima, per stipare il carico proveniente dall’Iraq.
Quel messaggio di Tahir è per AGA: “Chiudiamo questa organizzazione”. Una frase sibillina: significa facciamo l’ultima operazione? O significa distruggiamola? Che tipo di informazione ha dato a Mehmet Tahir in cambio della promessa di proteggere Farah e Kerimşah? Se, come supponiamo, ha riferito al commissario il luogo dove condurrà AGA (e Orhan…) per il grande carico, è la conferma della sua estrema intelligenza, Tahir ha messo insieme i tasselli del puzzle: il comportamento di Farah con AGA, il terrore che le legge negli occhi, la difficoltà di Farah a dirgli il motivo di tanto astio per gli Akıncı, il sospetto che Farah abbia scoperto gli Akıncı dietro la morte del donatore (invece ha scoperto anche dell’altro…), la cimice nello studio di AGA, la diffidenza di AGA nei confronti di Tahir, la richiesta di volerlo coinvolgere per “un’ultima volta” e chissà cos’altro… L’unica persona a cui può chiedere aiuto, in una situazione resa ancora più grave dall’imminente arrivo dell’iraniano, non può che essere paradossalmente il suo peggiore nemico. Tahir è stato frettoloso, lo ammette lui stesso, con il padre di Kerim. Ma questa a volta farà con calma. Sono certa che Tahir abbia studiato un piano che ci farà saltare sulla sedia. Un piano rischiosissimo, ovviamente. Ma estremamente intelligente.
La sparatoria naturalmente inserisce un ulteriore elemento di destabilizzazione. Mentre scrivo non è ancora uscito il fragman del 14° episodio, non sappiamo chi delle due sia rimasta ferita e quanto gravemente. La butto lì: di sicuro sono ferite entrambe, ma ad essere più grave, diciamo a rischiare la vita, probabilmente sarà Bade. Trovo che narrativamente dia più spunti. Che Tahir possa inferocirsi c’è da aspettarselo, anche se solo un capello di Farah venisse toccato (giusto per usare un’espressione cara alla dizi…) invece sarebbe interessante vedere la reazione di Mehmet dinanzi alla probabilità che Bade possa morire. Inoltre, questa eventualità scatenerebbe di sicuro Bekir, il quale abbiamo scoperto è a conoscenza di tutti i retroscena del duo AGA&Orhan, dando probabilmente una spinta risolutiva allo scoperchiamento del tutto.
Spero, però, che Bade sia solo grave e non muoia. Nell’ipotesi di una seconda stagione, mi piacerebbe continuare a vedere questo personaggio, che si è svelato gradualmente, conquistandomi soprattutto negli ultimi episodi, con la sua coerenza, la solidarietà femminile, l’intelligenza, il coraggio, la capacità di tenere testa agli uomini, anche quelli stupidi come Mehmet. Una donna forte e fragile al tempo stesso, soprattutto nel momento in cui espone sé stessa con un uomo che non è (ancora) pronto a capire i suoi sentimenti, figuriamoci quelli di una eventuale partner.
Belki bir gün, ecco mi piace pensare questa frase anche per loro.
Ma quanto sei brava ! Grazie
Ma grazie!!! Mi fa piacere ti sia piaciuto 🙂
Hai fatto bene a descrivere le condizioni in cui hanno vissuto e vivono le donne in Iran. Guardando da questa prospettiva il comportamento, la freddezza, la rabbia di Farah mi sembra corretto. Il suo vissuto non le permette, per il momento, di fare altro. Certamente la storia ci porterà nuovi sviluppi di tutti i vari personaggi. La tua visione mi apre gli occhi su aspetti che non ho considerato. Grazie Ros ❤️
Grazie Simona!
Ros,come non essere d’accordo con le tue considerazioni !Hai perfettamente analizzato tutti gli aspetti della puntata. Auguriamoci di rivedere Bade e Farah pronte a combattere al fianco di Tahir e Mehmet e che il nano malefico e il suo compare comincino la strada in discesa. Ancora una volta sono incantata dalla tua scrittura.Grazie❤️
Grazie Ros: hai fatto bene a contestualizzare il periodo storico in cui le donne come Farah sono state costrette a vivere nel suo paese di provenienza. Se è anche vero che Reza Palhavi aveva cercato di modernizzare il suo paese è altrettanto vero che negli ultimi anni della sua reggenza le libertà democratiche erano state seriamente compromesse. Perso l’appoggio di importanti alleati occidentali che anzi chiedevano il suo ritiro, si ha l’avvento del governo teocratico di Khomeini, che da anni aizzava le folle dal suo esilio parigino. Le prime vittime sono le donne, anello debole della catena, che vedono fortemente limitate le loro libertà, come hai bene descritto, cara Ros.
Da questo ambiente proviene Farah, con tutte le sue ritrosie ed atteggiamenti. A volte anche poco empatica. Trova un Tahir fortemente bloccato dall’ambiente in cui vive da sempre fra inganni e attività criminali che con lei scopre l’amore! Non c’è pace nei paesi dell’Asia centrale, importanti per i loro giacimenti di idrocarburi, per i loro reperti archeologici che fanno gola a tanti. Paesi in cui si svolgono traffici illeciti di tutti i tipi, ne sanno qualcosa Ali Galip ed Orhan che su questi hanno fondato le loro fortune. Sinceramente non so che futuro gli sceneggiatori riserveranno a Farah e Tahir. Non vorrei che pensassero ad un epilogo tragico per lui. Come vorrei che Bade fosse solo ferita nell’agguato tesole dallo zietto (non facciamoci depistare da falsi promo). Ho paura che ci faranno passare l’estate con questi dilemmi!
Anche io, come ho scritto, spero tanto in un epilogo positivo! Sto incrociando di tutto 🙂
Io ho smesso di guardare Adim Farah, aspetto la fine di questa serie per poi guardare gli episodi tutti insieme dall’inizio, forse allora capirò un po’ di più facendo anche la traduzione simultanea della pessima traduzione che viene propinata.
Tanto ho salvato tutte le tue riflessioni, che sono un ulteriore aiuto.
Ciao
Beh non manca molto allora, dai! Sono contenta che tu abbia salvato le mie analisi 🙂 Un saluto a te!
Grazie Vale!!!!!!
Grazie Ros…in questa puntata ho notato che Bekir è meno stupido di quel che sembra anche perchè tra il serio e il faceto ha capito che Orhan non è quel che sembra e lo dice a Ylias e lo si nota anche quando guarda con attenzione le foto al campo sportivo. Dell’attentato onestamente non so che pensare perchè la macchina di bekir è stata data intenzionalmente a Bade ed era seguita dagli uomini di Aga ma onestamente non credo volesse ucciderla quindi l attentato è molto probabile sia stato fatto da altri tra cui sicuramente il nano malefico è molto plausibile.
Splendido il tuo pensiero sulla situazione delle donne in Iran.
Alla prossima!!!
😉 alla prossima!
Bekir ha in casa un archivio di foto e aritocli di giornali che ricostruiscono la storia del duo malefico…,forse sta solo aspettando iil momento della sua vendetta, che incorcerà ovviamente Tahir e Mehmet. Aspettiamo di scoprirlo, ovviamente!