Questo articolo lo avevo scritto a maggio scorso, prima che terminasse Sefirin Kızı sul mio blog.

Fra pochi giorni dovremo dire addio a Sancar Efe. Con l’ultimo episodio di Sefirin Kızı  dovremo separarci per sempre da questo personaggio che ci ha proiettato nella dimensione del sogno.

Un personaggio che ha dato vita ad una storia che ci ha fatto discutere, arrabbiare, divertire, piangere, sorridere e che ci ha tenuto incollati allo schermo – della tv, del pc e dello smartphone – ben oltre l’appuntamento settimanale del lunedì. Da tutto il mondo.

Abbiamo amato la sua corpulenza protettiva, questo suo essere una montagna rassicurante, un grande gigante gentile; abbiamo adorato la sua intelligenza sociale, il guizzo creativo con cui ha superato le sfide più complicate; lo abbiamo apprezzato come uomo di valori, per il suo senso di giustizia, la sua rettitudine, l’attaccamento alla famiglia; lo abbiamo ammirato per il sentimento di fratellanza che lo ha legato a due persone diversamente speciali (Gediz e Kavruk).

Lo abbiamo amato per la sua dannata voglia di amare. Lo abbiamo amato, con i suoi errori e le sue debolezze.

Sefirin Kızı , una storia iniziata – e proseguita per buona parte della sua durata – come racconto epico di un amore leggendario, e forse proprio perché tale destinato a rimanere inchiodato all’unica dimensione possibile, quella dell’irraggiungibilità, dell’incompiutezza, dell’amore bramato, agognato, ma mai coronato.

Un racconto che a un certo punto si è evoluto in una narrazione più “quotidiana”, nella quale molti di noi hanno potuto riconoscersi. Ed è qui (anche) la chiave, a mio avviso, del successo della serie nella sua seconda parte, che pure tanto ha fatto discutere. La storia del mondo e della stessa umanità si nutre – ahimè – di amori finiti, di separazioni, di dolori e perdite difficili da sopportare, di incomprensioni sociali, di condizionamenti culturali, di figli abbandonati, di madri e donne che hanno vissuto (e vivono ) il disagio della disapprovazione sociale, la disperazione a cui talvolta la famiglia condanna. Di uomini e donne rassegnati all’incapacità di amare di nuovo.

Pur con sfumature diverse, per il vissuto diverso di ciascuno di noi, ci siamo riconosciuti nella storia di Sancar e Mavi (e della piccola, dolcissima e straordinariamente brava Melek). E con loro abbiamo ripreso a tifare per l’amore possibile e le sue implicazioni.

Sancar e Mavi, due individui che più “lontani” non potrebbero essere, ma che il destino pone sulla stessa strada, nel mezzo di un temporale, metafora di due anime travagliate, confuse, addolorate, schiacciate dalla solitudine.

Due spiriti affini, che si riconoscono nel caos della vita, per un qualcosa di familiare, che c’è nelle loro rispettive anime, di intimo, conosciuto, che ritrovano uno nell’altro. E che noi, con loro, abbiamo ritrovato in noi stessi.

Ma la chiave della grandezza di Sancar è  Engin Akyürek:

la sua abilità nell’esprimere le sfumature dell’animo umano con lo sguardo. Uno sguardo che non è mai sempre uguale e che in ogni fotogramma ti restituisce un brandello di cuore;

la sua incommensurabile bravura nel comunicare senza parole;

l’arte di reggere l’inquadratura per lunghi, lenti, silenziosi istanti, che tu vorresti diventassero eternità;

iI suo inconfondibile stile nel dare voce al silenzio, con una maschera che tu percepisci vera, autentica, reale, quando esprime ora dolore, ora smarrimento, ora disperazione, ora sorpresa, speranza, felicità;

la sua capacità di modulare la voce (Engin non si può ammirare doppiato, va seguito con i sottotitoli, per carpire ogni singola variazione del tono vocale…);

la sua maestria nell’entrare in empatia con i suoi personaggi e nel contempo prendere per mano chi guarda per accompagnarlo dentro la loro anima.

Solo Engin poteva dare un tale grandezza al personaggio Sancar. Ci ha mostrato – con straordinaria bravura – che si può sbagliare e che attraverso gli errori si può crescere, migliorare, tornare ad amare. E quindi a vivere.

Addio, Sancar.  

Ci sentiremo orfani di questo personaggio, ma soprattutto ci mancherà Engin e la sua magistrale recitazione.

Engin, riposati, riprendi fiato, ritorna alla tua vita, ma poi ti prego soffia su questa nostra malinconia, ridonaci la speranza di poter godere presto e ancora una volta della tua magnifica Arte.

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Ros

Giornalista freelance, ghostwriter, content editor, sommelier, mi occupo di uffici stampa e comunicazione. Scrivo, leggo, ascolto musica, divoro film e serie tv. Soprattutto turche. Soprattutto con Engin Akyürek. Il mio sogno? Intervistarlo

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