Parto col dire subito che Tahir incarna pienamente il concetto di miracolo, non nel senso cristiano ovviamente, ma nel suo significato originario, riferito a qualcosa in grado di suscitare meraviglia, stupore (mirari in latino significa appunto “sorprendersi, meravigliarsi”).
Tahir, con il suo vissuto di abbandoni, violenze, sevizie subite da bambino (durante un’infanzia che non ha mai avuto, come dice nella scena in cui è ammanettato e rivede sé stesso bambino uscire con le manette dalla casa degli orrori, con un sorriso sardonico che fa più male delle parole che pronuncia…), nonostante tutto ciò che ha subito, nonostante la cattiveria, la sofferenza, le ferite taglienti al cuore e al corpo, non è diventato l’uomo che ci si aspetterebbe.
Stupisce, infatti, la sua dolcezza, certo nascosta sotto una coltre di durezza che solo in pochi potrebbero cogliere. Stupisce la sua capacità di provare tenerezza per Kerimşah. Stupisce la sua voglia, il suo desiderio, di amare. Stupisce il suo attaccamento alla vita. E stupisce il desiderio di immaginarsi diverso, di poter vivere una vita diversa. A mio avviso ciò che rende possibile questo “miracolo” è la sua estrema intelligenza. Tahir ha una intelligenza non comune. Questa capacità, ovviamente, ha una dualità intrinseca. L’intelligenza facilita il raggiungimento del successo e permette di cogliere ciò che la maggior parte delle persone comuni non riesce a vedere, ma al suo interno cela un universo oscuro. Le persone molto intelligenti, infatti, sono destinate a soffrire di più, perché si interrogano di continuo sulla propria condizione, sulla propria infelicità, sulla realtà che le circonda, un processo questo che amplifica il tormento. Il continuo gioco di equilibrio fra queste due tensioni, una verso l’alto, la vetta, il successo, l’altra nelle profondità più cupe del proprio io, ci regala il miracolo di un uomo al tempo stesso brillante e cupo, crudele e ironico, profondo e leggero, cattivo e generoso: Tahir insomma.
Una dualità che ricorre spesso, simboleggiata nel decimo episodio da ciò che rimane del bambino infelice, in quella casa fatiscente dove lui stesso ha conservato il fagotto di stoffa che custodisce i soldatini di plastica colorata e cinque proiettili: vita e morte, gioco e dolore, fantasia e condanna definitiva. Una condanna che eseguirà lui stesso. Un appuntamento con la morte che aveva pianificato chissà da quanto, certo di arrivare prima o poi al capolinea di una vita vissuta sul filo dell’infelicità.
Tahir è schiacciato dal peso del suo errore, dinanzi al rischio che ha fatto correre alle due uniche persone che avrebbe voluto proteggere, salvare, rendere felici, sente il peso del fallimento, della sua inutilità come uomo. Tahir decide di farla finita. Ed è beffardo che sia proprio Mehmet a salvargli la vita.
Il decimo episodio ci ha regalato una delle scene più belle di tutta la serie. Dramma, introspezione, sofferenza, empatia, c’è tutto nel dialogo fra il commissario Mehmet e Tahir, tornato nella sua casa d’infanzia per suicidarsi.
Il senso di colpa aleggia su entrambi e fa uscire entrambi allo scoperto, senza finzioni.
Mehmet di fatto salva la vita a Tahir. Ma prima gli chiederà scusa, riconoscendo le sue debolezze.
Un dialogo bellissimo fra due fratelli ancora non rivelati che si comportano da veri fratelli.
Fırat Tanış ed Engin Akyürek hanno dato vita ad un momento di grandissima recitazione, di grande coinvolgimento emotivo. Grandiosi tutti e due nell’interpretare le debolezze umane e le sofferenze dell’animo, con Engin che aggiunge una gamma di espressioni nuove, che ancora non conoscevamo, nel dare espressione alla follia della disperazione. Credibilissimo, intenso, vero: impossibile rimanere indifferenti dinanzi al dolore della sconfitta di Tahir interpretato in maniera superlativa da Engin Akyürek.
T: Volevo costruirmi una vita. Ho sognato le ali di farfalla, talmente delicate da non poterla afferrare Non si può neanche guardare, come farò a prenderla con queste mani ora?
Sei diventato il mio specchio. Chi sono?
Se degli innocenti fossero rimasti feriti oggi…..mi si spezza il cuore solo a dirlo.
M: È stata colpa mia, un errore mio. Ho provato a mostrarti a tutti.
T: Mi hai mostrato?
M: Ragazzo mi hai fatto molto male, ho perso il controllo
T: Avevi ragione commissario, ho un problema irreversibile, ereditario, sono nato con un sangue problematico. L’inferno è il mio destino.
M: La tua felicità mi rendeva infelice, sai? Invidiavo che saresti potuto diventare una persona normale.
Solo tu? Anche io! Anche io vivo in presenza solo di un nemico! Cosa posso fare, questa è la mia essenza. Inconsapevolmente ho scelto te.
Siamo uguali, amico!
T: Come posso riempire il vuoto dentro di me?
Struggente quel “Lascia che questa sofferenza finisca” ripetuta più volte, mentre piange.
Mehmet prova a spronarlo: “Se hai deciso di prendere le distanze dalla tua famiglia, non tornare indietro, fermati e pensa”.
Rassegnata la risposta di Tahir: “Una persona va nella direzione che conosce già. Se mi fermo, penserò. Se penserò, morirò. Da oggi se non potremo essere pioggia, diventeremo tempesta”. Tahir ha rinunciato ai suoi sogni. Tornerà alla sua vecchia vita.
Adım Farah si può considerare il dramma sulla complessità della vita. In questa serie assistiamo al racconto di storie legate dal filo dell’esistenza tracciata dal caso e dagli errori dell’uomo, nella quale il famoso “effetto farfalla” moltiplica ogni singolo e piccolo avvenimento amplificandone l’effetto anche nel tempo. Il caso, insomma, quale elemento determinante nella vita, che però ci continua a stupire con il suo costante fluire.
“Un solo battito delle ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo” è la celebre frase che tutti conosciamo, estratta dal film “Butterfly effect”, ispirato a un’espressione della fisica quantistica e della teoria del caos, detta appunto “effetto farfalla”: una piccola variazione in un contesto può determinare grandi cambiamenti anche a lungo termine. Più le relazioni sono complesse, spiegano queste teorie, più è alto il numero degli eventi che si possono intrecciare.
Insomma, a voler semplificare: le nostre azioni sono legate al nostro passato-presente-futuro e al tempo stesso possono sbloccare, determinare, influenzare altre situazioni, che magari non ci aspettiamo. L’imprevedibilità della vita, il caso, la responsabilità di ogni singola, minuta, minuscola azione.
Adım Farah racconta in maniera egregia tutto questo, soffermandosi, nelle dinamiche dei personaggi, sul filo che lega ambizione, orgoglio e vulnerabilità (il caso, appunto). Racconta in particolare lo sforzo di un uomo, Tahir, la sua tensione ad elevarsi, a migliorare la sua esistenza per raggiungere qualcosa di più nobile, anche quando le probabilità di farcela sono bassissime, come gli ricorda spietatamente Mehmet: “Tu sei un criminale, che diritto hai”?
Adım Farah racconta la tragedia di un’ambizione apparentemente futile, come può essere una vita “normale”, in cui occorre fare i conti con le inevitabili cadute.
Ma Tahir si rialza. Tahir è abituato a rialzarsi.
Ovviamente in tutto questo gioca un ruolo di primo piano la grande recitazione degli attori. Engin Akyürek, come sempre, si affida ai dettagli per amplificare la portata emotiva di alcune scene. La sequenza nella vecchia casa di infanzia di Tahir si può considerare la summa del suo stile recitativo, che non travalica mai nell’esagerazione. Con misurata compostezza Engin dà vita ad un dialogo con sé stesso che racchiude tutto il dramma della sua vita e il senso di fallimento che lo incatena ad un destino irreversibile, come il sé stesso piccolo è incatenato alla rete del letto in una casa spoglia di mobili e di affetti. Quelle catene si trasformeranno in manette e poi ancora in catene invisibili che lo terranno legato per sempre ad una vita criminale.
A Engin basta uno sguardo, un’espressione, una piccola smorfia per dare rotondità e senso a ciò che sta interpretando.
Dettagli, insomma.
In questo episodio c’è un brevissimo passaggio che mi ha emozionato tantissimo, e provando a riguardarlo… cavolo l’emozione rimane la stessa!
Tahir e Farah sono a casa di lui. Farah “tartassa” Tahir, devono concordare una versione credibile per i funzionari che devono accertare che il loro non sia un matrimonio fittizio. Farah è presa, ovviamente ne va della sua permanenza in Turchia accanto al figlio, lo incalza, lo rimprovera, Tahir è deliziosamente accomodante.
Poi lui la “provoca”: sono seduti uno di fronte all’altro, nel bellissimo soggiorno della sua casa, devono inventare la loro storia, non possono certo dire che si sono conosciuti sulla scena di un omicidio!
“Io e te ci siamo conosciuti una sera nella cucina di una discoteca”, dice Tahir che invita psicologicamente Farah ad un gioco, a una sfida, come sottolinea la musica di sottofondo e il suo sguardo: Tahir è all’opera. L’intelligente Tahir vuol far capire a Farah quello che lei forse ancora non ha capito. Vuol farle capire ciò che è difficile da ammettere. Vuol farle capire che è innamorato. Che si è innamorato dal primo momento in cui l’ha vista, nella cucina del ristorante. Vuole dirle che non importa cosa è successo o cosa non è successo dopo quel maledetto incontro sulla scena dell’omicidio, lui è inchiodato lì, a quel loro primo incontro nella cucina. Vuol dirle che è disperatamente innamorato. E lo fa con un lunghissimo, interminabile, profondo, intenso sguardo. Uno sguardo con cui Tahir dice tutto quello che c’è da dire. Uno sguardo nel quale s’intravede l’infinito, uno sguardo che in quel momento diventa carne, amplesso, più del bacio che finalmente si scambieranno poco dopo.
È qui la bravura di questo attore, che si spoglia di orpelli inutili per affidare a questo personaggio complicato l’unica arma che ha ora a diposizione, il suo sguardo.
Farah sembra stare al gioco ma non riesce a cogliere il significato delle sue parole e di quello sguardo. O forse non vuole coglierlo. Farah è vulnerabile. Tahir la fa sentire pericolosamente vulnerabile. E Farah si difende. Alza un muro con parole spietate.
Nell’articolare una ricostruzione plausibile da fornire alle autorità punterà proprio su ciò che Tahir odia di più di sé stesso: il suo stile di vita, troppo rischioso per una donna con un bambino. Tahir in quel momento è senza difese, è incompreso, è arrabbiato: “Dì pure che quando perdo il controllo non mi accorgo della donna che amo e di mio figlio”, dirà ferito, prima di andar via. Tahir è consapevole di non avere chance con questa donna. È deluso, ferito, addolorato. Non può che andar via.
Un altro piccolo, minuscolo, dettaglio, ci appare lacerante e rivelatore. Nella scena del litigio che si concluderà con il bacio, nella cucina del ristorante (ancora…) un altro particolare, che potrebbe anche passare inosservato, a mio avviso contribuisce invece a rendere più intensa e vera quella sequenza: la lacrima, quasi invisibile, che scende silenziosa sul viso di lui mentre la guarda dopo il bacio più dolce e intenso che si potessero scambiare.
In quello sguardo inumidito c’è tutta la consapevolezza di un amore impossibile scoppiato nel caos della vita, un amore che ha unito due anime spaccate in due, un amore che potrebbe essere davvero la chance per entrambi di dare un senso a ciò che hanno vissuto fino a questo momento. Un amore che potrebbe davvero trascinare l’esistenza. Una lacrima che rende dannatamente reale questo personaggio, una minuscola lacrima che ci fa apparire Tahir una persona vera, con le sue fragilità e le sue ferite.
Un orizzonte nuovo ora si è aperto, per entrambi, dopo quel bacio.
Ma Tahir dovrà fare i conti con AGA, nel cui ovile è dovuto tornare. Tahir è il suo uomo, lo sa fare benissimo. Tahir è sì un sorprendente concentrato di dolcezza ma è anche spietatezza criminale, lucidità, sangue freddo, impassibilità da killer: vediamo infatti con quanta facilità recide la falange al povero convitato sospettato di non essersi comportato come richiesto dalla “famiglia”, nella guerra in corso contro la polizia che ora sembra aver alzato il tiro.
Tahir prima o poi dovrà fare una scelta definitiva, dovrà scegliere da che parte stare.
Adım Farah è scritto e girato in modo da confonderci costantemente le idee. Ci vengono forniti degli indizi, ma poi tutto è rimesso in discussione, ci fanno intuire artatamente qualcosa, ma poi qualcos’altro smentisce tutto. O quasi.
Il bigliettino, ad esempio. Il famigerato pizzino caduto casualmente dalle tasche di Alp prima di essere ucciso dalla pallottola di Ylias, dunque, dal ragionamento che fa Mehmet si riferisce ad una organizzazione criminale nella quale buoni e cattivi si confondono, i bianchi e i neri si mescolano, in un intreccio nel quale insospettabili agnelli bianchi sono accanto a pericolosi agnelli neri.
Chi sono questi insospettabili? Ylias, il commissario capo Hamza (come intuisce Mehmet scorgendo casualmente la statuetta di un agnello che ricorda il tatuaggio dell’uomo dietro le sbarre) e – rimango sempre della mia idea – Orhan Koşaner.
Orhan e Hamza li abbiamo visti insieme solo in una circostanza, nel primo episodio, subito dopo la morte del giovane poliziotto. Una presenza, quella di Orhan nella stanza di Hamza che stupisce lo stesso Mehmet: “Che ci fai qui papà?”. Probabilmente scopriremo che Orhan non era andato a esprimere le sue condoglianze al commissariato…
C’è da sospettare di Orhan per tutte le ragioni che ho scritto in precedenza, che fanno di lui un perfetto agnello bianco, il perfetto insospettabile.
Mehmet nel decimo episodio dice: “Quel messaggio era per me”. Può essere. Può essere che quel biglietto fosse per Mehmet: ma da parte di chi? Da parte di Alp o di qualcun altro? Alp si era infiltrato ma sappiamo che lavorava in combutta con Tahir e dunque lui stesso era un agnello bianco mescolato ai neri, che necessità aveva di rivelare un indizio che potrebbe far franare tutto? Avrà avuto un ultimo fremito di onestà? O forse è più plausibile sospettare che quel messaggio sia stata un’idea di qualcun altro, per mettere pressione a chi probabilmente stava cominciando a pestare troppo i piedi? Attendiamo ulteriori indizi, please!!!!
In questa serie ogni personaggio sembra essere qualcosa di diverso, sembra nascondere un’identità diversa da ciò che appare. Lo stesso Bekir, in fondo, è solo un ragazzo che gioca a fare il cattivo, ma è incapace di essere all’altezza delle richieste dello zio. AGA, infatti, nei momenti che contano preferisce mandare avanti Tahir: un uomo che sa agire e sa parlare, il perfetto braccio destro, l’unico che potrebbe davvero raccogliere l’eredità della famiglia. Bekir è profondamente invidioso del prestigio di cui Tahir gode agli occhi del capo, ma sa di non poter competere con lui. Anche se è costretto a farlo, per provare allo zio di esserci, di esistere.
AGA conosce bene i suoi polli. E infatti lo fa seguire dal suo gorilla, poiché sospetta che potrebbe non portare a compimento l’ordine di far fuori il donatore.
Anche Bekir, incredibilmente, dimostra di avere una coscienza. Pagherà anche lui per questa sua disobbedienza? Così come pagherà Bade per la sua relazione con il commissario Mehmet?
Il vecchio AGA, insomma, rischia di rimanere da solo. Senza figlio, senza nipoti.
E senza Tahir.
In questo clima di guerra vera e propria, infatti, si aprirà un nuovo fronte. AGA ha dimostrato ancora una volta di avere una spietatezza fuori misura. Aver ordinato la morte del donatore per punire Tahir è insopportabile. Tahir lo scoprirà e non rimarrà di certo con le mani in mano.
Mi aspetto da Tahir una risposta all’altezza della sua grande intelligenza.
Una risposta che probabilmente segnerà la fine del clan Akıncı.
Come il solito, cara Ros, ti sei soffermata sui momenti più emozionanti e pieni di significato di questa puntata. Lo sguardo rivelatore di Tahir/Engin durante la discussione accesa con Farah, la scena straziante nella casa abbandonata, dove si svolge il dialogo fra i fratelli che ancora non sanno di esserlo.. Tutti gli altri tuoi commenti che fanno da corona alle scene clou di questa serie che tutte amiamo mi toccano nel profondo e mi commuovono sempre. Grazie!
Ma che bello che ti commuovo Bruna!!!!!! Grazie per il tuo commento!!
Grazie Ros. Mi sono emozionata nuovamente nel rileggere la scena della casa di Tahir e Memhet perchè avevo davanti agli occhi la scena vista e l’immensa bravura di Engin che ha fatto provare a noi che guardavamo, l’atroce sofferenza di Tahir. Che dire sempre più innamorata di questo immenso attore. bella anche la scena del dialogo con gli ispettori dove lui racconta come si è innamorato e infatti nomina la scena della cucina quando l’ha vista per la prima volta e non la discoteca!!!! insomma sempre più bella puntata dopo puntata!!!!
Sembra impossibile, eppure ogni nuovo episodio supera il precedente!!!!! Grazie per il tuo commento Maria Rosa 🙂