Il nuovo racconto ispirato da Engin Akyürek. Parte 2
LUI è Engin Akyurek, LEI è Bianca e danno i titoletti ai capitoli del mio racconto. Nello stesso momento in cui succede qualcosa, infatti, altre persone vivono, si emozionano, pensano qualcosa di diverso. Anche nelle stesse situazioni. Buona Lettura!
LEI ♀
Il Kent Park, l’enorme parco cittadino di Eskişehir, con i suoi 300mila metri quadrati di estensione, era un posto che Bianca trovava fiabesco. Ci andava spesso, a volte per sedersi semplicemente su una panchina e lasciarsi coccolare dal verde che era ovunque, qualche volta invece, quando il tempo era bello, si stendeva sul prato a leggere.
Quella mattina aveva optato per la seconda, ma invece del libro aveva portato con sé il computer portatile. A quell’ora non c’era tanta gente, in genere i pomeriggi e nei fine settimana era più affollato. La tranquillità di quel lunedì mattina la aiutò a concentrarsi e a lavorare bene, si immerse completamente nella relazione che stava predisponendo per il professor Kaya e il tempo volò.

Aveva appena chiuso il pc, quando squillò il cellulare: era la sua amica Neylan.
«Ciao Bianca, ti sei ripresa dalle risate di ieri sera? Io ancora rido!».
«Beata te, ci ha pensato Pierre a riportarmi coi piedi per terra e schiacciare il mio umore sotto terra».
«Oh no! Ma quando ti deciderai a cambiare numero di telefono?»
«Manca solo di rendermi irrintracciabile per colpa sua! Non ci penso proprio. La deve smettere, tutto qua. Prima o poi succederà. Magari si innamorerà veramente di qualcuna e si metterà l’anima in pace!»
«Oppure ti innamorerai tu e troverai la forza di mandarlo al diavolo definitivamente!».
«Non ci penso proprio, mia cara! Ora sono troppo concentrata sul lavoro e su me stessa, ho bisogno di riprendere in mano la mia vita! E poi Neylan, io ho chiuso definitivamente con Pierre, probabilmente è lui a non aver elaborato del tutto ancora, oppure si diverte a infastidirmi!».
Bianca e Pierre si erano lasciati dopo una lunga convivenza, lui era un medico in un ospedale di Parigi e, da quanto aveva scoperto Bianca un giorno quasi per caso, aveva da tempo una relazione segreta! Una vita parallela, con tanto di amante, bugie, storie inventate, password segrete con cui custodire lettere intime e tutto il corollario di dettagli che definiscono i contorni di una storia extraconiugale. Non erano sposati, ma per Bianca era come se lo fossero. Avevano preso casa insieme, condividevano tutto (almeno così sembrava…), amici, interessi, viaggi, come una coppia sposata. Come una coppia perfetta. Anzi loro erano LA coppia perfetta. Spesso alla porta di casa bussava uno dei loro tanti amici, supplicando consigli per superare crisi e malintesi d’amore: chi meglio di loro, che non avevano mai avuto screzi, tensioni, litigi?
Già, chi meglio di noi? si era chiesta Bianca tante volte negli ultimi dodici mesi. Se lo era chiesta anche quella mattina, con un tono decisamente più sarcastico. Ormai era riuscita a lasciarsi alle spalle quella relazione, non aveva più nostalgia della sua vita con Pierre, di lui, del loro amore.
Bianca aveva elaborato, aveva superato. Aveva chiuso.
Bianca era brava a chiudere. Lo era stata già in passato, costretta a farlo.
Lo aveva fatto anche questa volta.
Si era anche data una spiegazione alla sua storia con Pierre: avrebbero potuto essere degli ottimi amici, ma non amanti, né compagni di vita. Però si erano conosciuti in un periodo molto difficile per Bianca e lei si era aggrappata a quell’uomo delicato, tenero, comprensivo, affettuoso, disponibile. Pierre c’era sempre stato nei momenti più duri. Era stato così naturale cominciare a vedersi con più frequenza, fino alla decisione di andare a vivere insieme. Pierre, poi, aveva una bella famiglia che l’aveva accolta con calore, dandole quell’affetto che le mancava terribilmente.
«Cosa ti ha detto per rovinarti così l’umore?», le chiese Neylan.
«Sempre le solite cose. È che proprio non sopporto più la sua voce. Ieri mi ha chiamato da un numero sconosciuto…», rispose Bianca.
«Dai su, non ci pensare! Piuttosto, in bocca al lupo per questo pomeriggio e ricorda che stasera siamo a cena insieme a Ismet, ci penseremo noi a tirarti su!» , disse Neylan prima di riattaccare.
Bianca chiuse la telefonata con un sorriso sulle labbra: Neylan aveva l’abilità di strapparle sempre un sorriso, era così premurosa, cordiale, affettuosa, era stata proprio fortunata a incontrarla. Quella sera avrebbero cenato insieme a Ismet, il ragazzo di Neylan. Non potevano essere più diversi, eppure insieme stavano proprio bene. Neylan era una pediatra e Ismet un professore universitario di Fisica. Bianca aveva conosciuto Neylan la prima volta che era stata a Eskişehir, anni prima, per un’importante collettiva di artisti emergenti internazionali. Al vernissage Neylan era andata con un gruppo di amici, uno scambio di chiacchiere con Bianca fu sufficiente perché avvertissero entrambe una bellissima sintonia. Trascorsero la sera a parlare di tutto e di più e si rividero anche nei giorni seguenti, fino a che Bianca non fece ritorno a Parigi. Continuarono a tenersi in contatto: e-mail, telefonate, messaggi.
Neylan fu la prima persona a cui Bianca raccontò di Pierre e della sua decisione di lasciarlo. «Perché non vieni a trascorrere qualche giorno qui da me? Ti farà bene cambiare aria per un po’», le propose Neylan. Bianca non se l’era fatto ripetere. Dopo qualche settimana, era a Eskişehir. E non fece più ritorno in Europa.
Guardò l’orario, aveva ancora un po’ di tempo prima di dover andare alla stazione. Ne approfittò per stendersi sul plaid e lasciarsi scaldare dai raggi di sole di quel lunedì di dicembre.
LUI ♂

Engin procedeva a grandi passi verso la stazione di Haydarpaşa, si godeva il sole e da lontano ammirava la stupenda facciata ottocentesca del grande edificio, quando squillò il cellulare.
«Ciao tesoro, come stai? Finita la trasmissione? Sei già sul treno? Quando rientri? Ti faccio venire a prendere?», era Banu, come al solito un fiume in piena.
«Buongiorno tesoro, mi mancava il tuo interrogatorio, mi chiedevo quando avresti chiamato!», rispose scherzando Engin.
Banu era la migliore amica di Engin: si erano conosciuti sul lavoro, nella stessa agenzia che seguiva Engin, dove lei aveva iniziato come stagista in segreteria, e si era fatta apprezzare per la sua professionalità e precisione. Da un paio di anni era diventata l’assistente personale di Engin, in pratica era la sua ombra anche quando non erano insieme. Presenza costante ma discreta, era riuscita a fare breccia nel cuore di Engin, perché sebbene fosse vulcanica in realtà era molto riservata: mai una parola fuori posto, mai una domanda indiscreta, sempre prodiga di consigli, ma solo se e quando le venivano richiesti. Certo, ormai erano diventati intimi, addirittura confidenti, insomma erano diventati amici, ma Banu era bravissima a mantenere comunque un profilo di grande professionalità.
Banu aveva un figlio di tre anni, Ahmet, frutto di un amore estivo. Lui però dopo quella vacanza travolgente era letteralmente sparito. Si erano conosciuti a Kaş, sulla spiaggia di Patara: erano con le rispettive comitive, iniziarono a scherzare, insomma il classico colpo di fulmine estivo. Indimenticabile – Banu ci pensava ancora ad occhi aperti ogni tanto – la gita all’isola di Kastelorizo, la più piccola e più a oriente delle isole greche, ad una manciata di miglia da Kaş, famosa per essere stata il set del film “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores.

A lei che amava il cinema italiano, sembrò un segno del destino. Quella gita ebbe un sapore particolare, fu avvolta da un’insolita ebbrezza che l’accompagnò per tutta la giornata: fecero il giro dell’isola in scooter, salirono i 401 scalini fino all’Agios Georgios Vounou, l’antico monastero con la sua vista mozzafiato sul turchese del mare, fecero il bagno nella Grotta Azzurra e mangiarono una montagna di revithokeftedes, le buonissime polpette di ceci greche, seduti al tavolo di una taverna affacciata sul piccolo porto. Trascorsero una giornata stupenda e proprio lì tra i vicoletti con le casette rosa e bianche dell’isoletta concepirono Ahmet. Banu non si era mai pentita di aver tenuto quel bambino che per tutta la vita le avrebbe ricordato quell’amore travolgente e passionale.
Fu combattuta, in realtà, appena scoprì di essere rimasta incinta. Era più che altro spaventata, era giovane e sapeva che quel figlio non programmato le avrebbe sconvolto la vita. Infatti, Banu dovette cambiare i suoi programmi, lasciò l’Università per cercare un lavoro, che trovò nell’agenzia di Engin. L’idea di avere in grembo il frutto di un amore così intenso, sebbene breve, la convinse a portare avanti la gravidanza. Era romantica Banu e si era convinta che prima poi lui, l’Innominato, così lo chiamava, si sarebbe fatto vivo. Erano passati quasi quattro anni, di lui però ancora neanche l’ombra. Ma Banu ogni volta che guardava suo figlio toccava il cielo con un dito. Aveva lo stesso sguardo e lo stesso colore dei capelli del padre. Sarebbe stato impossibile dimenticarlo.
«Questo non è un interrogatorio! Qualora ti volessi sottoporre a un vero interrogatorio, sappi che dovresti adeguatamente prepararti a ben altre domande!», rispose Banu ridendo di gusto.
Poi proseguì: «Ma siccome sono l’assistente più affidabile del mondo, volevo accertarmi che fosse tutto ok e organizzare il tuo rientro: come preferisci tornare a Istanbul?»
Engin ogni tanto dopo la trasmissione in radio e quando poteva, prendeva il treno veloce per andare in qualche città lontana da Istanbul. In qualche modo riusciva a tornare in giornata, magari a notte fonda in auto o in aereo, ed ogni volta era stremato, ma anche molto felice. Era un regalo che si concedeva di tanto in tanto per allontanarsi dalla grande città caotica e scoprire meglio l’immensa Turchia che, come tutti i turchi, conosceva in fondo molto poco. Un’esperienza decisamente sfiancante, come poteva essere un viaggio andata e ritorno in giornata, a cui Engin si abbandonava quando poteva, perché era un modo per “succhiare la vita”, come diceva lui. Si sedeva in treno e osservava le persone che salivano o scendevano, le seguiva in silenzio con lo sguardo, le guardava e le ascoltava. Ci parlava. Le persone vere, le chiamava lui.
«Sui lunghi tragitti le persone tendono a parlare, a raccontare le loro storie, a confidarsi anche con gli sconosciuti che il destino ti siede accanto. E io mi nutro di questa piccole grandi verità: è il mondo reale, sono gli uomini e le donne che ogni giorno combattono contro qualcosa o per qualcosa. Stare con loro mi fa sentire meravigliosamente vivo», aveva confidato alla sua amica-assistente.
Quel giorno sarebbe andato a Konya con un viaggio di cinque ore: tanto avrebbe impiegato per raggiungere la città famosa per aver dato i natali agli ordini dei dervisci rotanti. Engin amava quel fascino mistico che circonda ancora la città, preziosa eredità lasciata da uno dei più grandi filosofi mistici del mondo, Celaleddin Rumi, che visse per molto tempo a Konya dove conobbe Şemsi Tebrizi, la sua guida spirituale. A Konya Engin avrebbe incontrato un vecchio amico, İbrahim, e poi avrebbe fatto ritorno a Istanbul.

Si misero d’accordo sulle riunioni del giorno dopo e chiusero la telefonata.
Engin sorrideva, Banu gli trasferiva sempre un’energia positiva, lo faceva stare bene. Una ragazza sfortunata ma attaccata coi denti alla vita, pensò Engin mentre saliva sul treno cercando il suo posto a sedere.
Lo trovò subito e si sedette, pronto a succhiare la vita.
LEI ♀
Quel sole e quella tranquillità che si respirava a Park Kent le avevano fatto bene, si sentiva più rilassata e positiva. Rimise plaid e pc nella sua bellissima ed enorme borsa rossa, che aveva comprato anni prima durante un viaggio a New York, e si fermò in un caffè a fare uno spuntino veloce, prima di dirigersi alla stazione. Seduti accanto a lei una coppia di ragazzi che si guardavano negli occhi e si tenevano per mano, erano visibilmente innamorati.
Chissà da quanto stanno insieme? Sono nel pieno della fase di fuoco, quando non hai occhi che per l’altro, la tua mente è letteralmente rapita dagli stessi pensieri e vorresti i suoi baci per tutto il giorno, cominciò a pensare Bianca guardandoli.
Con Pierre, però, non era andata esattamente così. C’era stata sintonia, un’immediata e fulminante sintonia, tra loro due. Pierre le aveva dato il conforto di cui Bianca in quel momento della sua vita aveva bisogno. Era stato il suo porto, dove era riuscita ad attraccare, in salvo finalmente dopo le tempeste in mare aperto che aveva vissuto. Così era stato, fino a che anche Pierre non si era trasformato in tempesta a sua volta, sconvolgendole nuovamente la vita.
Pensavo fosse amore…invece era un calesse, proprio come il titolo del film di Massimo Troisi, quel pensiero le strappò un sorriso, più che altro di tenerezza.
Sì, ora riusciva anche a sorriderne.
Nel tempo la rabbia, la delusione, il senso di fallimento che aveva provato appena si erano lasciati, si erano trasformati in consapevolezza. Ormai riusciva a ragionare lucidamente sul suo rapporto con Pierre, sulla loro storia. Il loro era stato un amore strano, non era nato da una passione travolgente, ma aveva saputo lenire le ferite, comprendere, consolare il vuoto enorme che Bianca aveva nella sua vita e nel suo cuore.
Chissà se Bianca sarebbe riuscita a provare ancora quella passione travolgente che toglie il fiato. In realtà ne aveva paura. No, non avrebbe cercato più l’amore. Non avrebbe cercato più una storia. Non si sarebbe più innamorata. Non si sarebbe sentita di nuovo vulnerabile, fragile, in balìa di qualcuno. Ogni volta che ci pensava arrivava a queste conclusioni.
Bianca era decisa a mantenere il controllo della sua vita. Era troppo impegnata a ricostruire le macerie della sua esistenza per lasciare spazio all’amore, alla passione, e soprattutto al rischio di ritrovarsi di nuovo a dover rimettere insieme i cocci o ciò che ne sarebbe rimasto e provare ancora una volta a uscire fuori dal dolore.
Con questi pensieri, Bianca arrivò alla stazione di TCDD, dove attese una decina di minuti prima che il suo treno proveniente da Istanbul arrivasse sul binario. Salì sul vagone e cercò il suo posto, il numero 10. La carrozza era piena di gente, notò però da lontano che accanto al suo posto non c’era nessuno. Solo di fronte, un uomo che leggeva. Si sarebbe seduta e con gli auricolari si sarebbe goduto il podcast della sua trasmissione radiofonica preferita, “Di lunedì”, come faceva ogni volta che non riusciva a seguirla in diretta. Si pregustava già il tragitto verso Konya con la voce di Furkan Aslan, quando squillò il suo telefono.
«Allô? Oui, c’est moi»
LUI ♂
Engin si era accomodato al suo posto, aveva tolto il giaccone ma aveva lasciato addosso occhiali da sole e cappello. Sul suo vagone, appena salito, aveva trovato solo una coppia di amici, poi a ogni fermata il treno si era riempito di vita: un vociare sempre più insistente, squilli di cellulare, risate sonore, qualche bambino piccolo che piangeva. Due posti più in là, una signora anziana accompagnata dalla figlia aveva catturato la sua attenzione. Aveva il volto triste e dimesso, ma ogni volta che la figlia le rivolgeva la parola, gli occhi sembravano accendersi di una luce particolare. Quella signora le ricordava la signora Hülya che abitava nello stesso quartiere di Ankara dove era nato e cresciuto. Riconobbe nel volto di quella donna seduta due posti più in là, lo stesso identico dolore della signora Hülya, quello di chi ha perso il proprio tutto. Il marito e il figlio, l’adorato figlio, l’avevano lasciata troppo presto. Un tumore fulminante per entrambi. Eppure, un barlume di luce continuava a brillare negli occhi della donna, che si diceva fortunata per avere ancora l’amore della figlia. Era lei che la teneva in vita.
Le risate di due ragazze più in là distolsero Engin da quei pensieri. Potevano avere poco più di vent’anni, probabilmente erano universitarie, si erano alzate per prepararsi a scendere a Eskişehir e ridevano con la spensieratezza di quell’età. Commentavano l’appuntamento della sera prima di una delle due con un ragazzo: il bacio era stato “fulminante”, aveva detto una delle due.
Fulminante? era il modo più stravagante per definire un bacio che Engin avesse mai sentito. Come può essere fulminante un bacio? Forse era stato troppo veloce? O forse l’aveva lasciata senza vita per qualche secondo? I ragazzi sono esagerati quando descrivono le loro sensazioni. Ma le parole sono importanti. Sono preziose. Occorre soppesarle bene, sceglierle con cura.
Con questi pensieri Engin, decise che si sarebbe dedicato un poco alla lettura, aveva con sé un libro di poesie di Cemal Süreya. Aveva scelto di proposito quel libro, per non farsi rapire totalmente dalla lettura di un romanzo. E aveva scelto appositamente quell’autore turco, che lo intrigava e lo emozionava molto. Era uno dei poeti citati dal movimento #siirsokakta che aveva portato la poesia per strada – letteralmente, sui muri dei palazzi, ovunque – sbarcando anche sui social per invadere la quotidianità con i bellissimi versi dei poeti turchi.
«Nella tua voce cosa c’è, lo sai?
Ci sono le parole non dette
forse saranno cose da nulla
ma in quest’ora del giorno
si stagliano come monumenti
Nella tua voce cosa c’è, lo sai?
Ci sono le parole che non sapevi dire»
Mentre finiva di leggere i versi che chiudevano la poesia “Il vaporetto delle 8:10”, sentì la voce di una donna che si avvicinava: «Allô? Oui, c’est moi».
Si fermò proprio vicino al suo posto, si sedette di fronte e a lui. Aveva una grande borsa rossa, un cappotto nero e lunghi capelli scuri, un ciuffo le ricadeva sul volto. Indossava degli enormi occhiali da sole, che non tolse, e mentre parlava al telefono gesticolava molto.
Engin schermato dietro ai suoi Ray Ban, la guardò indisturbato.
Mi sembra sia francese, tirò a indovinare Engin, che l’estate prima in vacanza a Kaş aveva conosciuto dei ragazzi francesi appassionati di immersioni come lui. E ora riconosceva quella particolare musicalità delle parole che lo aveva colpito mesi prima. La donna di fronte a lui parlò ancora un po’ al telefono, provando a tenere la voce bassa, poi chiuse la telefonata.
Engin ogni tanto la guardava: avrà avuto più o meno la sua stessa età. Chissà che ci fa una francese su un treno diretto a Konya, cominciò a fantasticare su chi poteva essere quella donna, con chi stava parlando al telefono, che faceva nella vita, dove era diretta precisamente. Era il gioco che Engin amava fare quando qualche sconosciuto per una qualche ragione attirava la sua curiosità.
Il cellulare della donna squillò di nuovo.
«Ma che sorpresa!! Ciaooooo come stai?»
Allah Allah! Ma quindi non è francese? Parla anche italiano? fu il pensiero immediato che fece Engin. Riconobbe facilmente il suono della lingua italiana, ricordava ancora le lezioni che aveva fatto anni prima, per Kara Para Aşk, con un simpatico interprete, che oltre alle parole che lo avevano reso celebre fra le fan italiane con la sua inconfondibile pronuncia straniera – signorina, commissario, buon compagno, spaghetti – gli aveva insegnato le frasi base, tra cui appunto “Ciao, come stai?”.
Ora Engin era decisamente incuriosito dalla donna che sedeva di fronte a lui, che gesticolava assai, ma con una grazia particolare. Rimase ad ascoltarla, fingendo disinteresse con la complicità dei suoi occhiali da sole. Ovviamente non capì una sola parola, ad eccezione del ciao finale con cui chiuse la telefonata.

La donna prese un libro dalla sua borsa e prima di mettersi a leggere, si sfilò gli occhiali da sole. Engin la guardò, con la sensazione di spiare dal buco dalla serratura e un poco si sentì a disagio.
Ma non poté fare a meno di guardare gli immensi occhi scuri di quella donna sconosciuta, che sedeva di fronte a lui con una enorme borsa rossa, che forse era francese o forse italiana e che quando parlava al telefono gesticolava tanto.
Aveva anche una bella voce, pensò Engin.
Dava l’idea di essere una persona dolce e profonda. Con una bella risata.
Sì, aveva anche riso durante l’ultima telefonata.
Chissà chi c’era dall’altra parte del telefono! pensò Engin.
Chiunque fosse, doveva essere una persona intima, per strapparle quella risata che, così gli era sembrato, l’aveva messa anche un poco in imbarazzo.
Le donne dovrebbero sempre ridere, pensò ancora Engin.
Un uomo, poi, dovrebbe essere in grado sempre di far ridere la sua donna. Non c’è niente di più bello ed erotico di una donna che ride. Mentre faceva questi pensieri, il cellulare della donna squillò una terza volta.
Ci risiamo, si disse Engin, vediamo se risponderà in francese o in italiano.
«Alo? Günaydın.. evet.. iyiyim teşekkürler».
Engin sbarrò gli occhi come un bimbo davanti a un carretto di caramelle colorate, era decisamente meravigliato!
Vabbè sarà un’interprete, allora! fu il pensiero di Engin, che senza nemmeno accorgersene si sfilò gli occhiali da sole, un gesto che tradì la sua intenzione a voler capire meglio.
In quel momento, la donna alzò gli occhi verso di lui e lo guardò. Engin si sentì come beccato con le dita nella marmellata e abbozzò un sorrisetto quasi di scuse.
Scuse per cosa? si disse fra sé e sé con un tono di autoassoluzione…poi però distolse subito lo sguardo dalla donna e cominciò a guardare fuori al finestrino. Non poté fare a meno, però, di ascoltare la telefonata.
Dunque: la donna che aveva conquistato il suo interesse si occupava di arte, organizzava mostre e ne stava organizzando proprio una, andava infatti a Konya per questa ragione e aveva intenzione di proporre non aveva capito a chi un’esposizione di artisti contemporanei.
«Sai, mi piacerebbe legare ogni opera a un verso dei poeti citati dal movimento Siir Sokakta, dare quasi una chiave barocca all’esposizione, nel senso di invasione degli spazi, di rottura dei confini, di abbondanza di contenuti, di contaminazione fra il dentro e il fuori. Il dentro che si apre all’esterno, per abbattere un poco il concetto di installazione statica e il fuori che prende per mano gli spazi urbani per portarli dentro ai luoghi chiusi», parlava senza sosta la donna dalla grande borsa rossa e gli occhi scuri come caramelle di liquirizia, che continuò: «Un poeta che mi piacerebbe indagare in questa circostanza è Cemal Süreya» e mentre pronunciò il nome del poeta guardò Engin e poi con uno sguardo complice fece segno al libro che aveva ancora in mano lui, accennando un mezzo sorrisetto.
Quando chiuse la telefonata, a Engin venne spontaneo dirle: «Complimenti, è davvero brava!»
«Uhm….grazie! Per cosa, precisamente? Per aver sbirciato la copertina del suo libro?», rispose lei ridendo. Una risata che la fece ancora più bella.
Anche Engin si mise a ridere: «No no, mi riferivo alla sua abilità nel parlare tre lingue, quale delle tre è però la sua?»
«Un tempo sono stata italiana, poi francese a tempo pieno, ora ci riprovo col turco!», rispose lei che aggiunge di corsa: «Ma me la cavo anche con l’inglese!»
«Wow! Complimenti per i cambiamenti, avrà avuto di certo dei motivi importanti per farlo…», rispose Engin, che si pentì subito per quella sua frase. Lei, infatti, si era fatta subito serissima.
Peccato, era così bella mentre rideva.
In quell’istante il cellulare di lei suonò ancora una volta. E il suo viso si fece ancora più serio, anzi sembrava proprio arrabbiata.
«Allô?», rispose seccata, almeno così sembrò ad Engin.
Si alzò dal suo posto a sedere e si diresse verso l’altro vagone, mentre continuava a parlare al telefono sottovoce.
Dopo qualche minuto, Engin fece una cosa che amava moltissimo fare. Mise il libro di poesie di Cemal Süreya che stava leggendo nella grande borsa rossa che la donna aveva lasciato al suo posto. Gli piaceva l’idea che uno sconosciuto, una sconosciuta in questo caso (una bella sconosciuta!) entrasse nella sua vita, e lui nella sua in qualche modo, leggendo un libro che le sue mani avevano sfogliato e i suoi occhi letto.
Chissà se la emozionerà, così come ha emozionato me.
Era una cosa che faceva spesso, lasciare il libro che aveva per le mani su una panchina, al tavolino del bar, sul treno. Lo intrigava il fatto che due persone distanti potessero diventare incredibilmente vicine, pur senza conoscersi.
Chiuse gli occhi per rilassarsi, il treno stava ormai per arrivare a Konya.
LEI ♀
Bianca si era accomodata al suo posto, mentre continuava a parlare al telefono, guardando di sfuggita il posto di fronte, dove sedeva un uomo piuttosto affascinante, da quel che intuiva, che indossava gli occhiali da sole. Talmente affascinante, che si soffermò a guardarne i particolari: aveva una barba particolarmente folta e scura, aveva anche i baffi, ma non aveva quell’aria hypster che tanto detestava.
Chissà com’è baciare e accarezzare un uomo con la barba? si era chiesta spesse volte Bianca scherzando con Irene, la sua amica italiana. I suoi uomini non avevano mai avuto la barba, al massimo una leggerissima barbetta di qualche giorno.
Guardando l’uomo che aveva di fronte, non riusciva a capire bene la lunghezza dei capelli perché indossava un cappello. Aveva un debole per gli uomini con i capelli non molto corti. Lo osservò, mentre continuava a parlare al telefono, le piaceva il modo elegante in cui era seduto.
Dopo poco, chiuse la telefonata con il nuovo proprietario della sua casa di Parigi, che lei e Pierre avevano venduto dopo essersi lasciati. Glielo aveva proposto lei e lui aveva accettato subito. Anche lui, evidentemente, non vedeva l’ora di voltare pagina. Nonostante fosse andato tutto bene con la compravendita, il nuovo proprietario ora aveva qualche difficoltà burocratica e Pierre aveva pensato bene di passare a lei la patata bollente.
È proprio un cretino, pensò Bianca mentre armeggiava con cellulare e auricolari, per godersi il suo amato programma radiofonico. Mentre si apprestava a rilassarsi, non poté fare a meno di osservare meglio ciò che la circondava, soprattutto l’uomo di fronte. Guardò le sue mani e le trovò belle, curate, lunghe e grandi come dovrebbero essere le mani di un uomo. In mano, il bell’uomo seduto di fronte a lei aveva un libro di poesie di Cemal Süreya e questa cosa le piacque. Anzi le sembrò una bella coincidenza, giacché anche lei stava leggendo i versi del poeta turco, non senza qualche difficoltà, a dirla tutta, essendo ancora poche le poesie tradotte in italiano. Così lei aveva pensato che provare a leggerle in lingua potesse essere un buon esercizio per recuperare un po’ del turco andato. D’altro canto, aveva scelto di tornare a vivere in Turchia e voleva carpire ogni sfumatura possibile di quella lingua che continuava ad affascinarla.
A farle tornare il buon umore ci pensò la telefonata di Irene, l’amica di sempre che continuava a tenere vivo il legame con le sue radici. Aveva un’ironia incredibile e nonostante le migliaia di chilometri che ormai le tenevano lontane, bastava sentirsi al telefono per ritrovarsi esattamente dove si erano lasciate.

«Ma che sorpresa!! Ciaooooo come stai?», esordì Bianca al telefono che subito dopo chiese sottovoce all’amica: «Irene, com’è baciare un uomo con la barba?».
«Spaventosamente erotico, da urlo, da triplo orgasmo mortale», rispose l’amica con quelle sue solite esagerazioni che facevano tanto ridere Bianca. E tutt’e due, infatti, scoppiarono in una fragorosa risata.
Mentre parlava con Irene ebbe la sensazione che l’uomo seduto di fronte stesse ascoltando la sua telefonata e si sentì arrossire.
Ne fu ancor più convinta quando, qualche minuto dopo aver chiuso con Irene, il cellulare squillò nuovamente. Questa volta a chiamarla era Ali Şimşek, un giovane artista turco che Bianca aveva conosciuto da poco, rimanendo piuttosto impressionata dai suoi lavori. Ali dipingeva su vecchi tessuti di seta e di cotone recuperati, tratteggiando animali fantastici e personaggi mitologici con inchiostro nero e oro: era un mondo che non esisteva se non negli occhi del pittore, ma che riusciva a risultare universale perché quei disegni ridestavano in qualche modo i ricordi di infanzia di tutti, trasmettendo una sensazione di pace e tranquillità, di sintonia con l’universo. Discusse con Ali delle idee che avrebbe proposto nel pomeriggio a Erol Kaya, il direttore della galleria di Konya dove era diretta. Bianca avrebbe certamente inserito un suo lavoro nel catalogo della mostra, se fosse riuscita a portare a casa il risultato: organizzare la sua prima mostra in Turchia!
Mentre parlava al telefono con Ali, aveva notato che l’uomo seduto di fronte a lei aveva sfilato gli occhiali da sole e per un attimo i loro sguardi si erano incrociati, ma entrambi per reagire all’imbarazzo avevano guardato subito altrove.
Abituata com’era ad analizzare i dettagli di ciò che guardava, non aveva potuto fare a meno di notare la bellezza e l’intensità di quegli occhi, che le erano sembrati di una persona limpida, solare, ma al tempo stesso profonda. Occhi che, inspiegabilmente, le avevano riportato a galla una nostalgia sopita.
Poi, quella breve e piacevole conversazione che avevano avuto, la gentilezza e l’ironia con cui le si era rivolto e quella voce che le era sembrata quasi familiare.
Quanti pensieri si possono fare in pochi secondi! mentre Bianca elaborava questa riflessione, il suo cellulare squillò ancora.
Era Pierre.
Di nuovo!
Questa volta la chiamava dal suo numero. Fu indecisa per un nanosecondo se rispondere o meno. Ma poi, nonostante la sola vista del suo numero telefonico l’aveva fatta ripiombare nello stesso identico stato d’animo del mattino, non ebbe dubbi: avrebbe risposto, lo avrebbe rimproverato, avrebbe urlato al telefono tutta la sua rabbia! Ma non lì, davanti a tutti, le sembrava infatti che in quell’istante tutti gli occhi dell’universo fossero concentrati su quel vagone del treno diretto a Konya.
Si alzò e andò in bagno. Litigarono violentemente, Bianca gli vomitò addosso tutte le ragioni per cui lo aveva lasciato e lo avvertì: se non avesse smesso di chiamarla, lo avrebbe denunciato per stalking.
In quel momento, mentre ancora agitata dalla telefonata apriva la porta del bagno e il treno ormai prossimo alla stazione iniziava la sua frenata, una persona aprì così velocemente la porta da spingere indietro Bianca, che perse l’equilibrio e cadde urtando la testa. Svenne. L’uomo che aveva provato a entrare in bagno rimase di stucco, spaventato chiamò subito i soccorsi. Il controllore avvertì subito l’unità medica della stazione di Konya dove, nel frattempo, il treno aveva terminato la sua corsa. Un medico e due infermieri con la barella soccorsero la donna, portandola di corsa nell’infermeria.
to be continued…
© Rosaria Bianco
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Ros bellissimo è come stare insieme in quel treno con delle persone che anche se non conosci nell’ascoltare vivi le stesse emozioni ,rabbia o risate.Sicuramente quello che Engin ha percepito dalle telefonate di Bianca
Ti ringrazio sempre per la lettura alla prossima
😘
Sono totalmente d’accordo con tuo marito… ( se non sai perché, te lo scrivo in privato)
Bellissima questa storia, anche se sono un po’ dispiaciuta per Irene…🤣🤣🤣
🤔
Come ti ha suggerito tuo marito, dovresti pubblicare questo racconto e quello precedente “L’algoritmo “. Si leggono tutto d’un fiato, ti coinvolgono e ti fanno sognare . Ti immagini su quel treno al posto di Bianca e desideri davvero attraversare i posti che così dettagliatamente descrivi. Grazie Ros!
Grazie Ornella, grazie davvero!!!
Bello, intrigante tanti spunti di riflessione e di ricerca per conoscere ancora di più il mondo turco 😉 un racconto che ti fa viaggiare mentre il treno sfreccia, Bianca e Irene (mi sembra di conoscerla 🤣) viene voglia di vederle da vicino …to be continued ❤️🤣🤣
😂😂
Ros to be continued … spero presto perché questo racconto è bellissimo e non vedo l’ora di leggere ancora. Un passaggio mi è piaciuto: “Le donne dovrebbero sempre ridere, pensò ancora Engin.
Un uomo, poi, dovrebbe essere in grado sempre di far ridere la sua donna. Non c’è niente di più bello ed erotico di una donna che ride.” Dovrebbe essere sempre così nella nostra vita e chissà perché credo che Engin lo pensi veramente. A presto Ros ❤️
Anche io lo penso ☺️ e credo anche che Engin sppia far (anche) ridere ☺️
Posso aggiungere Ros che oltre una gran fantasia, ( tipica degli scrittori)anche tu hai un dono come Engin, quello di descrivere talmente bene, da portare la mia immaginazione su quel treno, essere al posto di Bianca e trovarmi di fronte Engin. È davvero un enorme piacere leggerti e posso aggiungere anche che da oggi hai un altra grande ammiratrice per i tuoi racconti : mia mamma .Grazie 🙏 Ora aspetto con ansia, cosa succederà tra Engin e Bianca……❤️
Marika non puoi immaginare che gioia sapere che leggi il racconto alla tua mamma 🙏❤️️
Questo grazie a te ♥️
❤️️
Sei incredibile Ros, fino un momento fa ero anch’io sul quel treno per Konya a pensare cosa si prova a baciare Engin, perché era lui quell’uomo dagli occhi neri profondi ed espressivi, con la barba ed i baffi e con delle bellissime mani, perché anche se Bianca non lo sa, noi sappiamo chi è lui..invece ora mi trovo sul divano di casa mia a sognare ad occhi aperti. La tua prosa magica mi ha allietato il pomeriggio! Grazie Ros, alla prossima!
Ah h mi fa piacere Bruna, sognare a occhi aperti ci piace assai assai 😍
E la storia continua, bella, scorrevole, “intrigante”. Un termine che mi piace tanto, perchè imprigiona la mente in qualcosa che affascina più di un semplice interesse per qualcosa. Mi piacciono i presupposti per questa storia di amore, perchè di questo si tratta. La casualità, l’incontro, l’imprevisto..destino? Ma è ciò che tutte/i noi desideriamo e sogniamo. La mia curiosità aumenta tanto quanto il mio interesse per questa storia. Attendo il prossimo episodio..ops il prossimo capitolo. Potrebbero essere le basi per una sceneggiatura?..Brava come sempre.
Mi piace intrigante….grazie Edda!