Sesta parte del racconto ispirato da Engin Akyürek
ADELE
Bianca un tempo era stata Adele. Vent’anni prima, non era Bianca ma Adele. Un’italiana, una bellissima italiana, che aveva vissuto i primi anni di Università in Turchia, ad Ankara, ed era stata compagna di corso di Engin e Kemal. Aveva vissuto sin dall’infanzia ad Ankara, al seguito della famiglia che vi si era trasferita per motivi di lavoro. Poi l’Università, gli amici, i primi corteggiatori e la passione travolgente per Engin.
Appena conosciuti, si era subito sentita attratta da lui, che l’aveva conquistata con la sua dolcezza, la riservatezza e il carisma magnetico, sebbene ancora acerbo per via dell’età, che sprigionava con la voce e con lo sguardo. Engin aveva una simpatia solare a cui Adele non riusciva a resistere, passavano ore a scherzare e ridere e a parlare di tutto e poi… le poesie. Entrambi amavano la poesia, che era il luogo speciale dove riuscivano a trovarsi, lontano da tutto e da tutti. Si divertivano a leggere insieme e a dedicarsi i versi dei poeti di tutto il mondo. Questo gioco, che avevano solo loro due, rendeva ancora più irresistibile un’attrazione incredibile, come fossero i poli opposti di due magneti. In realtà la loro chimica sovvertiva le leggi della fisica, perché non erano opposti ma simili, tremendamente simili. Ed era incredibile come i versi delle poesie accompagnassero, ogni volta, i loro corpi in una specie di rituale magico nel quale lo sfiorarsi era un cercarsi ora delicato ora disperato, per poi stringersi uno nell’altro quando finalmente si trovavano. E i loro corpi e le loro anime, finalmente, si amavano in un modo che entrambi non avrebbero mai più ritrovato nelle loro vite.
Ad Adele non importava nulla dei tanti ragazzi che le correvano dietro, il suo cuore, la sua anima, la sua mente, il suo corpo erano stati rapiti da Engin.
Avevano vent’anni, solo vent’anni e ogni occasione era buona per baciarsi, per scambiarsi baci lunghissimi. Interminabili. Eterni.
A settembre di vent’anni prima, erano andati con il gruppo universitario di interfacoltà in gita-studio a Istanbul; nell’arco delle giornate, Engin e Adele erano un continuo rubare i momenti per rimanere da soli. Una sera, finalmente, erano riusciti ad appartarsi su una spiaggia vicina. Avevano fatto l’amore in riva al mare, rimanendo nudi e abbracciati nella semioscurità a guardare il mare e a coccolarsi, sino a che un fulmine in lontananza non li avvisò che il tempo stava decisamente peggiorando. Poi, dovendo rientrare nei rispettivi gruppi di appartenenza, si erano salutati, dandosi appuntamento per un caffè il mattino dopo.
Adele aveva un ammiratore, in verità ne aveva tanti, ma uno in particolare, Buran, era letteralmente ossessionato da lei. Adele lo aveva rifiutato diverse volte, per lei esisteva solo Engin, ma Buran la tormentava. Quella sera li aveva seguiti di nascosto e vedendo i due abbracciati sulla spiaggia, fu assalito da un raptus incontenibile di gelosia.
Dopo che lei ed Engin si erano salutati, Buran l’aveva seguita nel buio del cortile del palazzo dove alloggiava il gruppo delle ragazze, con una scusa richiamò la sua attenzione e diede sfogo alla rabbia e all’odio che gli erano montati dentro: le gettò addosso dell’acido. Fu un istante, un maledetto istante: quella voce e poi la pioggia acida che le arrivò addosso.
Adele riuscì a spostarsi col busto e a schivare in parte quella doccia venefica che le bruciò il lato sinistro del volto, il collo e parte del seno. Fortunatamente non le trasfigurò completamente il viso, poiché il temporale la salvò.
Fu la luce di un lampo a farle accorgere cosa avesse in mano l’uomo, così fece in tempo a spostarsi, ma non riuscì a vedere il volto di chi aveva deciso di accanirsi con tanto odio su di lei, farfugliando frasi incomprensibili e senza senso. Non riconobbe nitidamente neanche la voce. Il suo istinto di sopravvivenza la fece correre subito sotto la pioggia per provare a “lavarsi” da dosso quello scempio. L’acqua del temporale, in effetti, le lavò via l’acido, riuscendo così a tamponare l’effetto devastante sulla pelle.
Da allora amava ancora di più la pioggia e i temporali.
L’uomo sparì subito dopo e Adele con fredda lucidità andò in ospedale, da lì chiamò i suoi.
Il giorno dopo ripartirono per l’Italia.
Se ne andò senza dire niente a nessuno. Senza salutare nessuno.
Adele se ne andò senza salutare Engin.
I giornali raccontarono dell’accaduto e fu il solo modo con cui Engin seppe quello che era successo. Uno sconosciuto aveva trasfigurato il volto di una studentessa di origini italiane. Stop.
Lui non ebbe più sue notizie.
Adele si sottopose a diversi interventi chirurgici che le ridussero considerevolmente i danni sul collo e sul seno e le ridiedero un volto più o meno “normale”. Ma diverso. Con l’ultimo intervento chirurgico i medici erano riusciti a ridurre l’intensità del danno, sul viso era rimasta “solo” una lunga e sottile cicatrice, che le avrebbe ricordato per sempre il gesto folle di quell’uomo impazzito.
Il volto non era più il suo. Adele non era più lei. Era un’altra donna. Per questo volle cambiare anche il nome. La famiglia l’aveva affidata alle cure e alle mani di un noto chirurgo francese, che le restituì la vita e le fece conoscere il figlio, Pierre. La famiglia di Pierre la accolse come una figlia, quando tempo dopo Bianca perse i genitori in un incidente stradale. Bianca si era tuffata con tutta sé stessa in quella relazione, in cerca del conforto e dell’affetto che la vita le aveva scippato.
E si era aggrappata al mondo dell’Arte per superare gli attacchi di odio che quell’incidente le provocava. Si era aggrappata alla bellezza dell’Arte per provare a scorgere ancora, se c’era, la bellezza della vita.
LUI ♂

Engin non diede modo a Kemal di riferirgli quello che nel giro di pochi minuti era riuscito ad apprendere dagli amici giornalisti, dettagli che confermarono ciò che aveva intuito, cioè che Bianca non era Bianca, ma Adele. La sua Adele. La ragazza che ai tempi dell’Università aveva rubato il cuore di Engin. E che era sparita nel nulla.
Dopo l’incidente era venuto a sapere che qualcuno l’aveva aggredita sfregiandola con l’acido. Ne parlarono giornali e tv, fu la notizia da prima pagina per giorni, prima di venire ingoiata nel blob dell’indifferenza ed essere dimenticata. Non da Engin.
Si sarebbero dovuti incontrare la mattina dopo, avrebbero preso il caffè insieme e chissà quanti baci si sarebbero scambiati.
Avrebbero fatto ancora l’amore. Ancora e ancora. Come quella indimenticabile sera sulla spiaggia di Caddebostan Sahili.
Quello del giorno dopo fu il primo dei caffè che non presero mai più insieme.
Adele era sparita.
Senza dire nulla.
Senza salutarlo.
Senza più cercarlo.
Engin si diresse verso l’uscita del palazzo, non era più dell’umore per rimanere lì: con la coda dell’occhio, mentre sgattaiolava via, vide Bianca e l’uomo che era seduto accanto a lei al ristorante, quella sera di qualche tempo prima, che le prendeva il braccio con un fare che a lui sembrò piuttosto intimo. Era evidente che stessero insieme.
Prima di uscire volle prendere con sé un dépliant della mostra, era un modo per continuare a rimanere ancora lì nonostante non riuscisse più rimanere.
Uscì quasi di corsa dal palazzo e, appena fuori, inspirò profondamente l’aria fresca e umida della sera. Sfogliando il dépliant vide fra i tanti volti di donne anche quello di un uomo: una fotografia in bianco e nero, dove le luci e le ombre in un gioco di contrasto e chiaroscuro conferivano al viso un’aria spettrale. Una frase accompagnava quella foto:
Luci e ombre risiedono nell’animo di ogni uomo.
Senza ombre le luci non sarebbero così preziose.
Eroe della propria vita è chi sceglie di schiacciare le ombre
con la forza creatrice della luce.
A.B.
La solita Adele pensò con tenerezza Engin, ricordando l’abilità della ragazza che aveva amato vent’anni prima di usare le parole. Se non avesse scelto l’arte di sicuro avrebbe sfondato nel giornalismo oppure avrebbe potuto scrivere un libro di successo, disse quasi ad alta voce Engin mentre usciva dal palazzo.
Poi ebbe l’idea, chiamò subito Banu e le chiese se poteva occuparsi dell’acquisto di quella foto, che le mandò con uno scatto al dépliant che fece con lo smartphone. Voleva contribuire anche lui ad aiutare l’associazione, ad aiutare Bianca in questa sua grande occasione e poi desiderava entrare in contatto con qualcosa di suo. Qualcosa che contenesse il suo pensiero, la sua passione, la sua denuncia. Qualcosa della donna che era stata l’amore della sua vita. Per troppo poco tempo.
Chiuse con Banu e chiamò l’amico: “Kemal scusami ma non ho più l’umore per andare a cena insieme, ho proprio bisogno di stare da solo”.
Cominciò a camminare per le strade di Kadıköy, sentendosi un estraneo in quella umanità brulicante e gravida di vitalità. Lui si sentiva morto. All’improvvisò una pioggia cominciò a cadere sulla città. La stessa pioggia provvidenziale che aveva salvato Adele dalla devastazione dell’acido sembrava voler adesso diluire il dolore di Engin.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee, era addolorato, ma anche arrabbiato. Lo era con la vita, con lei che era sparita. Con lei che era ritornata senza cercarlo. Era arrabbiato per non aver avuto la possibilità di starle vicino. Era arrabbiato con sé stesso per non averla saputo proteggere. Era arrabbiato per non aver avuto la possibilità di vivere quell’amore. Chissà come sarebbe stato quel rapporto, se non si fosse intromessa la follia di un uomo che quella sera di tanti anni prima volle farle così tanto male.
Dopo tutti quegli anni, i sentimenti sopiti dentro di lui tornavano a galla, come detriti dopo un acquazzone.
Alzò il braccio e fermò un taxi, aveva bisogno di respirare il mare. Si fece portare a Caddebostan Sahili, la spiaggia dove si erano amati prima che lei sparisse ingoiata dalla violenza di un atto atroce e senza senso. Scese dal taxi e inspirò profondamente. Si guardò intorno, venti metri più avanti l’insegna del caffè dove si erano dati appuntamento per la mattina dopo era ancora lì, ignara del destino che aveva cambiato il corso della vita di due ragazzi allora spensierati e innamorati della vita. E uno dell’altro.
Andò sulla spiaggia, era semibuia come quella sera di tanti anni prima, la luce dei lampioni non riusciva a illuminarla tutta. La pioggia scendeva con più delicatezza adesso, sembrava che il cielo volesse accarezzarlo per consolarlo. Si sedette in un angolo nascosto, rivolse il viso verso la pioggia e scoppiò in un pianto disperato. Piangeva al pensiero di quanto Adele avesse sofferto. E di quanto avesse sofferto Bianca nel dover ricominciare daccapo.
Ora si sentiva in colpa per la rabbia che provava. Sì, si sentiva egoista, ma non poteva negare a sé stesso di essere profondamente e ancora arrabbiato per ciò che gli era stato strappato.
La sola cosa che lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio sarebbe stato poterla abbracciare. Stringerla forte, per tutti gli abbracci che la vita aveva loro negato. Ma non poteva, accanto a lei ora c’era quell’uomo.
E in fondo era giusto così, pensò.
Si sentì comunque sollevato all’idea che Bianca non fosse sola.
D’altro canto, erano due persone diverse, ormai, come se non si fossero mai conosciute, anche se per un breve periodo erano stati uno nella vita dell’altro. Una vita che scoppiava di felicità.
Sì, si sentiva sollevato di saperla felice con qualcuno, ma doveva essere onesto fino in fondo con sé stesso: era geloso. Una gelosia che non aveva fondamento, non poteva averne, Engin provava a razionalizzare.
Più in là una coppia di ragazzi si era appartata, proprio come Engin e Adele tanti anni prima.
Il bello della vita è che, comunque, continua, sussurrò alzandosi e dirigendosi verso la strada principale.
LEI ♀
Bianca era raggiante. Dopo il vernissage, le interviste e le tante strette di mano che ebbe il piacere di ricevere, si concesse il gioco che aveva aspettato per mesi, quello di girare fra le opere esposte nella bella sala di Alan Kadıköy, per godere della bellezza dell’arte, senza assilli. Si fermò davanti alla foto dell’unico uomo presente fra le opere degli emergenti che aveva scovato: una fotografia in bianco e nero, con un fortissimo contrasto di luci e ombre, che le sembrò perfetta per esprimere iconicamente la brutalità che si nasconde dietro apparenti normalità e che sfocia nella violenza che si accanisce sulle donne. La fotografia era bellissima, un autentico capolavoro: semplice e complesso, profondo, Bianca aveva sempre considerato il ritratto come un banco di prova per un artista, e quello era senza dubbio un grande ritratto.
Mentre contemplava la grande gigantografia dell’uomo che la guardava negli occhi con uno sguardo intenso e minaccioso, Bianca pensò che sarebbe stato quello il regalo per Hasan: voleva sdebitarsi e, in un certo senso, mettere le cose in chiaro, non voleva assolutamente che lui si sentisse psicologicamente in credito nei suoi confronti. Hasan sin dal primo incontro, aveva mostrato un certo interesse per Bianca, che però non aveva mai ricambiato le attenzioni ricevute. Quella sera al ristorante Bianca aveva giocato giusto un po’, ma poi non aveva fatto nulla che potesse in qualche modo dargli speranza. Ma Hasan era insistente. Peraltro, le aveva offerto la sua consulenza per l’organizzazione della mostra in segno di amicizia, ma Bianca aveva temuto che accettando lo avrebbe autorizzato ad essere ancora più gentile nei suoi riguardi. Bianca lo considerava un amico, niente di più. Anche quella sera, Hasan non aveva perso occasione per starle accanto, per dirle parole carine, per approcciare anche un contatto fisico, quando le aveva preso il braccio o le aveva sfiorato il fianco: tutti segnali che lui stava andando in una direzione opposta a quella di Bianca. Doveva fare in fretta. Così chiamò la responsabile vendite, per prenotare la gigantografia: ma rimase stupita nell’apprendere che venti minuti dopo il taglio era stata venduta a uno sconosciuto. Le sembrò un buon presagio per l’esito della sua prima mostra. Doveva pensare a un’alternativa. In quel momento, però, le si avvicinò una collaboratrice: un collezionista privato di Ankara, Buran Bulut, che era lì con la moglie e alcuni amici, voleva conoscerla.
Mentre si stringevano le mani, sentendo pronunciare quel nome Bianca raggelò: era lo stesso Buran Bulut che ai tempi dell’Università si era preso una cotta per lei? E che l’aveva tormentata, arrabbiato perché lei aveva occhi solo per Engin? L’uomo, ai tempi un ragazzo come lei, di cui aveva sempre nutrito il sospetto che potesse essere il responsabile di quell’atto ignobile che aveva cambiato il corso della sua vita? Lì davanti a lei c’era l’uomo che le aveva rubato i sogni, la spensieratezza e l’amore con una bottiglia di acido?
Bianca rimase immobile, incerta se rispondere cordialmente o scappare via. Non voleva essere scortese, in fondo era lì come collezionista, forse interessato all’acquisto di un’opera, Bianca sentiva un dovere morale verso i suoi giovani artisti. Ma si sentiva a disagio, fortemente a disagio.
Era diverso da come lo ricordava, era ingrassato e decisamente invecchiato, ma il modo in cui lui la stava fissando negli occhi, aveva la stessa intensità dell’uomo della gigantografia che dal muro li guardava tutti.
Uno sguardo che la mise ancora più a disagio.
Una provvidenziale voce alle sue spalle la tolse da ogni imbarazzo: «Mister Bulut, non ci posso credere!», Bianca si voltò, tutti si voltarono: era Kemal. Bianca lo riconobbe subito, era il tizio che aveva incontrato alla radio, quando era andata per ringraziare Furkan, che poi scoprì chiamarsi Engin (Engin? si era detta leggendo la firma in calce alla mail!).
In quello stesso istante, si ricordò anche di Kemal, sì certo era anche lui alla stessa Università! Era cambiato tanto, ma ritrovò la stessa vivacità di allora negli occhi, era un ragazzo simpatico, solare e dalla battuta sempre pronta, disponibile a risolvere i problemi degli amici, fosse anche solo dover andare a prendere il caffè per tutti. Come aveva fatto a non riconoscerlo quel giorno in radio?
Poi Bianca in una frazione di secondo elaborò l’insieme, in quello stesso momento lo spazio intorno a Bianca divenne come sospeso, immobile, quasi fosse un gigantesco, monumentale, fermo immagine 3D. Buran, la moglie, gli amici, Kemal e la sua assistente sembravano delle statue che fissavano solo lei, che si sentiva minuscola e impotente.
In quell’istante capì che Furkan-Engin era quell’Engin. Il suo Engin.
Ora Bianca aveva bisogno d’aria.
Aveva bisogno di respirare.
Il battito del suo cuore era talmente accelerato che avrebbe potuto schizzare fuori dal petto.
Sentiva una stretta alla gola che le impediva di respirare.
«Mi scuserete se vi affido alla mia assistente vero? Ma ho un’intervista già concordata e sono in ritardo», fu la scusa che riuscì a trovare.
Poi Bianca si allontanò, non prima di aver guardato profondamente negli occhi Kemal: un misto di richiesta d’aiuto, complicità e terrore.
Kemal comprese al volo e come era solito fare prese in mano la situazione: si mise a chiacchierare amabilmente con tutti delle opere esposte, del tempo trascorso, dei tempi dell’Università, lasciando all’assistente il delicato compito di sostituire la padrona di casa con Buran Bulut.
«Ho una notizia bomba mia cara», alle spalle di Bianca che fingendo tranquillità provava ad allontanarsi da quella sala, se possibile schivando anche Hasan, per trovare riparo in qualche stanza del palazzo, Neylan la rincorreva.
«Mai quanto la mia», rispose Bianca facendole segno di seguirla.
Trovarono rifugio nell’ufficio dell’amministrazione.
«Non immaginerai mai chi c’era stasera al vernissage», cominciò a parlare a raffica Neylan, che era talmente su di giri da non accorgersi dell’umore dell’amica. «Ok, tu non guardi la tv, non segui le dizi, vai solo al cinema, ok, ma stasera qui in sala c’era una celebrità internazionale. Un attore straordinariamente bravo e sexy, bello come un dio, famosissimo in tutto il mondo, complimenti alla tua PR, ha fatto un ottimo lavoro! Tutta pubblicità per il tuo lavoro mia cara! Volevo braccarlo per un selfie, ma dopo il tuo discorso pare sia svanito nel nulla!»
«Un attore turco?», chiese con filo di voce Bianca, che non voleva spegnere l’entusiasmo dell’amica.
«Siiii, è di Ankara ma ormai vive a Istanbul da anni, si chiama Engin Akyürek!»
Bianca rimase in silenzio.
Neylan cercava di decodificare quel silenzio.
Fu un lungo silenzio.
Bianca si accasciò sulla sedia, come un sacco vuoto, le spalle basse, i piedi incrociati: dove era andata a finire la donna che pochi minuti prima librava nell’aria, muovendosi con eleganza e fierezza fra sorrisi e strette di mano? Quella donna che sembrava tenere testa al mondo con garbo e fermezza? Quella donna radiosa che quella sera aveva conquistato la platea con le parole sgorgate dal cuore?
Neylan lanciò uno sguardo a Bianca come a chiederle cosa stesse succedendo.
«Il tuo attore è il mio Engin», disse sottovoce Bianca.
«Quell’Engin?» reagì di rimando Neylan.
Bianca annuì silenziosamente.
LUI ♂
Prima di rincasare Engin fece una lunghissima camminata a piedi, avrebbe avuto certamente difficoltà a prendere sonno quella sera, così volle provare ad arrivarci stanchissimo a letto. Se mai fosse riuscito a dormire.
Si chiuse alle spalle la porta di casa, sperando di lasciare fuori quel terremoto che aveva fatto franare tutte le sue certezze. Ma neanche la doppia mandata riuscì a metterlo al riparo dai fantasmi che erano tornati dal passato, che adesso come spettri aleggiavano, come avvoltoi famelici, sulle carcasse spoglie del suo cuore.
Aveva sofferto tantissimo quando Adele era scomparsa nel nulla, non se ne era capacitato per molto tempo, continuando a sperare in una telefonata o una e-mail. Poi a un certo punto era sopraggiunta una specie di rassegnazione.
Adesso però il ritorno di Adele aveva avuto l’effetto di una deflagrazione, le certezze si rivelarono non essere più tali e i dubbi, invece, sembravano volerlo tormentare ancora una volta e con la stessa intensità di allora, rigettandolo in un passato che non immaginava di dover rivivere e che non si sentiva preparato ad accogliere.
Il passato non era Adele, in fondo quante volte aveva sognato di ricontrarla? Il passato erano i suoi sensi di colpa, per quello che le era accaduto: Non era riuscito a proteggerla? Se lei avesse avuto qualche sospetto perché non gliene aveva parlato? Forse non lo aveva ritenuto all’altezza? Perché non cercare aiuto e conforto in lui? Allora quel loro amore era solo un’illusione?
Si diresse in camera e aprì l’armadio dove cercò la scatola in cui aveva riposto tutte queste domande, insieme alle tracce di quel periodo. La aprì e fu rapito da una nuvola di ricordi, che si rivelarono più piacevoli di quanto temesse.
Fissò immobile il contenuto, poi la trovò.
Era la foto di loro due, giovanissimi e innamorati, negli occhi di entrambi brillava la luce del futuro e della passione, di una spensieratezza che non avrebbero riavuto più. Quantomeno insieme.
Prese la foto e la pose sullo scrittoio. Nella sua testa continuava ad aleggiare una domanda: perché il destino li aveva fatti rincontrare?
to be continued…..
© Rosaria Bianco
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Certi amori non finiscono , fanno dei giri immensi e poi ritornano….. il destino ci mette lo zampino e tu Ross sei bravissima nel raccontarci questo meraviglioso amore. Aspettiamo con ansia la continuazione ☺️
Ellapeppa che colpo di scena!!! Ros lo sai che adoro quello che scrivi e come lo scrivi:) In un momento ci hai, prima, nebulizzate con la freschezza di un’amore adolescenziale che conosce solo spontaneità e condivisione e, poi, ci hai catapultate fra le spire di un dolore indimenticato e così ancora tanto presente. Mi devi un pacchetto di Kleenex!
Bel colpo di teatro ! Tuttavia se Bianca non era riconoscibile, come poteva Bianca non aver riconosciuto Engin?
Questo racconto è bellissimo. Colpi di scena a non finire. Bianca ed Engin si conoscevano e si erano amati. L’attrazione tra loro era vecchia e sopita ma si era riaccesa e io spero che ci sia il lieto fine. Sono una romantica.
Questo risvolto nel racconto non me l’aspettavo: suspense ed emozioni a raffica! E quanti messaggi ci mandi con questa storia che ci rimanda ad una figura di donna che lotta e alza la testa affrontando la vita e ad un Engin, così come me lo immagino: romantico, sensibile e passionale…a presto, cara Ros
Ross ti posso dire solo che questa parte è meravigliosa Leggendo, le immagini mi passavano davanti gli occhi come un film, proprio come nei racconti di Engin Il tuo racconto si fa sempre più bello ed interessante e da sentimentale e romantica quale sono, spero che Engin ed Adele possano recuperare il tempo dell’ amore che gli è stato negato per troppi anni Grazie ♥️📝
L’ ho divorato!! un colpo di scena in questo sesto capitolo per me davvero inaspettato 😉 Engin e Bianca si conoscevano anzi di più si amavano!!! ❤ Si sono persi perché la vita sa essere davvero dura e gli uomini crudeli ma Bianca è forte, mi piace questo messaggio sulla rinascita delle donne dopo un grande dolore aspetto la prossima ‘ puntata’ come fosse una serie di Engin 😉 complimenti Ros 😘
.. e qui svelata la diffidenza di Bianca .. Avrei alcune domande da fare circa il fatto che non si siano subito riconosciuti.. Ma aspetto con impazienza il seguito. Al solito..Complimenti!