Settima parte del racconto ispirato da Engin Akyürek
LEI ♀
«Perché il destino ci ha fatto rincontrare? Era pressoché impossibile che fra ottantacinque milioni di persone spalmate su una superficie di oltre settecentottantamila chilometri quadrati ci incontrassimo!».
Neylan guardava l’amica con gli occhi pieni di tenerezza, ma non resistette: «Bianca, ma com’è possibile che non vi siate riconosciuti? Tu, poi, così attenta come sei ai particolari!».
«Non lo so Neylan, non lo so. Non l’ho riconosciuto e non me ne capacito. Potrei dirti che eravamo distratti, che avevamo entrambi gli occhiali da sole, che ci siamo incrociati per pochi, pochissimi, minuti…ma avrei dovuto riconoscerlo! Può il tempo cancellare le tracce più belle del tuo passato? Può svanire così la parte più bella che ha abitato la tua vita?»
«Sii clemente con te stessa Bianca», disse Neylan mentre armeggiava con il suo smartphone: «Ecco, qua…accidenti com’è cambiato, sfido che tu non lo abbia riconosciuto subito!», aggiunse Neylan porgendole il primo piano di Engin ventenne che aveva trovato su Google. Era davvero diverso dall’uomo che oggi, vent’anni dopo, era considerato un autentico sex symbol, la cui bellezza, fascino e carisma insieme al suo straordinario talento recitativo lo rendevano uno degli attori turchi più seguiti e amati in tutto il mondo.

Gli occhi di Bianca nel guardare la foto di Engin giovanissimo, del suo Engin, del ragazzo che aveva amato alla follia per troppo poco tempo vent’anni prima, si gonfiarono di lacrime. Sfiorò con le dita lo schermo del cellulare, come per accarezzare il volto Engin, per poi aggiungere ancora una volta: «Avrei dovuto riconoscerlo, Neylan».
«I tuoi occhi non lo hanno riconosciuto, ma il tuo cuore sì, Bianca», disse Neylan prendendo entrambi le mani tremanti dell’amica.
«Perché ci siamo rincontrati? Perchè lo stesso treno? Perchè lo stesso ristorante? Perché stasera, qui, di nuovo? Perché il destino sembra prendersi gioco di me?», ripeteva ossessionata Bianca.
«Già, perché Bianca? Ora, però, invece di starcene qui a rimuginare in questa stanza, non potresti andare incontro alla vita e pretendere una risposta a queste tue domande?»
«È tutto così complicato Neylan…lui ha ormai una sua vita e io sono ripiombata qui dal nulla, che diritto ho di sconvolgergli nuovamente tutto? Infatti, è sparito. Credo che sia chiaro che non ne voglia sapere più nulla. E mi sembra anche giusto, dopotutto».
Neylan si avvicinò a Bianca e l’abbracciò forte, fortissimo, come solo un’amica che comprende sa fare, poi le prese il volto fra le mani e guardandola negli occhi le disse: «Va bene, ora non è il momento di porci queste domande. Stasera è la tua serata, bimba. Hai lavorato tanto, concentrati su questo. Torna fuori e spacca tutto».
Bianca si ricompose, fece un respiro profondo, guardò la sua amica e insieme uscirono dalla stanza. Tornò fra gli ospiti e fu bravissima a dissimulare gli effetti della tempesta che aveva dentro. Neylan aveva ragione, aveva lavorato tantissimo e Bianca sentiva la responsabilità dei ragazzi che avevano riposto in lei le loro speranze, affidandole le loro opere. Con questo pensiero recuperò tutte le energie emotive di cui disponeva e affrontò la serata in maniera superlativa, destreggiandosi fra semplici appassionati e presidenti di fondazioni, collezionisti privati e autorità. Bianca sapeva che in fondo stava solo rimandando a dopo domande, dubbi e soprattutto la valanga di emozioni che l’incontro con Engin, il suo Engin, le aveva provocato.
Ma quanto era cambiato? E quanto era bello? si trovò a pensare Bianca nel corso della serata, e un sorrisetto addirittura ogni tanto le fece capolino sulle labbra, ricordandole le emozioni che aveva provato incontrandolo.
Ad un certo punto, con lo sguardo scorse Kemal che stava parlando ancora con Buran, fu in quel momento che la sua assistente si avvicinò per dirle che aveva preparato una bottiglia di champagne per festeggiare a porte chiuse: Buran Bulut aveva prenotato l’acquisto di tutte le nuove opere in mostra rimaste, ma ancora non aveva dato la bella notizia ai ragazzi.
Fu come una pugnalata. Le sembrò che Buran, ancora una volta, volesse prendere il controllo della sua vita. Come se le stesse dicendo che ora come allora non avrebbe potuto volare. Che sarebbe dipesa da lui. Che lui poteva decidere della sua vita. Le sembrò di sentire di nuovo l’odore dell’acido e lo stesso dolore mentre l’era arrivato addosso, sciogliendo la pelle e i suoi sogni.
Fece un respiro e con una impassibilità che continuava a stupirla rispose alla sua assistente: «D’accordo, Azra, dì ai ragazzi di fermarsi dopo la chiusura, ma non spiegare perché, darò io la bella notizia».
Poi si incamminò verso Kemal e Buran, con lo sguardo freddo di un giocatore d’azzardo.
«Signor Bulut, vorrei ringraziarla!», esordì Bianca sorridendo appena si avvicinò alla coppia. Non si sentiva per niente a suo agio, ma non poteva fare diversamente: quella mostra era l’occasione della sua vita ma soprattutto era l’occasione per i “suoi” artisti.
«Potremmo darci nuovamente del tu, come un tempo? Mi sembra che stasera sia stata una bellissima occasione non solo per scoprire nuovi talenti, quindi ancora complimenti, ma anche per rincontrare vecchi compagni di gioventù!», disse Buran, che aggiunse: «Mi è sembrato di vedere anche Engin prima, è forse andato via?»
Ci fu un breve momento di imbarazzo, la perfidia di quell’uomo sembrava non avere limiti agli occhi di Bianca, che non seppe cosa rispondere, soprattutto ebbe paura di come avrebbe potuto rispondere. Ci pensò Kemal: «Sì, è andato via, è in procinto di iniziare le riprese del suo nuovo lavoro e in genere hanno orari rigidi, non possono fare troppo tardi», farfugliò Kemal che con uno scatto da fondista si gettò sul vassoio di finger food che si aggirava nei paraggi.
Il disagio di Bianca crebbe a dismisura, quando con la coda dell’occhio scorse una cicatrice sul polso interno della mano destra di Buran. Era una piccola bruciatura da acido, Bianca ne era più che certa. Si guardarono negli occhi, Buran aveva quasi uno sguardo di sfida e non fece nulla per nascondere il segno sulla pelle che fuoriusciva dal polsino della camicia.
«Bianca, finalmente eccoti qua, ti ho cercato per tutto il palazzo!», ora si era aggiunto anche Hasan, come se non bastasse dover aver a che fare con la sfrontatezza di Buran, che le aveva addirittura espresso solidarietà per il brutto episodio che aveva vissuto vent’anni prima. Bianca abbozzò un sorriso di circostanza, in realtà avrebbe voluto scappare via da lì e trovarsi lontano chilometri da quella falsa cordialità che dispensava Buran e dalle attenzioni fastidiose di Hasan.
Ma resistette e stette al gioco finché finalmente tutti andarono via.
Festeggiarono con i ragazzi, che erano al settimo cielo! Anche il direttore Kaya si complimentò ancora, era davvero soddisfatto, in fondo Bianca era stata una scommessa ed era felice per come erano andate le cose!
«Ti va se mangiamo un boccone, tutti e due? E poi ti riaccompagno a casa?» le chiese a bruciapelo Hasan, avvicinandosi all’orecchio con una voce sussurrata che irritò non poco Bianca.
«Grazie Hasan, ma ho promesso a Neylan che avremmo bevuto un goccio tutt’e due», rispose lei mentre cercava con lo sguardo complice l’amica, che capì al volo e la tolse immediatamente dall’imbarazzo.
«Bianca, sei pronta? Ora sarai solo mia per il resto della serata!», urlò esageratamente Neylan, salutando poi tutti e dando un bacio a Ismet, al quale bisbigliò: «Devo salvare Bianca, ci vediamo dopo in hotel» prima di dargli un altro bacio sulle labbra .
Una volta fuori dall’Alan Kadıköy, Bianca respirò a fondo l’aria fresca e umida di Istanbul, aveva piovuto. E Bianca adorava la pioggia.
LUI ♂
Ti ho trovata nelle tasche dimenticate dei jeans sdruciti
dalla malinconia del tempo.
Ci ho affondato le narici.
Odorano ancora di salsedine, di mare e di libertà.
Sono impregnati di te e di me.
E dell’aroma di quel caffè che non abbiamo mai preso.
Engin se ne stava seduto alla scrivania con la foto fra le mani. Sul retro aveva scritto di getto queste brevi frasi. E ora si chiedeva che farne. Gliele avrebbe mandate? Le avrebbe mandato quella foto, con le sue parole? Ma che diritto aveva, adesso, di rovinare la sua felicità? Adesso che si era rifatta una vita, che aveva una relazione, un lavoro di successo.
Ma perché era tornata in Turchia? E perché non lo aveva cercato?
Il suono di un messaggio lo distolse da quelle domande senza risposta.
«Ciao tesoro, come stai? Ho novità, devo raccontarti!», era Banu, ignara del meteorite che si era abbattuto sulla vita di Engin. La richiamò, era molto legato a quella ragazza e sperava di sentirla felice o quantomeno più serena.
Si sedette al divano, la telefonata si prospettava lunga. E così fu.
Banu gli raccontò di İsmail, si erano rincontrati. Erano stati a cena insieme quella sera. Avevano parlato a lungo, lui le aveva voluto spiegare perché era sparito e non si era fatto più sentire.
«Avevo paura», le aveva detto così İsmail.
Banu era un fiume in piena: «Aveva paura di me, Engin. Della nostra relazione, di quale piega avrebbe potuto prendere, aveva paura di quella passione travolgente che ci ha unito a Kaş. Ma, dico, si può avere paura dell’amore? Non è forse una delle cose più meravigliose che ti può regalare la vita?».
Engin ascoltava senza rispondere, era intenerito dalla positività di Banu. Sola, con un figlio da crescere, eppure era lì all’altro capo del telefono a parlare delle meraviglie dell’amore. Ma, in fondo, come darle torto?
«Ma poi, quando ci siamo rivisti ha avuto la conferma della grande cazzata che ha fatto! E ora, io non so cosa fare! Cosa devo fare, Engin? Ha voluto sapere di nostro figlio, ha voluto che gli raccontassi tutto, ha voluto vedere le foto. Vorrebbe incontrarlo, ma ha paura di turbare il piccolo. E vuole rivedermi. È stato fuori per un master universitario, ma è tornato da un po’. Dice che vuole riprendere da dove abbiamo lasciato. Ma io gli ho detto che non può essere esattamente così. Quattro anni, tanti ne sono passati, non sono proprio una breve parentesi…però ero così emozionata stasera! Cosa devo fare, Engin? Mi batteva il cuore. E anche lui, era sinceramente emozionato!».
Engin rimase in silenzio, in quel momento era davvero l’ultima persona che potesse consigliarla.
«Non saprei, Banu. In fondo, come dici tu, quattro anni sono un lungo periodo, sarete sicuramente cambiati, oggi siete due persone diverse. Chissà, magari quell’alchimia che avete vissuto quel giorno non si ripeterà più. O forse sì. Insomma, probabilmente dovreste darvi una chance», furono le parole sommesse che Engin riuscì a pronunciare.
«Sì, lo penso anche io, credo che dobbiamo dare una chance a quel sentimento incredibile che abbiamo vissuto in quei giorni, è vero siamo cambiati, siamo cresciuti, oggi siamo due persone diverse, ma abbiamo un debito verso ciò che abbiamo provato e vissuto e verso di noi, non credi?».
«Va bene, ma promettimi che ci andrai con i piedi di piombo», le disse come un fratello maggiore. Chiusero la telefonata, Engin non volle raccontarle nulla di quello che era successo quella sera.
Seduto sul divano, ripensava alla frase che aveva detto a Banu preoccupato come un abi: «Vacci con i piedi di piombo».
Ma si può andare con i piedi piombo quando si tratta di amore? si disse fra sé e sé.
Se avessi ora, in questo preciso momento, Bianca di fronte a me, andrei coi piedi di piombo? O invece la abbraccerei e la bacerei avidamente, le accarezzerei i capelli e il viso, per tutte le volte che la vita ci ha privato di farlo? Non ci abbandoneremmo forse a quella passione, intensa e travolgente, che un tempo era l’ossessione delle nostre vite?
Engin, però, in fondo aveva paura di rispondere a queste domande. Erano passati vent’anni e nel mezzo un fiume di storie, dolori e felicità aveva travolto le loro esistenze.
E poi lei ha una relazione, si disse Engin, per chiudere il flusso di pensieri che si era impossessato della sua testa.
In quel momento suonarono alla porta.
Deve essere Kemal, preoccupato pensò Engin, dato che l’amico aveva provato a chiamarlo mentre era al telefono con Banu.
Ma non era Kemal. Engin aprì la porta: davanti a lui, c’era Bianca.
LORO ♂ ♀
Rimasero immobili a guardarsi per un istante lunghissimo. Stupore, meraviglia, felicità, timore, nei loro sguardi c’era tutto.
A malapena riuscirono a dirsi ciao, come se fosse quello il loro primo incontro dopo vent’anni di attesa.
In quella lunga pausa che si prendevano in quel momento dal mondo, dalle parole, dalle vacuità della vita, si guardavano avidamente per provare a riprendere da dove avevano lasciato. Quei volti erano così diversi da come entrambi li ricordavano, eppure si sentivano come fossero tornati a casa.
«Ti va se andiamo a bere qualcosa?», fu Bianca a rompere il lungo silenzio.
«Certo, prendo una giacca e usciamo», rispose Engin, facendole segno di accomodarsi.
Engin sparì per qualche minuto e Bianca guardò avidamente il soggiorno: il divano, la libreria zeppa di libri, lo scrittoio, le grafiche alle pareti, chiuse per un attimo gli occhi e inspirò a fondo, per respirare quell’intimità domestica a cui aveva accesso per la prima volta.
Si avvicinò alla scrivania e vide la foto di loro due. La prese fra le mani: ricordava benissimo quando l’avevano scattata, quel giorno a Istanbul in gita-studio. Quel bellissimo e maledetto giorno. La girò e si accorse di quei versi scritti a penna, il colore dell’inchiostro rivelava che non era stata scritta da molto tempo. Anzi, sembrava proprio appena scritta.
Ti ho trovata nelle tasche dimenticate
dei jeans sdruciti dalla malinconia del tempo.
Ci ho affondato le narici.
Odorano ancora di salsedine, di mare e di libertà.
Sono impregnati di te e di me.
E dell’aroma di quel caffè che non abbiamo mai preso.
Una lacrima le rigò il viso, in quel momento Engin entrò nella stanza.
Si guardarono nuovamente a lungo, in un silenzio che era carico di parole che ebbero difficoltà a uscire.
«Engin, non dire nulla. Usciamo, per favore».
Dopo pochi minuti, erano per strada.
Calpestarono l’asfalto bagnato senza dirsi una parola. In realtà, entrambi, sarebbero rimasti così chissà per quanto. Che bisogno c’era di parlarsi? Che bisogno c’era delle parole, delle spiegazioni, dei perché, dei come mai? Erano lì, accanto, soli, vicini, di nuovo loro due. Ma erano ancora loro due? Non erano più i ragazzi che si erano amati, adesso erano due persone così diverse.
Fu lei a rompere il silenzio ancora una volta.
Si fermò, costringendo anche Engin a fermare i suoi passi.
Lui si voltò per guardarla.
Dio quanto sei bella, avrebbe voluto dirle. Avrebbe voluto prenderle le mani, accarezzarle il viso, sfiorarle la cicatrice, baciarla delicatamente…ma con quei pensieri gli sembrò di violare qualcosa che non gli apparteneva. Che non gli apparteneva più. Che forse non gli era mai appartenuta.
E desiderava ascoltarla. Sì, aveva voglia di sentire la sua voce. Per anni aveva sognato di ricevere una sua telefonata, aveva sognato di lei che lo rintracciava, di loro due che parlavano per ore al telefono mentre si raccontavano le loro vite.
Ora, invece, era di fronte a lui.
«Engin, so di doverti delle spiegazioni. In realtà non mi aspettavo che il destino ci avrebbe messo nelle condizioni di rincontrarci. E sinceramente non so che significato dare a tutto quello che ci è successo. Non sono in grado di comprenderlo. Chissà, forse col tempo capiremo. In verità mentre venivo qui a casa tua, ero dubbiosa, mi sono chiesta se ti aspettassi ancora di sapere cosa è successo, di sapere perché sono andata via. Poi ho visto la foto di noi due sulla tua scrivania, quelle parole…mi sento confusa, ma ho bisogno di dirti che andando via quel maledetto giorno da Istanbul ho scavato un abisso profondo dentro di me. Un vuoto che non mi ha mai lasciata. Quel vuoto eri tu, era la nostra vita insieme, i nostri sogni, la nostra felicità, la nostra giovinezza, il nostro futuro. Non sono scappata via da te, sono scappata via da me. Da quella me che qui non sarebbe stata in grado di rialzarsi in piedi. Ho assecondato i miei genitori che mi hanno riportata in Italia e poi in Francia», Bianca era irrefrenabile. Parlava senza sosta, come se ogni parola fosse una molecola di ossigeno di cui aveva maledettamente bisogno per respirare. Per continuare ad essere ancora viva.
«Hanno rinunciato a tutto per me, alla loro carriera qui ad Ankara, ai loro sogni, la loro felicità era potermi restituire una vita dignitosa. E non hanno fatto in tempo a vedere che quella vita che loro hanno voluto restituirmi io me la stavo riprendendo e difendendo coi denti, Engin. Sono morti tutti e due. Perché il destino si è accanito con me, con noi, Engin? Perché?», aggiunse Bianca prima di scoppiare a piangere.
Engin le si avvicinò e le prese le mani, poi finalmente la abbracciò.
Senza dire una sola parola, la strinse forte a sé, era l’unica cosa che riuscì a fare in quel momento. Rimasero così per alcuni, bellissimi, minuti.
Bianca, però, interrompendo quella magia si allontanò: «Ho fatto un sacco di errori, ma sono stati le uniche cose che sono riuscita a fare dopo essermi alzata in piedi. Per tanto tempo ho cercato l’appoggio nel cuore sbagliato, in una relazione sbagliata, in una casa sbagliata, in una vita sbagliata, perché pensavo che da sola non sarei stata in grado di affrontare il mondo. Ma la vita mi ha ripreso a schiaffi, ancora una volta, ed è stato allora che ho capito che dovevo farcela da sola. Per questo sono tornata, Engin. Per dimostrare a me stessa che posso farcela. Lontano dal mondo effimero che avevo intorno. Sono tornata qui, perché forse inconsapevolmente cercavo ancora te, anche se non era giusto farlo. Sono tornata qui perché amo terribilmente questo Paese e non riesco a odiarlo solo perché uno stronzo mi ha distrutto la vita e mi ha rubato per sempre i sogni».
Poi tacque. Si sentiva come svuotata. Rimase in silenzio guardando i bellissimi occhi scuri di Engin.
«Hai tutto il diritto di avercela con me, di detestarmi, di essere arrabbiato, deluso, ma ti prego non odiarmi: ho solo difeso con le unghie ciò che era rimasto di me dopo quella terribile notte», aggiunse ancora Bianca.
«Odiarti? E come potrei? Sono felice che tu sia qui. Sono felice di sapere che stai bene. Sono felice che tu sia tornata in Turchia, sono felice che ci siamo incontrati, sono felice che tu sia venuta a casa. Sì, sono felice. Ma non sono solo felice. Solo che mi sentirei terribilmente stupido a dirti esattamente cosa provo. E temo anche che non sarebbe giusto», disse Engin soppesando ogni parola. Voleva aprirsi, ma non voleva ferirla. Avrebbe voluto dirle tutto dei suoi sentimenti, ma decise di non farlo.
Rimasero in silenzio ancora a lungo, continuando a guardarsi. Nessuno dei due osava violare quel momento di grande intimità. Nessuno dei due osava fare di più. Eppure, entrambi avrebbero voluto abbracciarsi ancora, sentire il corpo dell’uno nell’altro, due corpi che erano così diversi da ciò che avevano reciprocamente conosciuto vent’anni prima.
«Ti ho fatto fare tardi. Kemal mi ha spiegato che stai per cominciare le riprese del tuo nuovo lavoro e che hai degli orari da rispettare, scusami», disse Bianca.
Engin sorrise, poi aggiunse: «Non perdiamoci un’altra volta, però».
«Sarò a Istanbul ancora qualche giorno, poi farò ritorno a Eskişehir».
«Sarò a Istanbul ancora qualche giorno, poi partirò per Gaziantep».
Si salutarono, rubandosi ancora un ultimo sguardo, poi si scambiarono i numeri di telefono. Bianca fermò un taxi con la mano, Engin se ne tornò a piedi verso casa.
LUI ♂
Si strinse nelle spalle, la serata era davvero fresca, dopo tutta quella pioggia che quella sera aveva lavato la città, ma non i ricordi e le immagini di un passato che sembrava così lontano. Engin prese il telefono e chiamò Kemal.
Dall’altra parte del telefono l’amico rispose subito.
«Kemal, è tardissimo, ti ho svegliato?»
«No, amico mio, aspettavo la tua telefonata. Sapevo che avresti richiamato».
«Come ho fatto a non riconoscerla subito, Kemal?»
«Succede Engin, più spesso di quanto immaginiamo. Col tempo si cambia, e se il tempo poi si accompagna a esperienze intense il cambiamento è ancora più profondo. Non mi meraviglio, sai? Talvolta pensiamo di conoscere bene chi fa parte della nostra vita, della nostra quotidianità, pensiamo di sapere tutto delle persone con cui parliamo, mangiamo, ci messaggiamo costantemente, salvo poi scoprirle nel tempo così diverse. Ma succede anche di vivere una vita intera nella convinzione di conoscersi alla perfezione, di sapere tutto di noi stessi, per poi una mattina guardarci allo specchio e vedere un estraneo. Quanta vita è passata da allora? Da quell’ultima volta in cui siete stati insieme? Non intendo solo il tempo, ma ciò che abbiamo vissuto, che ha vissuto lei, che hai vissuto tu. Ogni secondo di vita vissuta ci cambia», fu la risposta accorata di Kemal, a cui seguì un breve silenzio.
«Bianca è venuta da te?», chiese ancora l’amico.
«Sì e ancora mi devo riprendere. Ma raccontami, cosa è successo quando sono andato via?» volle sapere Engin.
«L’ho aspettata fuori dall’Alan Kadıköy quando tutti sono andati via. Ho visto un po’ di cose strane, ho intuito che Bianca avesse bisogno d’aiuto. Ho pensato che volesse venire da te e che lo volessi anche tu. Le ho dato il tuo indirizzo di casa, ma non ero certo che sarebbe venuta».
«Quali cose strane?»
«Engin, non so, ho come la sensazione che Buran non fosse lì al vernissage solo in veste di collezionista».
«Buran?»
«Ricordi ai tempi dell’Università? Lui frequentava un corso diverso, il figlio del famoso industriale, lo ricordi? Mi pare abbia rilevato la holding del padre, è ricco sfondato e credo che sia anche un collezionista, perché ieri ha comprato quasi tutte le opere degli artisti in mostra. Però ho percepito qualcosa di strano fra lui e Bianca…ho avvertito a un certo punto come se Bianca fosse a disagio, tanto che ho avuto netta la sensazione che con gli occhi mi stesse implorando di aiutarla a liberarsi di lu. E mentre andavo via, mi è sembrato che volesse liberarsi anche di Hasan».
«Chi è Hasan, il suo compagno?»
«Si. Almeno così mi è sembrato, che volesse rimanere da sola».
«Che confusione. Comunque, hai fatto bene».
«Avete parlato?»
«Più che altro ha parlato lei».
«Eeeee…?»
«Ci rivedremo in questi giorni, prima che io parta e che lei ritorni a casa. Forse».
«Forse?»
«Non so è giusto farlo, Kemal».
«Perchè?»
«Che diritto ho di ripiombare nella sua vita, adesso che è finalmente serena? Ha sofferto così tanto, non posso. Non posso».
LEI ♀
Come può dopo tanti anni emozionarmi ancora così tanto? si chiedeva Bianca seduta nel taxi che la riportava verso l’abitazione dei genitori di Neylan, mentre guardava la città scorrere dai finestrini dell’auto, desiderando di essere ancora fra le braccia calde e avvolgenti di Engin. Quell’abbraccio così rassicurante era la cosa più bella che le era capitata dopo tanto tempo.
Già, da quanto tempo? si chiese Bianca.
Mentre era assorta in questi suoi pensieri, con l’immagine del viso di Engin fissa nella testa, il suo profumo nelle narici e la sensazione bellissima del suo abbraccio, sentì la notifica di un messaggio.
Era Neylan: «A qualunque ora scrivimi per aggiornarmi, please».
« ☺️ »
«Solo uno smile? Ma sei pazza? Racconta subito tutto. Voglio i dettagli!!»
Bianca la chiamò: «Neylan, amica mia, non so se ho fatto bene ad andare a casa sua. Cioè, è stato emozionante rivederlo. Dio quanto è bello! Il suo profumo è ancora qui con me. Mi ha pure abbracciata. Mi ha preso le mani. Ma com’è possibile che dopo così tanto tempo, mi faccia il battere il cuore così?»
«Perché sei dubbiosa?»
«Perché anche Engin ha sofferto moltissimo, Neylan. Ho avuto la conferma stasera. Sulla sua scrivania c’era una foto di noi due. Ha sofferto anche lui. Tanto. L’ho visto nei suoi occhi. L’ho sentito. Ma adesso ha una relazione. Ha il suo lavoro, la sua vita, i suoi affetti, la sua donna. Che diritto ho di ripiombare nella sua vita?».
«E lui? Che cosa ha detto?».
«Più che altro mi ha ascoltata. Gli ho rovesciato addosso una valanga, forse l’ho tramortito!»
«Ma era contento di rivederti o no? Era contento che sei andata a parlarci?»
«Si, mi ha detto che ne era felice. Era sincero, mi ha anche abbracciato, mi ha preso le mani, i suoi occhi erano tutti per me…ma…»
«Ma?»
«Vorrebbe che ci rivedessimo, prima che lui parta, che io parta, ma… »
«Ma?»
«Non lo so Neylan. E’ tutto così strano, pazzesco…l’incontro sul treno, poi alla mia mostra, rivederlo, scoprire che era lui….ma Neylan, non siamo più le stesse persone».
LUI ♂
«Non siamo più le stesse persone, Engin», Banu lo aveva chiamato di prima mattina, per fare il punto sugli appuntamenti degli ultimi giorni, prima che partissero tutti per Gaziantep per le riprese del nuovo lavoro ed Engin le aveva chiesto di İsmail.
«Siamo innegabilmente cambiati. Siamo cresciuti, io per un verso, il mio piccolo Ahmet mi ha fatto maturare senza dubbio, ma anche İsmail è cambiato: quattro anni non sono pochi», disse Banu, strappando un sorriso amaro a Engin che pensò solo quattro anni.
«Però non posso negare a me stessa, alla mia felicità e a quella di mio figlio, l’opportunità di vedere chi è diventato oggi. Quanto meno di parlarci, di rincontrarlo, di frequentarlo. Lui me l’ha chiesto. E in quel momento, ho toccato il cielo con un dito. Ho bisogno di farlo».
Mentre Banu parlava, Engin ne approfittò per finire di vestirsi, aveva fatto tardi quella mattina, la notte non era riuscito a dormire bene. Uscì di casa, con Banu ancora all’altro capo del telefono che gli chiese a bruciapelo «E tu, come stai?».
In quel momento, Engin che stava per chiamare con la mano un taxi, cambiò idea e decise di fare due passi a piedi. La giornata era grigia, il cielo era ancora carico di pioggia, di sicuro a breve avrebbe piovuto di nuovo. Ma a Engin non sarebbe dispiaciuto.
Così mentre camminava fra i palazzi che avevano assunto lo stesso colore grigio del cielo, le raccontò di Bianca, di Adele, della serata del giorno prima e di come si sentiva. Fu una lunga telefonata, Engin entrò in un bar a bere un tè, aveva bisogno di scaldarsi, aveva cominciato anche un po’ a piovere. Si sedette al tavolino vicino la vetrata, adorava guardare il via vai della strada.
«Engin, sembra la sceneggiatura di un film! Ma è incredibile! Incontrarsi casualmente, sullo stesso treno, al ristorante e poi di nuovo alla mostra…ma è così romantico!! Non mi chiedere cosa dovresti fare, perché la risposta la conosci già! Che aspetti? Chiamala, no? In fondo, anche se ha una relazione, che male c’è a prendere un caffè insieme?»
La telefonata si chiuse che la frase di Banu aleggiava ancora nel bar dove i rumori delle tazzine e dei piattini sembrava volessero riportare Engin a tutti i costi alla realtà.
Engin, allora, riprese il cellulare in mano e cercò il nome di Bianca in rubrica, fu lì lì per chiamarla, ma poi cambiò idea.
Si alzò, lasciando i soldi sul tavolino ed uscì.
Con la mano fece cenno a un taxi di fermarsi.
to be continued…..
© Rosaria Bianco
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Quante emozioni in questo racconto il coraggio di Bianca andare a casa di Engin per dirgli il suo andare senza spiegazioni e trovare quella foto con quelle parole .Ti ho trovata!! dire e il non dire l’abbraccio di Engin bello grande Ros emozionante grazie alla prossima❤️
Ros non ho avuto ancora modo di dirti che questo settimo capitolo è stupendo ! Soprattutto la parte quando dice” ti ho trovata nelle tasche dimenticate………. Mi ha riportato alla mente il tuo post su Instagram con una foto di Engin con queste bellissime parole Mi ha emozionato non poco questo capitolo, questo cercarsi ritrovarsi di Engin e Bianca, le parole non dette ,il turbinio di sentimenti che provano ancora l’ uno verso l’altra i dubbi i pensieri che si avvicendano nelle loro menti Penso che sia superfluo dire che tu sei una scrittrice di grande talento ♥️
Ho letto e riletto… questa bellissima storia e sono contenta che Bianca è andata da lui … mi sono piaciute tantissimo queste parole piene di significato: Ti ho trovata nelle tasche dimenticate
dei jeans sdruciti dalla malinconia del tempo.
Ci ho affondato le narici.
Odorano ancora di salsedine, di mare e di libertà.
Sono impregnati di te e di me.
E dell’aroma di quel caffè che non abbiamo mai preso. Parole struggenti…
Ros spero che ci sia il lieto fine … per ora to be continued per fortuna ❤️
Questo capitolo l’ho trovato meraviglioso, stracarico di emozioni, almeno per me. Perché ad ogni persona una situazione dà differenti sensazioni. Penso che quel “non riconoscersi” sia un’inconscia paura di non “ritrovarsi” dopo così tanto tempo.
Ti ho trovata nelle tasche dimenticate
dei jeans sdruciti dalla malinconia del tempo.
Ci ho affondato le narici. Odorano ancora di salsedine di mare e di libertà.
Sono impregnati di te e di me.
E dell’aroma di quel caffè che non abbiamo mai preso.
Dire bello questo passaggio è riduttivo.
Brava!
Quanto è stata brava e coraggiosa Bianca a volersi immediamente incontrare per spiegare ad Engin i risvolti tragici che avevano causato la sua sparizione! Io non ci avrei scommesso, ma è successo : le parole che si son detti e anche il non detto mi hanno profondamente coinvolto ed emozionato… E ora che succederà? Quando ero già col fiato sospeso il racconto si è interrotto… ancora non mi sono abituata.. Comunque grazie Ros, per le emozioni che ci doni