Quarta parte del racconto ispirato da Engin Akyürek .
LUI ♂
Mentre guardava fuori dal finestrino affacciato sui binari che stridevano, Engin ebbe la sensazione di intravederla fra la folla che attendeva l’arrivo del treno a Eskişehir.
O forse era solo la sua immaginazione.
E se invece aveva ragione?
Forse era una pendolare e prendeva spesso quello stesso treno diretto a Konya che sembrava giocare alla roulette russa con i posti a sedere.
Era rimasto un solo posto libero nel suo vagone, chissà a chi sarebbe andato in sorte, pensò Engin. Ci sarebbe voluta una dose sfacciata di fortuna perché capitasse di nuovo a lei.
Il suono dello smartphone lo distolse da quei pensieri: era Banu. Si erano sentiti, come sempre, subito dopo la trasmissione in radio, avevano parlato brevemente su come sarebbe tornato Engin da Konya: un aereo lo avrebbe riportato a Istanbul, in tempo per cenare con lo sceneggiatore e il direttore della fotografia del suo nuovo lavoro.
La conversazione mattutina, però, era stata troppo telegrafica ed Engin aveva avvertito qualcosa di strano nella sua voce, tanto che le aveva mandato un messaggio: «Ehi, come mai ho captato delle sfumature di tristezza nella tua voce? Se hai voglia di parlare chiamami quando vuoi, sono in viaggio verso l’ignoto ;-)».
Era, infatti, lei: «Allora, che succede stamattina all’assistente più in gamba e allegra che ci sia?», esordì Engin aprendo la chiamata.
Dall’altra parte una voce spezzata dalle lacrime, Banu piangeva e non riusciva nemmeno a parlare.
«Banu, che succede?», disse allarmato lui, alzandosi per spostarsi, gli sembrava di mancarle di rispetto rimanendo a parlare nel vagone.
Mentre aspettava invano un cenno dalla sua amica, barcollando arrivò nella passerella intercomunicante e si fermò davanti alla porta del bagno.
«Banu vuoi dirmi per favore cosa succede? Qui accanto c’è il freno d’emergenza, se non parli giuro che lo tiro all’istante!», sussurrò al telefono sperando che quella minaccia, seppur sottovoce, sortisse effetto.
«Engin perché sono così sfortunata?», fu la frase che giunse con un filo di voce dall’altro capo del telefono.
Lo aveva incontrato. Per caso, la sera prima. Banu aveva rivisto l’Innominato in un locale dove era andata a bere con gli amici. Lei aveva riconosciuto la sua voce da lontano, pur nel frastuono domenicale del bar. Si era alzata dal tavolo come un automa e lo aveva spiato. In silenzio. Da lontano. Anche lui era insieme a degli amici, mano nella mano con una ragazza.
Bellissima – Stupenda – Allegra – Raggiante, Banu aveva scandito esattamente così gli aggettivi per descriverla.
Poi i loro sguardi si erano incrociati. Lui trovò la scusa di andare fuori a fumare, per alzarsi dal tavolo. Lei lo seguì. Ci furono lunghi attimi di silenzio fra i due, che caricarono di ancora più elettricità un’aria già piuttosto satura. Poi lui esordì: «Sei stupenda, come sempre». In quei lunghi attimi Banu pensò a cosa dire, se parlargli di Ahmet, se metterlo al corrente che una parte di lui viveva in quella meravigliosa creatura di tre anni che aveva dato un senso nuovo alla sua vita. Oppure tacere.
Come sanno essere banali, gli uomini, a volte, pensò Banu ascoltando quella frase. D’altronde, si disse in preda a un evidente attacco di sindrome da crocerossina, era all’oscuro di tutto quello che era successo.
Allora lei decise di alzare il tiro, gli si avvicinò con fare sensuale, con un leggero bacio gli sfiorò la guancia e gli sussurrò all’orecchio: «Lo so, baby. Ed è anche merito tuo. Perché una parte di te ora vive con me, per sempre».
Banu non avrebbe dimenticato facilmente l’espressione di lui, a metà tra l’atterrito e il meravigliato.
Prima che balbettasse qualcosa, Banu gli disse: «Non voglio guastare l’umore della tua dolce metà, ma chiamami, devi sapere. Assolutamente. Il mio numero è sempre quello» e rientrò col cuore palpitante all’interno del locale, che ora sembrava la potesse soffocare.
Non l’aveva richiamata.
«Non ancora Banu, non ti ha ancora richiamata, magari lo farà, dagli il tempo di elaborare», farfugliò Engin per tirare su il morale della sua giovane amica, alla quale non sapeva davvero cosa dire.
Poi aggiunse: «Banu, tesoro mio, hai avuto tanta pazienza finora, mantieni ancora un po’ di calma. Facciamo così, stasera vediamoci a cena, così dopo ne parliamo e ci tiriamo su a modo nostro, ok? Un bacio, tesoro».
LEI ♀
Mentre il treno frenava la sua corsa sui binari, offrendosi come una catena di fotogrammi al rallentatore, Bianca lo scorse. Era certissima fosse lui. Guardava fuori dal finestrino.
Bianca contò i vagoni che lo separavano dal suo, salì sul treno facendosi spazio fra la folla, prese il posto che le era stata assegnato, ma si alzò subito dopo per andare da lui. Voleva farlo. Per ringraziarlo della dedica e per averle restituito la sua borsa. In realtà voleva proprio rivederlo, si sentiva attratta da quell’uomo innegabilmente affascinante e simpatico. Non le avrebbe detto sua madre di andare incontro alle emozioni? E lei volle farlo. Sentiva di volerlo fare. Anche se in cuor suo temeva di commettere un altro errore.
Mentre attraversava i vagoni traballanti, con una piacevole agitazione addosso, lo intravide da lontano. Era in piedi fuori dal vagone, le sembrò decisamente alto. Aveva un giaccone verde ma questa volta non aveva gli occhiali da sole. Proseguì col cuore in gola pensando a cosa dire di preciso. C’era quasi. Ora lui era voltato di spalle, fermo vicino alla porta del bagno. La porta del bagno, a Bianca venne da ridere.
Lo aveva raggiunto, era ferma dietro alle sue spalle, aspettava che chiudesse la telefonata per potergli parlare, poi udì quelle parole: «Facciamo così, stasera vediamoci a cena, così dopo ne parliamo e ci tiriamo su a modo nostro, ok? Un bacio, tesoro». La prima cosa che le venne da fare, per una sorta di istinto di sopravvivenza, prima che lui si voltasse e si accorgesse della sua presenza, fu quella di chiudersi nel bagno!
In quel preciso istante, con un incredibile tempismo, squillò il suo cellulare: era Nelyan. Bianca rispose sottovoce e subito dopo scoppiò a ridere.
«Bianca, sei tu?»
«Siiiii», fu la risposta soffocata dalle risate di Bianca.
«Ma che succede?»
Bianca non riusciva a smettere di ridere. Poi tirò il fiato, seduta sul water del treno, che in quel momento le sembrò una metafora della sua vita, e spiegò a Neylan: «Ti racconterò con calma, diciamo che ultimamente ho delle frequentazioni assidue con le toilette dei treni!»
«Uhm, sei misteriosa, va bene ho pochissimo tempo, ci vediamo stasera alle 21 al ristorante il Sud di Istanbul. Non fare tardi!»
«Istanbul??????» fu la reazione di Bianca, ma prima ancora che chiedesse perché invece non cenare più comodamente nella loro città, l’amica aveva già chiuso. L’idea di dover fare un altro lungo viaggio in giornata non la entusiasmava, ma sapeva di doversi arrendere suo malgrado a Neylan che aveva organizzato la serata per lei, non le andava di fare la guastafeste.
Aspettò qualche minuto, trattenendo quasi il fiato, poi spiò fuori dal bagno: lui non c’era.
Uscì e si diresse verso il suo posto.
LUI ♂
Engin, tornò nel suo vagone, l’unico posto rimasto libero non era stato occupato dalla donna con la borsa rossa. Si sedette, ma era inquieto. Per Banu. Le voleva davvero bene e sentiva tutta la sua sofferenza.
Una donna dovrebbe sempre sorridere, pensò ancora una volta Engin e la sua mente tornò nuovamente alla sconosciuta che quel giorno il destino aveva destinata altrove. E rifletté che la sua inquietudine in effetti era dovuta anche a questo, alla delusione per non averla incrociata nuovamente.
Decise che quel giorno avrebbe “succhiato la vita” in modo diverso, non si sarebbe messo a osservare l’umanità scorrere davanti ai suoi occhi, ma avrebbe scritto un’e-mail a Banu. Lo faceva stare troppo male saperla così triste.
Prese il laptop che aveva nello zaino e cominciò a scrivere. Era talmente preso dalla scrittura, che non si accorse quando il treno arrivò a Konya. Chiuse velocemente il dispositivo, prese lo zaino e scese di corsa dal treno sperando di riuscire a rivedere la donna con la borsa rossa, sempre che la sensazione avuta arrivando alla stazione di Eskişehir fosse stata giusta.
Mentre camminava sul binario avviandosi verso l’uscita, facendosi largo fra la gente che si era fermata vicino al treno, ebbe la sensazione di rivederla. Iniziò a correre per provare a raggiungerla e in pochi istanti era già fuori dalla stazione. La vide. Era lei. Che ora però stava salendo a bordo di un taxi.
Engin si fermò all’istante, guardando con delusione l’auto che si allontanava con la donna sconosciuta a bordo.
LEI ♀
Lo aveva visto. Scendendo dal treno, si era guardata intorno e aveva scorto la sua grande figura che avanzava tra la folla, avendo chiara la percezione che la stesse cercando. O almeno così le era sembrato. O forse così volle pensare… Lei però fece finta di nulla.
Si era sentita una cretina. Quella frase che aveva ascoltato fortuitamente vicino alla toilette del treno l’aveva fatta sentire una cretina.
Era tornata al suo posto decisa a non pensarci più.
Come sempre, aveva indagato profondamente le sue sensazioni: in realtà non avrebbe voluto solo ringraziarlo come gesto di cortesia, aveva proprio il desiderio di rivederlo, di parlarci di nuovo, magari più a lungo questa volta, di capire meglio chi fosse, saperne di più.
Lo aveva incrociato, in fondo, per pochi, pochissimi, minuti la prima volta che lo aveva incontrato. Eppure, si sentita incredibilmente attratta da quell’uomo dagli occhi profondi. Però quella frase, quel “tesoro mio”, aveva avuto l’effetto di metterla a nudo con le sue emozioni e lei quasi se ne vergognava.
Si sentiva a disagio, per questo. Si sentiva vulnerabile, fragile. Non era pronta a tutto questo. Non era disposta a cedere nuovamente a questa vulnerabilità. Doveva essere forte.
Era forte.
E niente e nessuno l’avrebbe fatta soffrire.
Di nuovo.
Per cui scendendo dal treno, si diresse con decisione verso l’uscita. Avrebbe preso un taxi per andare all’incontro. Si sarebbe concentrata sul lavoro. E la sera si sarebbe divertita. Sì, aveva un dannato bisogno di divertirsi. E di non soffrire più.

LORO ♀♂
Bianca arrivò per ultima al ristorante che Neylan aveva scelto in suo onore, il Sud, d’altronde per quanto veloce il treno, ci aveva impiegato un bel po’ a coprire la tratta Konya-Istanbul. Il gruppetto era già dentro, si erano accomodati da una decina di minuti, la stavano aspettando. Bianca e Neylan erano già state in questo elegante bistrot di Kadıköy, una sera di qualche mese prima, quando aveva accompagnato l’amica a trovare i suoi genitori. Ci erano andate solo loro due, per chiacchierare un po’, e lo avevano trovato entrambe adorabile non solo per lo stile degli arredi, ma anche per la cortesia del servizio e soprattutto per la cucina italiana, che per Bianca ovviamente aveva un po’ il sapore della nostalgia, mentre per Neylan era la novità esotica che ogni tanto amava concedersi.
Al tavolo insieme a Neylan e Ismet c’erano tre persone nuove che Bianca avrebbe conosciuto quella sera: Azra col il fidanzato Hakan e Hasan il single che Neylan si era messa in testa di far conoscere a Bianca.
Uno scambio di sguardi complici fra le due amiche e di approvazione (Hasan era davvero un bel ragazzo!) prima che Bianca salutasse tutti e si presentasse.
Era raggiante, era riuscita a cambiarsi velocemente prima di prendere il treno per Istanbul, e nonostante le ore passate sul treno si sentiva in forma. L’incontro con il direttore della galleria d’arte a Konya era stato veloce e si era concluso nel modo sperato: la mostra si sarebbe fatta e a curarla sarebbe stata proprio lei. Una bella scarica di adrenalina e una iniezione di ottimismo per Bianca!
***

Engin era salito su un taxi e aveva dato indicazioni sulla via del ristorante cui era diretto, si trovava a Kadıköy: ci avrebbero messo un po’ prima di arrivare, ed era distrutto. Queste sfacchinate mi mettono ko pensò prima di cedere al sedile e di indossare gli auricolari, dopo qualche istante partirono le note di Only The Winds di Ólafur Arnalds.
Ripensò con soddisfazione alla giornata, partita decisamente male con l’incontro svanito con la donna misteriosa. Ma poi le cose si erano sistemate, incontrando un inviato di guerra che gli aveva già dato una mano affinché entrasse meglio nel personaggio. Lo aveva rincontrato nuovamente quel giorno a Konya, perché Engin aveva ancora alcuni dubbi e qualche altra domanda da porgli. Avevano chiacchierato a lungo seduti in un bar, poi avevano pranzato insieme e fatto una lunga passeggiata nella parte vecchia della città. Si erano abbandonati tutti e due ai suoni e ai colori della città vecchia, con la chiamata alla preghiera che risuonava sotto la pioggerella a rendere il tutto ancora più struggente. Engin si preparava anche così ai suoi nuovi lavori, cercando contesti urbani che lo predisponessero nello stato d’animo migliore. Ed era per questo che, dovendo raggiungere Konya, aveva chiesto al cronista di incontrarsi proprio lì, lontano dalle vie turistiche, preferendo la zona più vecchia, dove alcune case avevano l’intonaco scrostato e i muri fatiscenti, come quelle che di lì a breve sarebbero state il contesto della sua nuova serie.
Al ristorante, invece, avrebbe cenato con lo sceneggiatore e il direttore della fotografia per discutere gli ultimi dettagli prima di cominciare a girare, l’inizio delle riprese era ormai imminente. Ci sarebbe stata anche Banu, il ristorante lo aveva scelto lei, “in onore” dell’isola dove aveva amato İsmail, incontrato casualmente la sera prima.
Ah Banu, Banu … pensò con affetto Engin, poi chiuse gli occhi, con l’immagine del taxi che portava via la donna sconosciuta con la borsa rossa.
***
La cena al ristorante scivolava amabilmente, Hasan era un consulente finanziario (un consulente finanziario???? chiese con gli occhi Bianca guardando l’amica…)
Bianca, che quella sera si sentiva carica e in vena anche di provocazioni, disse: «Beh un mondo più distante dal mio non potrebbe esserci…»
«Invece, è molto più vicino di quello che puoi credere. Senza soldi e quindi finanziatori è difficile poter organizzare delle belle mostre».
Colpita e affondata. Per un attimo lo detestò. Ma in fondo aveva ragione, avevano discusso anche di questo lei e il direttore Kaya, la mattina.
Non è certo uno che le manda a dire, pensò Bianca.
Arrivarono i piatti che avevano ordinato: una magnifica pizza napoletana tagliata a spicchi, al centro del tavolo. E poi ognuno aveva ordinato una specialità italiana: Bianca aveva scelto la parmigiana di melanzane. Era un piatto che adorava. E che le ricordava sua madre, che le cucinava la parmigiana più buona del mondo. Bianca non era riuscita a trovare mai più quello stesso sapore. E anche quando ci si era cimentata lei, non ci era riuscita: una buona parmigiana, ma non quella parmigiana.
Quella sera la volle prendere in onore di sua madre. E dei suoi consigli, che stavolta però si erano rivelati sbagliati.
Fu in quel momento, proprio mentre pensava alla madre, che si accorse di lui, dell’uomo del treno, dell’uomo che le aveva dedicato i versi in radio, che le aveva recapitato la sua borsa, che in quel momento stava varcando la soglia del ristorante. In quel preciso istante. Nello stesso ristorante.
Quanti ristoranti ci saranno a Istanbul? Che possibilità ci sono che due persone che non si conoscono, ma che si sono incrociate per caso, si rincontrino nello stesso, identico, ristorante?
Bianca abbassò lo sguardo sul piatto.
***
Engin arrivò al ristorante insieme agli altri, sembrava si fossero dati appuntamento per arrivare nel medesimo istante. Entrarono insieme, il cameriere li accompagnò al tavolo. Si sedettero, Banu si accomodò accanto a Engin, che le accarezzò la testa. In quel momento, dando uno sguardo complessivo alla sala, la vide.
Bianca non poté fare a meno di notare che lui si era seduto accanto all’unica donna presente. E notò anche la carezza. Le budella le si contorsero.
Engin guardò il tavolo: tre coppie sedute. Provò una delusione, più grande di quella provata al mattino.
Bianca decise che no, non sarebbe stata male per un uomo che nemmeno conosceva. Che, no, non si sarebbe rovinata la serata. Che no, non avrebbe guardato in direzione del suo tavolo.
Engin non riusciva a non guardare verso il tavolo dove era seduta Bianca.
E anche Bianca venne meno al terzo dei suoi propositi.
Per un attimo beccarono la sincronia, i loro sguardi si incrociarono. Entrambi ne furono imbarazzati. Engin, si soffermò un po’ più a lungo, volendo abbozzare un sorriso di saluto, in fondo, seppur per pochissimi minuti si erano anche parlati su quel treno diretto a Konya. Bianca dissimulò le sue emozioni, fece finta di non riconoscerlo. E guardò altrove.
«Hasan, quante probabilità ci sono che due persone che non si conoscono, ma che si sono incrociate per caso, si rincontrino nello stesso, identico, ristorante, in una enorme città con più di 15 milioni di abitanti? Sicuramente avrai studiato statistica, vero?», esordì Bianca.
«Le stesse che ci sono per due persone che abitano diciamo nel Sud Italia, che se non ricordo male dovrebbe comprendere sei regioni, dove ci sono all’incirca lo stesso numero di abitanti», rispose di getto Hasan.
Questa risposta stupì Bianca, più di quanto la sua domanda aveva stupito il tavolo, in particolare l’amica che cercò di capirne la ragione guardando negli occhi Bianca.
Hasan aveva viaggiato molto ed era stato diverse volte in Italia, cominciò così a raccontare dei suoi viaggi, di quello che aveva amato e notato girando per l’Italia e Bianca, che non smetteva di sbirciare verso il tavolo dove era seduto Engin, finse una esagerata complicità con Hasan, con un fare leggermente civettuolo, che non passò inosservato allo sguardo dell’amica.
Anche Engin notò quella complicità. Per un attimo ebbe il dubbio su cosa fare: alzarsi e andare a salutarla? Possibile che non mi abbia riconosciuto? Possibile che non si ricordi di me? Poi gli venne in mente quello che gli aveva riferito l’addetto della stazione, cioè del sospetto trauma cranico. E allora concluse che forse sì, si era scordata di lui, a causa dell’incidente. Quella complicità tra i due, poi, lo convinse definitivamente, ci avrebbe messo una pietra sopra.
Per una strana alchimia del destino, i due tavoli finirono più o meno nello stesso momento di cenare e si ritrovarono all’uscita tutti insieme.
Si sfiorarono. E si guardarono per un’ultima volta.
Uscendo fuori dal ristorante Neylan prese sottobraccio l’amica: «Credo che tu debba raccontarmi qualcosa!»
Bianca rispose con uno sguardo esageratamente interrogativo e poi le diede un bacio sulla guancia.
Salutarono la coppia di amici e Hasan, poi salirono in tre sul taxi, sarebbero andati a dormire dai genitori di Neylan. Il giorno dopo avrebbero fatto ritorno a Eskişehir.
LEI♀
Bianca si alzò presto quella mattina insieme a Neylan, ma decise che sarebbe tornata a casa da sola, più tardi, con calma. Avrebbe approfittato per fare un giro per le strade di Istanbul, voleva cercare ispirazione per il lavoro che l’attendeva e per il quale era molto emozionata. Ancora non le sembrava vero che avrebbe organizzato la sua prima mostra d’arte in Turchia. Il direttore Kaya le aveva praticamente dato carta bianca: la sede, gli artisti, l’organizzazione degli spazi, aveva solo chiesto di essere messo al corrente man mano. Si era informato su Bianca ricevendo ottime referenze, in effetti era proprio brava nel suo lavoro.
Si soffermò a guardarsi allo specchio. Con una mano spostò il lungo ciuffo di capelli che solitamente faceva ricadere sulla guancia. Con le dita si toccò la lunga cicatrice che le solcava il viso. E ripensò alle parole dell’amica la sera prima: «Tu sei bella Bianca, non ti arrendere. Sei bella e sei forte».
Rincasate dal ristorante, infatti, si erano trattenute in cucina a chiacchierare, Neylan aveva capito che Bianca nascondesse qualcosa e voleva sapere tutto.
E Bianca le raccontò tutto. Le disse dell’uomo che aveva incontrato sul treno, quella mattina che era andata a finire in ospedale, della strana complicità che si era creata, del libro di poesie, della borsa che lui le aveva fatto recapitare, della trasmissione in radio con quei bellissimi versi che le aveva dedicato e di quanto si fosse sentita stupida quando, ancora una volta nei pressi della toilette del treno, gli aveva sentito pronunciare quella frase intima alla donna che la sera al ristorante era seduta accano a lui.
Neylan rimase colpita dal racconto di Bianca: «Accidenti, sembra la trama di un libro!»
Poi con una lucidità chirurgica fece la sua analisi: «Però hai sbagliato a fare finta di non averlo riconosciuto! Va bene, forse è impegnato con la donna che gli era seduto accanto al ristorante, ma ciò non toglie che lui sia stato gentilissimo nei tuoi riguardi, ti ha riportato la borsa e ha voluto in qualche modo renderlo pubblico attraverso la sua trasmissione radiofonica. E mi sorprende che una donna così gentile e dolce come te non abbia ricambiato la gentilezza o quantomeno semplicemente ringraziato. Questo ha una sola spiegazione», disse Neylan guardando l’amica negli occhi.
Poi proseguì: «Il tuo animo proverbialmente gentile ti avrebbe costretta a ringraziarlo, Bianca. Il guaio è che ti senti attratta da lui. Ti senti attratta ma hai paura. Hai paura di doverti mettere a nudo di nuovo, hai paura di scivolare daccapo in una situazione che possa farti soffrire, hai paura di ricominciare, hai paura di doverti mostrare. Ma non devi aver paura. Non farlo Bianca. Tu sei bella Bianca, non ti arrendere. Sei bella e sei forte».
«Sì, mi sento attratta e non capisco da cosa», rispose Bianca.
«Cioè è indubbiamente un bell’uomo, intendiamoci, un bellissimo uomo con una luce particolare negli occhi e una voce calma e calda, che farebbe impazzire chiunque, ma c’è qualcosa in lui che è come se mi riportasse a galla qualcosa di sopito, qualcosa che appartiene a un passato lontano, qualcosa di inafferrabile, che non riesco a decodificare. E questo mi attrae ma al tempo stesso mi spaventa un poco», continuò Bianca.
Le due amiche si abbracciarono e poi se ne andarono a letto.
La suoneria del telefono distolse Bianca dai suoi pensieri, era un messaggio di Neylan: “Ti voglio bene amica mia, non ti arrendere!”
Sorrise al pensiero di quanto fossero legate lei e Neylan, poi prese giacca e borsa e uscì per fare colazione in uno dei tanti caffè che popolano Kadiköy, il quartiere dei genitori di Neylan situato sul lato asiatico di Istanbul, la “Città dei due Continenti”. Uscita dal caffè fermò un taxi e una volta salita chiese di essere portata a Caddebostan Sahili. Dopo pochi minuti, però, fece fermare il taxi, aveva cambiato idea. Si fece portare nei pressi del grande mercato di Kadiköy. Aveva voglia di perdersi fra i colori, i profumi e i rumori della gente, avrebbe gironzolato senza meta fra i vicoli, per perdersi nella bellezza dei graffiti che adornano le facciate di case e palazzi. Aveva bisogno di bellezza. Aveva bisogno di respirare arte e bellezza. In quel quartiere, dal 2012 il “Mural-Ist Wall Painting Festival” aveva ricoperto di colore le facciate grigie delle abitazioni, trasformando i muri in tele e l’intera zona in un museo di arte contemporanea a cielo aperto.

Bianca amava la street art, adorava la capacità dell’arte di trasformare il brutto in bellezza, l’ordinario in straordinario, l’anonimo in un segno tangibile dell’estro creativo che sarebbe rimasto per sempre, era attratta dalla capacità dell’arte di dare un’anima alle cose, in questo caso ai muri, molto spesso decadenti, delle case.
Prese nota di alcune opere che trovò particolarmente belle, avrebbe pensato a un modo per coinvolgere nella sua esposizione anche gli artisti che le avevano realizzate. La colonna sonora che fece da sfondo a questo momento creativo ed eccitante era Una mattina di Ludovico Einaudi: il suono del pianoforte era perfetto per accompagnare l’aria sognante di Bianca, che sembrava Alice che si aggirava nel Paese delle Meraviglie.
Al cambio di canzone, con le note di İçinde Aşk Var dei Soufle e la voce di Göksu Taşçeviren, anche Bianca cambiò direzione: si diresse verso l’Alan Kadıköy un centro culturale di cui aveva sentito parlare, inaugurato da poco. Bianca ne rimase folgorata, non ebbe alcuna esitazione, decise all’istante: la sua esposizione si sarebbe tenuta lì. Chiamò subito il direttore Kaya per metterlo al corrente di questa sua idea, lui avrebbe saputo come e cosa fare.
Intanto tornò in stazione, era ora di fare ritorno a casa.
Con le note di Aşk Mühürü di Toygar Işıklı nelle orecchie, sul treno diretto a Eskişehir pensò di nuovo a Furkan Aslan, alla sua voce calda e ai suoi occhi di velluto.
LUI ♂
Usciti dal ristorante, Engin e Banu fecero una passeggiata insieme, poi si sarebbero fermati a bere raki insieme: glielo aveva promesso. Il loro programma, ogni volta che avevano voglia di parlare di qualcosa di importante, era proprio questo: qualche bicchierino di raki e chiacchiere a volontà, senza barriere. Quella sera, naturalmente, avrebbero parlato dell’Innominato, İsmail, il padre di Ahmet, che era ricomparso dal nulla, ignaro fino all’istante in cui si erano incontrati nel pub la sera prima di essere diventato padre. Stavano per sedersi, quando il cellulare di lei squillò: un numero sconosciuto. Banu guardò Engin negli occhi Sarà lui? Engin le fece cenno con i suoi occhioni grandi di stare calma e di rispondere.
Era lui. Le chiese di poterla incontrare quella sera stessa. Lei gli diede l’indirizzo del bar dove si trovava con Engin, a cui chiese disperatamente di farle compagnia fino al suo arrivo. Ci impiegò un quarto d’ora İsmail a raggiungerla e in quel lasso di tempo Engin consolò l’amica: «Banu, hai desiderato tanto questo momento, finalmente lo incontrerai, stai calma, digli tutto quello che pensi, in modo da non avere rimpianti. Ma fallo con calma, lucidità e ragionevolezza».
Engin salutò l’amica con un bacio sulla guancia, diede una stretta di mano di cortesia a İsmail e poi se ne andò. Ne approfittò per fare una passeggiata a piedi, aveva bisogno di stare da solo in effetti, aveva bisogno di pensare. Troppe cose erano successe: alcune molto belle, altre un po’ meno.
Sarebbe partito per fare un sopralluogo sul set della nuova serie e sarebbe mancato per un po’, per cui prese il cellulare e chiamò l’amico Kemal: «Amico mio, purtroppo dobbiamo interrompere la trasmissione, per non so quanto tempo, parto fra due giorni per un sopralluogo che non era in programma. Mi dispiace non aver potuto avvisare per tempo il nostro pubblico».
«Non preoccuparti, fratello, ci penso io. Tu concentrati sul lavoro e regalaci un altro capolavoro! Però avverto qualcosa di strano nella tua voce, non sei contento?»
«Certo che sono contento, Kemal, anzi sono elettrizzato!!! Non vedo l’ora di cominciare a girare. Non è questo il punto, è che a volte succedono delle cose strane che faccio fatica a comprendere. O forse sono io che do troppo significato a quello che accade, non saprei… Non so amico mio, ho sfiorato per un attimo un fiore bellissimo, che però è stato reciso da qualcun altro».
«Ehi amico, non riesco a seguirti! Non potresti essere più diretto? Perché non mi racconti meglio?»
Engin sembrava non stesse aspettando altro, così fece tutto il tragitto fino a casa parlando al telefono con l’amico, al quale raccontò della donna col lungo ciuffo sul volto, della complicità che si era creata per pochissimi minuti, del magnetismo che emanava, della sua bellezza, di quel suo gesticolare…
«Ehi ehi ehi, non dirmi che sei stato beccato da un colpo di fulmine?», commentò ridendo l’amico.
«Ma no!», sminuì subito Engin, che poi aggiunse: «Ho solo avuto una sensazione bellissima quando l’ho vista per la prima volta, non è stata solo la sua bellezza ad avermi colpito, il suo essere così misteriosa, intrigante, simpatica, solare, dolce….ma uno strano senso di pace e un non so che di familiare. Comunque, è inutile parlarne, stasera l’ho rincontrata, per caso, nello stesso ristorante, non è incredibile? E però era in coppia; quindi, argomento chiuso. Passerà». Disse Engin mentre infilava la chiave nella toppa, era arrivato a casa.
Si salutarono, con la promessa che si sarebbero sentiti presto.
to be continued…..
© Rosaria Bianco
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A volte bisognerebbe avere un po’ più di coraggio e vivere i momenti più belli e appassionati che la vita ci mette davanti. Ma la paura di trovarci di fronte a strane situazioni forse immaginarie, lo smarrimento e l’insicurezza che si prova in quei momenti ci fa votare le spalle alla felicità. To be continued ❤️
Il tuo racconto nato prima di questo terribile terremoto voleva anche farci scoprire i luoghi, i profumi , i colori le atmosfere della Turchia oggi per me le tue descrizioni diventano ancora più preziose un omaggio a questa terra che personalmente ho scoperto con le serie di Engin Akyürek e un augurio a questo popolo che possa presto rialzarsi ❤️
Vero Antonietta, che sia di auspicio per gli uomni e le donne che stanno soffrendo così tanto
Grazie Ros🙏❤️per un momento ho dimenticato tutto pensando solo a Bianca.Mi sono ritrovata parlare da sola incitando Bianca a non lasciar andar via Engin ,di alzarsi da quella sedia per andare a ringraziarlo.Ora più che mai sono ansiosa di sapere nel prossimo incontro cosa succederà E inutile dirti che sei brava brava brava 👏👏👏❤️
Ogni tanto serve dimenticare anche solo per un po’ e caricarsi di emozioni positive
Quanto tempo sprechiamo a fare congetture, a fermarci alle apparenze, a immaginare cose e ..a starci male. Alzati Bianca! E vai da lui..Brava Ros, è giusto ripeterlo alla fine di ogni tuo racconto, ma questo vale per ogni tua scrittura.
Forza Bianca!!! 🙂