Engin Akyürek racconto

Ottava parte del racconto ispirato a Engin Akyürek

LEI ♀
Bianca era appena uscita da casa e fece cenno a un taxi di fermarsi. Salì mentre col cappuccio provava a coprirsi dalla pioggia che aveva ricominciato a bagnare la città. Era diretta all’Hector’s Coffee nei pressi dell’Alan Kadıköy, lì avrebbe incontrato Hasan, che con insistenza le aveva chiesto di fare colazione insieme.

«Solo un caffè, Hasan, dopo ho diverse cose da sbrigare, ho solo pochi giorni prima di tornare a casa», gli aveva risposto Bianca che aveva scelto un bar vicino al palazzo della sua mostra, sperando di avere una buona scusa per tagliare corto o che qualche faccia amica di passaggio la salvasse.

Gli avrebbe parlato con chiarezza, quella mattina. Dopo il susseguirsi di emozioni del giorno prima, Bianca aveva bisogno di “fare pulizia”, aveva bisogno di cancellare ogni possibile ambiguità.
Hasan era già al bar ad aspettarla. Si sedettero e dopo aver ordinato due caffè, cominciarono a commentare la sera prima. Hasan era vistosamente e sinceramente felice per come erano andate le cose, per il successo del vernissage.
E questo, pensò Bianca, rendeva tutto più complicato.

Fu lo stesso Hasan a darle il gancio giusto, quando a un certo punto andrò dritto al punto: «Ti va di partire per un paio di giorni, io e te, lontano da tutto e da tutti? Il tempo di ricaricare le batterie, soprattutto tu che nelle ultime settimane sei stata così tanto sotto stress. Ci concediamo un po’ di tempo solo per noi?»

In quel momento Bianca ebbe la sensazione che la pioggia che fuori stava cadendo con forza sulla città, avesse deciso di scoperchiare il caffè e di riversare tutta la sua forza su di lei, su Hasan e su tutte le persone che erano sedute nel bar. Ma tutti i presenti, in realtà, continuavano a bere e chiacchierare normalmente, neanche una goccia era caduta sulle loro teste. Solo lei, evidentemente, si sentiva travolta da una slavina. Rimase immobile. Le sembrò di stare zitta e ferma per un lungo, lunghissimo, tempo.

Ma poi, rispose. Anche la risposta fu lunga. Bianca scelse bene le parole. E prima di cominciare a parlare respirò profondamente.

«Potrei inventari delle scuse, Hasan. Ma non lo farò. Non lo meriti, perché sei una brava persona. E sono felice di avere avuto l’opportunità di conoscerti, sono felice che tu sia entrato nella mia vita. Considero ogni nuova, bella, persona che entra nella mia vita una ricchezza. Sei stato importante, lo sei tuttora. Ma non nel senso in cui lo desideri tu. Non è la stessa cosa che voglio anche io. Se ti ho dato modo di intendere che anche da parte mia ci fosse lo stesso tuo interesse, se è così, perdonami, ma è stato involontario. Per me sei un grande amico».
Mentre parlava, scegliendo accuratamente le parole da usare, Bianca tremava, ricordando che vent’anni prima aveva detto qualcosa del genere a Buran Bulut. Gli aveva detto che non era interessata a lui, gli aveva chiesto di lasciarla stare, di dimenticarla, di porgere le sue attenzioni altrove. Lo aveva fatto con la pacatezza che le apparteneva. Ma la reazione di Buran fu tutt’altro che pacata, fu proprio violenta: si mise a urlare, dicendole che sarebbe stata sua, solo sua, e che doveva togliersi dalla testa Engin e chiunque altro.
Bianca avrebbe dovuto mettersi l’animo in pace, sarebbe stata sua.
Per questo Bianca aveva sempre sospettato che la mano che le aveva gettato l’acido addosso, bruciandole insieme alla pelle tutti sogni di una vita, appartenesse a lui.
Ne era sempre stata certa.  


Anche adesso, seduta a quel tavolino di un caffè, con addosso vent’anni in più e tutta l’esperienza che quella notte le aveva portato in dote, parlava con la stessa pacatezza. E temeva che anche Hasan non reagisse affatto pacatamente, temeva che potesse avere una reazione simile a quella di Buran.
Ci fu un altro lungo silenzio. Ora era Hasan a rimanere muto. E Bianca sperò in uno squillo del telefono (Dove sei Neylan?) o in qualcuno di passaggio che la salvasse da quella situazione.

Bianca però dall’esterno non tradiva alcuna insicurezza, nessuna emozione, nessuna paura, il tremore che lei sentiva era nascosto nell’angolo più remoto del suo cuore. Era solo suo. Per fortuna. Aveva imparato, negli anni, a camuffare le emozioni.
Hasan aveva davanti a sé una donna sicura, sebbene pacata, una donna senza dubbio forte, che con la sua gentilezza e bellezza, anche nello scegliere le parole, gli aveva dato il ben servito.

«Ho frainteso», disse dopo qualche istante Hasan.
«Mi sono illuso che ti facesse piacere stare con me e che forse poteva nascere qualcosa di speciale», aggiunse in evidente difficoltà.

La telefonata salvifica finalmente arrivò.
Bianca, ovviamente, rispose subito. Era la sua assistente, la “riunione del giorno dopo”, come la chiamava Bianca, stava per cominciare.
Si alzò dal tavolo. Si alzò anche lui, che le si avvicinò per salutarla, azzardando un bacio sulla guancia. Bianca, scocciata, disse semplicemente: «A presto, Hasan».

Uscì dal caffè e inspirò tutta l’aria che i suoi polmoni potevano contenere e anche di più. E fu felice di sentire le goccioline d’acqua bagnarle la testa. L’acquazzone era passato e adesso solo una leggerissima pioggerella accompagnava il via vai frenetico delle macchine su Şeyh Galip Sokak.
In quel momento si accorse che dall’altra parte della strada c’era Engin.
Immobile.
La stava guardando.
Era fermo con lo sguardo fisso su di lei.
E nonostante i metri di distanza che li separavano, Bianca sentì quello sguardo posarsi su ogni centimetro del suo corpo.

LORO♀♂
Engin si era fatto portare dal taxi nei pressi dell’Alan Kadıköy sperando di poterla incrociare. Voleva poterla guardare in silenzio, almeno da lontano. Poterla rivedere, ancora una volta. L’aveva scorta subito, seduta al bar di fronte alla via dove si era fatto lasciare dal tassista.

Era con lui, con il suo uomo.
Si disse che forse non era stata un’ottima idea.
Si chiese che ci facesse lì.
Si disse che non era quello il modo per riacciuffare i sogni del ragazzo che non c’era più.
Si disse, anche, che quel sogno non gli apparteneva più.
Ora apparteneva a qualcun altro.
Si disse che era meglio andar via.

Poi, quella scena: lei che si alza dal tavolo e lui che la saluta baciandole la guancia.  Engin rimase immobile con i piedi che sprofondarono nella melma di una gelosia che toglie il fiato e atrofizza gli arti.
Sì, era meglio andar via.

Poi, però, i loro sguardi si incrociarono.

Bianca gli sorrise.
E gli andò incontro.
Incuranti delle auto che sfrecciavano a gran velocità, entrambi si mossero uno nella direzione dell’altro.

«Ciao».
«Ciao».
Poi, un lungo silenzio fece da sottofondo ai loro sguardi che avrebbero potuto incendiare una foresta di querce millenarie. Per ora si limitarono a incendiare il cuore di entrambi.
Quanto può durare un istante così? Può davvero durare un secondo l’eternità?

È così che può accadere. È così che può succedere di ritrovarsi, in un attimo, un lungo attimo di silenzio che ha il colore della nostalgia, che ha il sapore del tempo passato, l’odore di letti sgualciti nei quali l’amore che hai fatto con altri corpi era solo un aspettarsi. Per poi ritrovarsi.

«Sono tornato a guardare la tua mostra, mi è dispiaciuto andar via ieri», disse lui per giustificare la sua presenza lì.
«Vieni con me», gli rispose Bianca, prendendogli la mano.
Camminarono per alcuni minuti mano nella mano, facendosi strada nel traffico umano che affollava il marciapiede. Poi si misero a correre sotto la pioggia intensa che era tornata dispettosa a bagnare il mondo.
Entrando nel palazzo lei lasciò andare la mano di lui.

«Mi dai l’onore di farti da cicerone?» gli chiese Bianca.
«Non potrei chiedere di meglio!» rispose Engin. Si guardarono e poi si lasciarono andare tutti e due in una bellissima risata, che sembrò sciogliere come per incanto le nuvole grigie che si erano adagiate nei loro pensieri.

«Dammi solo un minuto», disse Engin prima di telefonare a Banu per avvisare che avrebbe tardato e chiedere di spostare la riunione al pomeriggio.
Lo stesso fece Bianca, che chiamò la sua assistente.

Ora erano soli, nel grande atrio del palazzo. L’orario di apertura al pubblico era ancora lontano, avevano il tempo di gustarsi le opere da soli. Insieme.

Cominciarono così a muoversi tra le pareti dell’esposizione, fra le foto e i dipinti che lei aveva scelto. Il silenzio che avvolgeva la sala era la colonna sonora perfetta per quel momento inaspettato carico di emozioni. Avvicinandosi ad ogni opera Bianca spiegava, raccontava dell’autore e del soggetto rappresentato.
Quelle opere, però, parlavano di lei. E Bianca parlando di quelle opere, raccontava a Engin cosa era stata la sua vita in quei vent’anni vissuti lontano. Lontano da lui, da quel Paese che lei adorava, lontano da quel che erano stati e che non sarebbero stati mai più. 

Si fermarono davanti alla fotografia in bianco e nero, che Engin aveva acquistato in segreto, la sera prima. Fu proprio lì, davanti a quell’uomo che li guardava con un che di famelico negli occhi, che Bianca raccontò della violenza subìta. Di quanto fu agghiacciante, umiliante, doloroso, sentirsi abusata in quel modo vile e ignobile.

«Hai mai cercato la verità?»
«Non ho potuto».
«Perché?»
«Mio padre ha voluto proteggermi ad ogni costo. Ha speso tutta la sua vita ed ogni centesimo dei suoi averi per ridarmi una vita. Mi ha portato via da qui, subito. Ha reciso ogni legame che avevo costruito qui. Non ho potuto portare con me nulla di quello che poteva riagganciarmi con la mia vita qui. Nulla delle mie cose, del mio mondo. È stato il suo modo per proteggere me, proteggere sé stesso e mia madre dal dolore che quella notte ci ha travolti. Non gli importava di avere giustizia, l’unico suo tormento era potermi restituire una vita. Mi ha fatto sottoporre a non so quanti interventi, ormai ho perso anche il conto.  E non gli sarò mai sufficientemente grata. Perché riavere un volto, un corpo, per quanto diversi da ciò che si era prima, è importante. È vitale. Perché da lì puoi ripartire. Hai qualcosa da cui provare a ricominciare. Hai qualcosa con cui provare a ricostruire la tua identità.  Io sono stata fortunata, in fondo. La pioggia e mio padre mi hanno salvata».

«E tu, cosa avresti fatto, se avessi potuto scegliere?» le chiese Engin.
«È una domanda che mi sono posta tante volte. Ma non ho mai trovato risposta. Mi sei mancato terribilmente Engin, se è questo che vuoi sapere. Sì, avrei voluto averti accanto. Sentirti vicino. Dio solo sa quanto ho sofferto per essere stata doppiamente punita, privata del mio io e privata di te, scippata del nostro amore. Dio solo sa quante volte ho sognato di noi due. Quante volte ho immaginato che aprendo la porta di casa ti avrei trovato. Ma questi erano sogni. E a un certo punto ho smesso anche di sognare. Avevamo vent’anni. Solo vent’anni. Onestamente, Engin, eravamo due ragazzi pronti ad andare incontro ai nostri rispettivi futuri, al mondo, alla vita. Non so quanto tu saresti stato disposto a scarificare il tuo futuro, la tua vita, il tuo mondo, per me. Ma questo appartiene al passato, ai se, ai forse, ai chissà. Appartiene a un passato che non ci siamo scelto. Un passato nel quale qualcuno ci ha scaraventato dentro, insieme a quella dannata bottiglia di acido».

«Non hai cercato, nemmeno tu, giustizia?» le chiese Engin.
«La giustizia si fa con le prove. Andando via abbiamo rinunciato, di fatto, a mettere in piedi un percorso giudiziario, che sarebbe stato certamente lungo, lunghissimo, e che avrebbe richiesto prove materiali. I sospetti, per quanto fondati, non sarebbero stati sufficienti. E poi sarebbe stato necessario, comunque, tornare qui. Affrontare il dolore, di nuovo. Riviverlo, ancora. Mio padre ci ha rinunciato per proteggermi. E io l’ho assecondato, non potevo fare diversamente, così giovane e così lontana da qui», disse Bianca prima di proseguire: «Anche l’Arte mi ha salvata, Engin. Mi ha restituito la dimensione della Bellezza, della fiducia nel mondo e nelle persone. Mi ha permesso di costruire il mio io. Un nuovo io. Parallelamente ai bisturi mi ha concesso di tornare a vivere. E attraverso l’Arte, il mio lavoro, il mio nuovo io, vorrei restituire speranza alle tante Adele che non hanno avuto e non avranno la mia stessa fortuna. E in un certo senso restituire un senso di giustizia alla mia vita, anche se in modo diverso. Voglio pensare quantomeno che possa essere così. Il mio obiettivo è istituire un Fondo per le spese chirurgiche di chi è stata deturpata dalla violenza e ha la necessità di sottoporsi a degli interventi ma non ne ha le possibilità. Per me è stato vitale. Lo è per tutte le donne aggredite dall’acido. Questa mostra è nata anche per questo. E anche le prossime saranno destinate a questo mio obiettivo, che è ora la mia vita».

Avrebbe voluto abbracciarla. Avrebbe voluto stringerla forte, fortissimo. Era la sua Adele. La gentilezza d’animo, la sua dolcezza, nonostante tutto, non l’avevano abbandonata. Era incredibile come la forza di questa donna attaccata alla vita potesse comunque esprimersi senza urlare. Di questo si era innamorato, vent’anni prima. Della capacità che aveva sempre avuto di scorgere la bellezza nel mondo e di regalarla. Insieme a quegli occhi di bambina, che aveva ancora oggi. Nonostante tutto.

Ripresero a camminare per la sala per terminare il giro delle opere, quando Engin scorse un piccolo quadro, un po’ in disparte, decisamente diverso da tutto il contesto. Era un’esplosione di colori vivaci: c’era il blu del mare e l’azzurro del cielo, il verde brillante di un prato, sembravano i colori scelti dal bambino che sulla tela aveva un piccolo aquilone per le mani. Engin si fermò a guardarlo con attenzione. Bianca rispose al suo sguardo interrogativo, in effetti era qualcosa di diverso da tutto quello che era stato scelto ed esposto per la sua mostra: «È un omaggio a mia madre».

Engin si avvicinò per leggere ad alta voce la didascalia che lo accompagnava: “…io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole”. L’aquilone, Giovanni Pascoli.

Bianca si commosse, una lacrima le rigò il volto. Non riuscì a parlare.  
Engin non le chiese nulla. Bianca non poté dirgli, non volle farlo, che quel quadro era sì sua madre, lì con lei, nonostante tutto, ma era anche lui. Nonostante tutto.
Era l’aquilone che sua madre le avrebbe consigliato di essere, anche adesso, se ci fosse stata ancora. Era sua madre che il giorno prima di morire, come in un presentimento di ciò che nuovamente un destino beffardo e crudele aveva riservato loro, le aveva detto: «Ricordati sempre dell’aquilone. Ricordati di aspettare il vento, ché prima o poi si alza. E ricordati di amarti sempre, non smettere mai di farlo, per essere forte e accogliere quel vento e amare chi lo meriterà, o per allontanare via con forza chi non ne sarà degno». 

Le viole, invece, erano lui. Il suo odore, il profumo della sua pelle, dei suoi capelli, del suo corpo. Un odore particolarissimo, unico, che ogni tanto nel corso di quei lunghi vent’anni le era sembrato di sentire, per brevissimi istanti, facendo affiorare ricordi e nostalgia.
No, non glielo avrebbe detto. Non poteva. Non ne aveva il diritto.

Engin non le chiese altro. Volle rispettare l’intimità di quel momento, che apparteneva solo a lei. L’avrebbe abbracciata e tenuta stretta, sì.
Ma non poteva farlo. Non ne aveva il diritto.

«Credo di averti cercata in ogni donna che ho incontrato», disse Engin rompendo il silenzio, ma non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi.
Poi proseguì: «Credo di averti sempre cercata, nell’ombra degli abbracci che ho dato e ricevuto, di averti sempre cercata come un cane randagio che vaga solitario alla ricerca di qualcosa da mangiare per sopravvivere. Ti ho cercata, senza saperlo.  E senza saperlo ti ho ritrovata».

Con audacia inaspettata, senza volerlo, senza pensarci, entrambi erano andati lontano, forse per capire quanto fossero ancora vicini.

Si salutarono. Si erano detti molto più di quello che poteva sembrare. Avevano aperto entrambi la porta della propria anima.

Non riuscirono a incontrarsi più, prima che entrambi partissero.
Non si sentirono, né si scrissero più.

LEI ♀
Bianca tornò a Eskişehir dopo aver lasciato diposizioni al suo staff, le opere erano state vendute tutte, il grosso era stato acquistato da Buran Bulut, altri privati avevano contribuito e restava ancor il mistero di chi avesse acquistato la gigantografia dell’uomo in bianco e nero. Non c’era ragione di restare. Sarebbe tornata a casa, per riposare un po’ prima di rimettersi al lavoro insieme al direttore Kaya. 
Sul treno diretto a Eskişehir Bianca ebbe modo di abbandonarsi ai suoi pensieri, nei quali Engin ricorreva molto più di quello che si sarebbe aspettata lei stessa. Ma pensò anche a Buran, provando un misto di rabbia e di nausea al solo pensiero di averlo incontrato, di avergli stretto la mano. Lei era più che certa che era stato Buran ad averle sfregiato il viso quella notte finita col terrore negli occhi, la puzza di acido e il dolore sulla pelle e nell’animo.
Ricordava, e se ne stupiva ancora, ogni singolo istante di quella notte meravigliosa trascorsa sulla spiaggia con Engin. I baci, le carezze, la passione impetuosa e dolce al tempo stesso con cui fecero l’amore.  Ma ricordava anche ogni singolo fotogramma di quella scena violenta che ancora oggi le sembrava surreale. Ma che invece era stata terribilmente vera.
Quelle immagini non l’avevano mai abbandonata.
Non l’avrebbero mai abbandonata. Mai più.

Ora Buran forse per mettersi a posto la coscienza aveva deciso di contribuire alla causa di Bianca. Era pentito o forse voleva prendersi gioco di lei?  Ma qualunque fosse la ragione vera a Bianca non importava. No, non avrebbe permesso di nuovo a quell’uomo di rovinarle i suoi sogni. Non gli avrebbe permesso di rimettere in discussione, nuovamente, la sua vita, i suoi progetti, ciò in cui credeva. Bianca ora sognava di essere d’aiuto per quante avevano vissuto o avrebbero vissuto la sua stessa odissea. Il suo obiettivo, la sua ragione di vita adesso era restituire attraverso l’Arte una speranza alle vittime di violenza. La speranza di un nuovo inizio. 
E niente e nessuno, tantomeno un essere meschino come Buran, glielo avrebbe impedito.

Aveva incaricato Hasan di curare direttamente le relazioni con Buran. Gli aveva spiegato, senza entrare nei dettagli, di non volerci avere nulla a che fare. Hasan aveva accettato di darle una mano, senza fare troppe domande. A prescindere da come si erano messe le cose fra loro due, Hasan l’avrebbe aiutata. E Bianca lo apprezzò. Finalmente un uomo che non vive il rifiuto come un annichilimento della propria identità, come l’umiliazione del proprio ego, che non vive il no colpevolizzando la donna nel suo essere indipendente, nel suo essere un individuo pensante, titolare di un diritto sacrosanto qual è quello di non essere d’accordo e di esprimere il proprio disaccordo. Senza il terrore della violenza.

No, non avrebbe permesso di nuovo a Buran Bulut di stravolgerle i piani: c’era di mezzo il Fondo per le ragazze e le opere dei suoi artisti. Sarebbe stata al gioco. Lei in fondo era riuscita a superare, era riuscita a trovare un nuovo equilibrio che le aveva permesso di interagire col mondo, di vivere la sua vita. Era riuscita a trarre un’incredibile forza da quello che era successo. Era stato un percorso lungo e doloroso, nel corso del quale tante, tantissime, erano state le cadute, ma altrettante volte lei era riuscita a rialzarsi, riuscendo a trovare dentro di sé l’energia mentale, emotiva e fisica per combattere.
No, non avrebbe permesso di nuovo a Mister Buran di mandare tutto al diavolo.
Bene così – si disse Bianca – la vendetta e la giustizia, a volte, possono avere forme diverse.


La conferma che stesse facendo la cosa giusta le arrivò con un messaggio di Neylan, che le mandò il link a un articolo di giornale.
Bianca cliccò incuriosita, dopo qualche istante di incredulità una smorfia di stupore le illuminò il viso. L’articolo parlava della decisione congiunta presa da un’importante agenzia di attori turchi e da una delle più famose società di produzione di voler sensibilizzare con maggiore incisività l’opinione pubblica sulla piaga della violenza sulle donne: Troppe donne ancora oggi sono vittime della follia degli uomini, una situazione che non è più accettabile. Avrebbero realizzato, dunque, alcune serie dedicate e in ogni lavoro avrebbero aggiunto delle scene sull’argomento, per contribuire a una rivoluzione culturale che ritenevano non più rinviabile. Alle spalle dei rappresentanti delle due società era appesa la gigantografia della sua mostra. Bianca si commosse all’idea che il suo lavoro era riuscito a mettere in moto un movimento di pensiero e di azione che, ne era certa, l’avrebbe supportata. Incredibile come le buone azioni, talvolta, riescano a innescare delle reazioni a catena.
Chiunque tu sia, sei un angelo, disse Bianca sottovoce pensando all’acquirente segreto.
Bianca ora si sentiva ancora più carica. Felice che una volta tanto il destino avesse deciso di giocare dalla sua stessa parte.

LUI ♂
Engin era partito per Gaziantep. Sarebbe mancato a lungo e sarebbe stato molto impegnato.  Stakanovista com’era, quando girava era esclusivamente concentrato sul lavoro. A questa nuova serie, poi, ci teneva particolarmente.  Le giornate erano particolarmente impegnative, eppure fu proprio Engin a rompere il silenzio con Bianca. Nonostante fosse presissimo dal lavoro, lei era una presenza costante nei suoi pensieri. Più volte, la sera a fine riprese, si era ritrovato con lo smartphone in mano, pensando e ripensando a cosa scriverle, poi puntualmente desisteva, dicendosi che non era giusto farlo.

Un giorno, una nevicata particolarmente abbondante costrinse tutto il cast a uno stop forzato. Lavorarono negli interni, per quel che riuscirono, poi dovettero arrendersi ai voleri della natura.  Engin era rimasto rintanato da solo nel suo camper.  Ne approfittò per riposare un po’ e fare qualche telefonata. A un certo punto Banu bussò alla sua porta, presentandosi con due tazze fumanti di çay.
«Eeeeeeee…allora come stai?», chiese Banu scoppiettante.
«Direi bene…e tu, piuttosto, come va con İsmail? »
«Dipende dai punti di vista!», rispose l’amica scoppiando a ridere, notando che Engin giocherellava con il cellulare fra le mani.

Bevvero insieme il loro tè bollente mentre Banu lo aggiornò sul suo ex. Si erano rivisti più volte e di comune accordo lei aveva parlato di lui al figlioletto, per prepararlo. Presto si sarebbero conosciuti. Aveva edulcorato un po’ la storia e il piccolo Ahmet ora era ansioso di conoscere il suo papà.

«Appena rientrerò a Istanbul, organizzeremo il grande incontro. Ma non credo che ci sarà un seguito alla nostra love story», Banu si fece seria.

«Forse potrebbe esserci o forse no, non è questo il punto Engin. Vedremo, sono cambiata molto in questi anni e lui in realtà non l’ho mai conosciuto veramente. Però la vita mi ha presentato un’opportunità inaspettata, non aveva senso vivere col rimpianto di non esserci data una chance. Lo meritavamo entrambi e lo meritava più di tutti mio figlio. Se anche non funzionerà, cosa molto probabile, sarò felice di essermi data l’occasione di conoscerlo meglio e, in fondo, di conoscere meglio anche me. E tu, invece? Che mi racconti?».

Engin rispose mostrandole lo smartphone che aveva in mano: «Sono combattuto Banu. Sono qui, inchiodato sulla schermata di un messaggio: c’è il mittente, c’è il destinatario…ma che diritto ho di scriverle? Ormai ha la sua vita… Mi vergogno con me stesso, per la rabbia che ho provato e la gelosia che mi tormenta, perché non ne ho alcun diritto. Non ho il diritto di parlargliene, non ho il diritto di scriverle, non ho il diritto di sentirla, lei ha sofferto e ora è felice. Senza di me», disse Engin mostrandole il cellulare che aveva in mano.


Banu non gli diede il tempo di finire la frase che con uno scatto velocissimo gli tolse il telefono dalle mani dicendogli: «Engin, credo che le favole non esistano nei bei finali, nei “vissero felici e contenti”, ma prendono forma ogni volta che ci regaliamo un nuovo inizio» e mentre pronunciava queste parole scrisse dallo smartphone di Engin Ciao, come stai? e inviò il messaggio. A Bianca.
Poi con un sorriso e molto candidamente si congedò con un «Byyeeee» e uscì dal camper, di fatto scappando via sotto lo sguardo attonito dell’amico.

to be continued…..

© Rosaria Bianco

Episodio successivo👇

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14 Comments

  1. Sempre più intrigante.
    Come scrivi bene Rosaria , i tuoi racconti si divorano in un’attimo. Grazie e complimenti 👋😍

    1. 🙏❤️️

  2. Mi ripeto sempre ma il tuo racconto è bellissimo. Sarà perchè scrivi divinamente, sarà perchè il nostro Engin è il personaggio principale, sarà perchè Bianca è un’anima bellissima come lo è lui. Insomma è un mix che ci sconvolge. Grazie per tenerci compagnia con le tue narrazioni che ci fanno scatenare la fantasia. Ecco siamo tutte lì ad osservare i luoghi, le persone e il nostro caro Engin. Grazie Ros

    1. Grazie Simona 😍

  3. Ros, quante emozioni in questo capitolo! Come fosse possibile mi hai fatto amare ancor di più Engin perché la sua anima bella esce tutta dalla tua narrazione. Adele/Bianca poi è la donna speciale che manda un messaggio a tutti noi. Ma tu ci vuoi male: ” È così che può succedere di ritrovarsi, in lungo di attimo di silenzio che ha il colore della nostalgia…. l’odore di letti sgualciti nei quali l’amore che hai fatto con altri corpi era solo un aspettarsi. Per poi ritrovarsi.” İl tuo e’ un racconto pazzesco. Grazie di nuovo

    1. Quel passaggio lo amo molto, ne stavo parlando giusto ora con Fancesca 🙂 Grazie Bruna 🙏❤️️

  4. Sempre più bello questo racconto mi sembra di vedere le scene man mano che leggo ,i luoghi i colori le ombre e le luci ma soprattutto Lui e gli sguardi che rivolge a Bianca, chissà se questo amore giovanile avrà un’ altra chance aspetto di saperlo intanto apprezzo Bianca per come ha reagito alla violenza e il messaggio che manda alle donne ❤ tutto questo grazie a te Ros 😘

    1. 🙏❤️️

  5. Sempre più intrigante interessante e bello ! Per fortuna che c’ è Banu, in quel momento l’ ho adorata 😂Aspetto anzi aspettiamo con impazienza di sapere il seguito …… Super brava 👏👏

    1. W Banu ☺️❤️️

  6. ..e poi c’è sempre qualche amica/o che trova la soluzione per te e ti salva.. Aspetto il seguito con impazienza.. Brava! anzi “bvavissima”

    1. gvazie 🤣

  7. […] Prima o poi il vento si alza/8 […]

Ros

Giornalista freelance, ghostwriter, content editor, sommelier, mi occupo di uffici stampa e comunicazione. Scrivo, leggo, ascolto musica, divoro film e serie tv. Soprattutto turche. Soprattutto con Engin Akyürek. Il mio sogno? Intervistarlo

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