Il vento pima o poi si alza/Finale

Ultima parte del racconto ispirato a Engin Akyürek

LEI ♀
Quella mattina Bianca si era svegliata particolarmente malinconica. Non riusciva a inquadrare bene quale fosse il motivo del suo stato d’animo. Guardò dalla finestra, il cielo era grigio e gonfio di nuvoloni, a breve avrebbe piovuto assai.  Ma lei amava la pioggia.

La suoneria l’avvisò che qualcuno le aveva scritto un messaggio.
Era Neylan, che era andata via per un breve viaggio con Ismet. Tutti i giorni però lei e Bianca riuscivano a sentirsi velocemente o quantomeno aggiornarsi sulle rispettive giornate attraverso i messaggi. Neylan era più di un’amica, la sentiva come una sorella e si sentiva fortunata ad averla nella sua vita. Anche Irene, la sua amica italiana, era una presenza preziosa nella sua vita. Si conoscevano da sempre e anche se si sentivano ormai molto poco, sapevano di esserci l’una per l’altra.

Si fece un bel caffè e si sedette sul divano per sorseggiarlo, avvolta dal suo soffice plaid a quadrettoni. Quel giorno non sarebbe uscita da casa. Aveva voglia di poltrire e di abbandonarsi a quella malinconia. Guardò l’orologio, sebbene in Italia fosse ancora presto, chiamò l’amica.

«Non ci posso credere! Giuro che ti avrei scritto a breve io! Come stai amica mia?», sentì dall’altro capo del telefono.
«Onestamente Irene? Non lo so…Cioè sto bene, va tutto bene, non potrebbe andare meglio, cioè no, potrebbe andare meglio…» e tutte e due scoppiarono a ridere!
«Ah ah ah! La mia amica contorta!», rispose teneramente Irene. La chiamava così da sempre, per le “circumnavigazioni” che Bianca a volte riusciva a fare con i suoi pensieri ad alta voce.

«Mi manchi Irene…perché non vieni a trovarmi per qualche giorno? La Turchia è meravigliosa ti piacerà sicuramente!»
«Quasi quasi ci faccio un pensierino, ne avrei proprio bisogno! Ma dimmi…potrebbe andare meglio, perché?»
Bianca la mise al corrente delle novità, le raccontò di Engin, ovviamente…
«Quell’Engin?» chiese Irene.
«Si».
«Il tuo Engin?»
«Si».

«Ma è fantastico Bianca! Com’è possibile che non lo hai riconosciuto?»
«È molto cambiato da allora, è diventato… come posso dirti…più uomo? Più maschio?» e di nuovo scoppiarono tutt’e due a ridere.

«Dai seriamente, è diverso, molto diverso da quando aveva vent’anni. È di una bellezza travolgente, oggi ha una barba che allora non aveva, anche i capelli sono diversi…Irene è sexy da morire! Ma lo sguardo, credimi, lo sguardo posso dire che è quello di sempre, ma è al tempo stesso diverso.  Non so come spiegarti. C’è il suo guizzo, la sua vivacità, la sua trasparenza, ma si è aggiunta una maturità, una profondità che tolgono il fiato. E quando mi guarda mi sconvolge così come mi sconvolgeva allora».

«È fantastico Bianca», ripeteva Irene come una cantilena in sottofondo.
«Si può rimanere la stessa persona pur cambiando così tanto? Si può essere la stessa persona quando vent’anni di esperienze, storie, dolori ti hanno così profondamente cambiato?»
«È fantastico Bianca», continuava a ripetere l’amica dall’altra parte del telefono.
«Insomma…cioè sì lo è, però…Irene, Engin è occupato adesso, ha una relazione, con una ragazza bellissima…quindi…»
«Questi sono dettagli, Bianca».
«Mica tanto».
«Allora, tu non c’eri e da tempo, direi. Quindi mi sembra del tutto naturale, normale e più che legittimo che lui abbia avuto delle storie o ne abbia una. Anche tu le hai avute…».
«Ma non è questo il punto Irene».
«Appunto, non è questo il punto Bianca».
«E qual è, dimmelo tu».

«Bianca, tu ed Engin avete vissuto qualcosa di straordinario. Direi proprio che non capita facilmente. E se capita, come è successo a voi, è a dir poco eccezionale! Vi siete così tanto amati in passato e adesso la vita vi rimette, di nuovo, sulla stessa strada, anzi sullo stesso treno!»
«Lo so Irene, ci ho pensato tante volte…»
«Ma questo è solo il punto da cui partire, il treno, il ristorante, la mostra, accidenti!!! Ma quando ricapita una cosa così meravigliosamente romantica?»
«Lo so Irene, lo so…però…»
«Però cosa?», rispose l’amica che la incalzò: «Ora parti da questo, dai vostri incontri e concentrati sulle emozioni: com’è stato per te e come pensi che sia stato per lui?»
«Magia, Irene…»
«E allora butta nel cesso tutti i però!»

Dall’altra parte del telefono ora c’era silenzio.

«Ascolta, Bianca, pensi che a tutti sia dato di vivere un grande amore come sembrava fosse il vostro? No! Te lo dico io. E pensi che a tutti capiti facilmente quello che è successo a voi negli ultimi mesi? No. Saresti presuntuosa e anche sciocca, fattelo dire, se buttassi alle ortiche l’opportunità di vivere quello che la vita ti sta proponendo. Ora. Non ieri.  Non vent’anni fa, ma oggi! Ed è quello che hai sognato, in fondo, per tutti questi anni, anche se non lo hai mai confessato apertamente. Vuoi aggiungere rimpianti a rimpianti?»

«Non so cosa fare».

«A volte crediamo di conoscere veramente qualcuno o addirittura noi stessi solo perché continuiamo a vivere la stessa vita, ma in realtà non ci si conosce a fondo. A volte invece può capitare di doversi allontanare da sé stessi e dall’altro per conoscersi davvero. Perché questo succede non so dirtelo Bianca, sono i percorsi misteriosi del destino e della vita. Ma non lo saprai mai sino a che non ti darai l’occasione di capire, di andare a fondo, di cogliere ciò che la vita ti presenta. A volte è un conto amarissimo, che può puzzare di acido, a volte invece può essere il biglietto dello stesso treno. Tu sai sempre cosa fare, Bianca. Ti dico solo: datti un’opportunità».

Chiusero la telefonata dopo poco, Irene doveva correre al lavoro.
Mentre era ancora sul divano, pensando alle parole della sua amica, le arrivò la notifica di un messaggio.
«Ciao, come stai?».
Era lui.
Era Engin.
Il suo Engin
Le aveva scritto!
Le aveva scritto?

Bianca si sentiva come un’adolescente, con il cuore che improvvisamente si era messo a battere fortissimo.
Inspirò lentamente ed espirò ancora più piano, per calmare il battito.
Poi rispose: «Bene e tu?»

LORO♀♂
Fu più semplice di quello che pensavano. Quel messaggio fu il via che stavano aspettando tutti e due, in fondo. Iniziarono a scambiarsi messaggi, a telefonarsi e a scriversi e-mail.

Dopo qualche giorno, ricominciarono le riprese. Ciò non impedì a Engin di sentire Bianca tutte le sere. O quasi, a volte, infatti, giravano anche di notte e in quei casi Engin ricorreva alle e-mail appena ne aveva la possibilità. Bianca rispondeva puntualmente. Avevano tutti e due un bisogno disperato di raccontarsi e di leggersi, di ascoltarsi, di sentire la voce dell’altro, di carpire ogni singola emozione di cui erano rimasti orfani per troppo tempo. Di respirarsi, dopo l’apnea forzata a cui erano stati costretti. Avevano bisogno di aprire ancora di più quel varco che, incredibilmente, il destino aveva posto loro davanti.

A ogni e-mail, a ogni telefonata, compievano un piccolo passo l’uno verso l’altro. Avrebbero voluto correre, ma Bianca in qualche modo riusciva a frenare Engin. E anche lui, talvolta, si autocensurava.

Sembravano due ragazzini. Forse lo erano ancora. La vita li aveva obbligati a crescere velocemente, costringendoli al dolore della separazione, della lontananza, dell’assenza. Li aveva costretti a fare a meno uno dell’altro. E ora la vita stessa aveva riavvolto il nastro della loro storia, li aveva riportati indietro nel tempo, a desiderarsi di nuovo e di più.

Si raccontarono le loro storie passate ed entrambi si stupirono – felicemente- di apprendere che nella vita dell’altro in quel momento non ci fosse nessuno.

Engin le raccontò dell’amicizia speciale che aveva con la sua assistente Banu, del loro bellissimo rapporto, del suo amore impossibile per İsmail e della sua saggezza nonostante la giovane età. Le confessò che era stata lei, a mandare quel messaggio, spingendolo a fare una cosa che non aveva il coraggio di fare.

«Perché?», chiese Bianca.
«Sentivo di non averne il diritto. Hai la tua felicità, la tua relazione…», fu la risposta di Engin
Bianca, allora, gli raccontò di Hasan.

Entrambi tirarono un silenzioso sospiro di sollievo, erano dunque liberi di amarsi?

Bianca non riusciva a dare un nome alla sensazione che improvvisamente si era impossessata di lei in quel preciso istante: come se avesse corso sotto un acquazzone estivo, come faceva da bambina, quando si bagnava come un pulcino per assaporare la vera libertà. Quell’acqua ora avrebbe lavato via per sempre i suoi dubbi e le sue paure? Sarebbe stata libera di andare incontro a ciò, che in fondo, aveva sempre desiderato? Quel mare in tempesta, che lei adorava guardare mentre le goccioline delle onde infrante sulla roccia si facevano ragione di lei, quel mare d’inverno in burrasca ora non era più la sua vita tormentata, le sue angosce, i fantasmi di una vita spezzata dal destino e della crudeltà di un uomo folle. Quel mare ora era gonfio di speranza.

«Devo confessarti che ero arrabbiato, Bianca», Engin ruppe quel silenzio incantato.
«Con me?»
«Anche».
«Perché?»
«Ero arrabbiato e me ne vergogno, tanto».
«Dimmi perché»
«Ero arrabbiato. Per noi due che non c’eravamo più. Perché non c’eri più tu. E non c’ero più neanche io. Ero arrabbiato per la facilità con cui la vita ci ha spazzati via. Nel giro di una notte noi non c’eravamo più».

«Tu ci sei sempre stato Engin. Noi ci siamo sempre stati».
Engin ascoltava in silenzio.
«Ricordi il piccolo quadro colorato della mia mostra?»
«Quello dell’aquilone? Sì, certo, l’omaggio a tua madre».
«Quel quadro non è solo un omaggio a mia madre. Quel quadro sei anche tu.
Quel quadro, quel piccolo quadro colorato è sempre stato presente in tutte le mie mostre. È il mio talismano, è sempre con me, ovunque viva».

Ci fu un altro momento di silenzio, nessuno dei due parlò per qualche interminabile secondo.

Poi Bianca proseguì con la voce rotta dall’emozione: «Lo ha dipinto mia madre, qualche tempo dopo che siamo tornati in Italia.  Lo dipinse per me, non solo per la storia dell’aquilone che mi ha sempre raccontato da quando ero bambina. Lei aveva capito che in me c’era e ci sarebbe stato per sempre un grande vuoto, che era la tua assenza, la separazione forzata a cui siamo stati condannati io e te. Ma era l’unico disperato modo con cui i miei genitori mi hanno tenuta legata alla vita».

Ci fu ancora un lungo silenzio.

«Sul retro del dipinto ci sono i versi de L’aquilone di Giovanni Pascoli, struggente poesia sul dolore per la morte di un amico d’infanzia. Una poesia intrisa della forza evocativa dei ricordi». 
«…io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole», Engin ricordava la frase che accompagnava il piccolo quadro esposto all’Alan Kadıköy.

«Quelle viole, il profumo delle viole, eri tu Engin, che non saresti mai andato via dalla mia vita, nonostante tutto. Mia madre lo aveva capito, molto prima di me. Non sai quante volte è successo che anche impercettibilmente sentissi un odore che mi riportava a te. Una minuscola particella chimica che attraverso il naso riaccendeva nella mia testa i fotogrammi della nostra storia».

«Bianca…», riuscì a malapena a dire Engin.

«Col passare del tempo le immagini di te e della nostra storia si andavano sfocando, c’è stato un momento in cui non riuscivo più a ricordare nitidamente il tuo viso, a ricordare com’era il timbro della tua bellissima voce, ed ero arrabbiata con me per questo. Ma il tuo profumo, non mi ha mai abbandonata. Ogni tanto faceva capolino nella mia vita e venivo risucchiata da un’onda di nostalgia e di malinconia. E allora ti andavo cercando in qualche poesia».

«Bianca…», Engin non riusciva a pronunciare altro.

«È stata lei, mia madre, che mi ha insegnato ad amare la poesia, sin da piccola. E la poesia ci ha legati in maniera speciale, ricordi? Sei sempre stato con me, Engin».

Engin ora piangeva come un bambino, cercando di soffocare le lacrime.

«Ma non devi vergognarti dei tuoi sentimenti, Engin. Nel mio lungo percorso ho imparato a non soffocare ciò che provavo, qualunque cosa fosse: rabbia, odio, disprezzo, risentimento…ho provato in abbondanza tutto questo. La consapevolezza di ciò che si prova è il primo passo per capire, accettare e poi liberarsene».

Quelle parole furono un balsamo per le ferite che Engin aveva finto negli anni di non avere più.

Dopo aver chiuso la telefonata ripensò alle parole di Bianca, riflettendo su quanto fosse forte quella donna e di quanto fosse stato fortunato a conoscerla vent’anni prima e a ritrovarla vent’anni dopo.
La mia donna, si disse sussurrando Engin.

I giorni scivolarono con una leggerezza a cui entrambi non era più abituati.

«Facciamo un gioco? Mandami una tua foto, io te ne mando una mia», propose una sera Engin.
Lui le inviò un selfie che aveva fatto quel giorno sul set.
Bianca se ne scattò uno per l’occasione: era un primo piano che fece nella penombra della sua stanza da letto. La luce arrivava alle spalle di Bianca, da una delle due finestre che dava sulla strada, all’altezza della spalla destra, mentre l’altra era oscurata dalle tende pesanti, che rendeva metà della stanza quasi buia. Un gioco di ombre e luci che conferì al selfie dignità artistica, pensò sorridendo Bianca prima di mandarglielo.  Mentre lo scattava si concentrò sui suoi occhi, immaginando di trovarsi di fronte a Engin.
Ecco Bianca, se lo avessi di fronte come lo guarderesti? si disse prima di scattare.

Engin dopo aver visto la foto le scrisse di getto:

Il problema di quando mi guardi
non è che mi guardi
se mi guardi così

Se mi guardi così,
ho paura che tu veda
cosa si nasconde dentro l’anima
Ho paura di vedere cosa c’è nella tua
Ho paura di scoprire cosa cela il tuo sguardo
Se mi guardi così.

«Non avere paura. Io non ne ho», rispose Bianca.
«Sei sicura?»
«Si».

Le settimane successive furono molto più intense per Engin, il lavoro sul set era arrivato a un punto nodale, la concentrazione era altissima. Engin se ne era scusato con Bianca.

Anche Bianca, a dire il vero, era piuttosto presa, peraltro doveva prendere una decisione importante. Avrebbe aperto la sua galleria d’arte, ma era indecisa se rimanere a Eskişehir o trasferirsi strategicamente a Istanbul. Di Eskişehir le piaceva tutto, quel clima giovanile, la sua apertura e modernità, il sapore di casa che ormai aveva; Istanbul invece…era semplicemente Istanbul! E soprattutto, non era più la città che le aveva rubato il suo amore. Ora era la città del suo riscatto, della sua rinascita.

Si erano sentiti di meno, in quelle settimane, non riuscirono infatti più a fare le loro lunghe telefonate notturne. Compensavano, però, appena potevano con lunghe e-mail, con le quali andavano conquistando un’intimità sempre più profonda.

Quella mattina, fu Engin il primo a scriverle un messaggio.
Chiese aiuto ai versi di Bukowski:

Sappi che sceglierei te.
Sceglierei te mille volte.
Che fosse per me, sarei già lì ad abbracciarti per tutta la notte.
O tutta la vita.

Bianca, allora, gli rispose con Neruda:

Ti manderò un bacio con il vento e so che lo sentirai.
Ti volterai senza vedermi ma io sarò lì.

Dopo un po’, mentre era ancora persa nei pensieri che il messaggio di Engin le aveva provocato, squillò il telefono. Sperò tanto che fosse lui. Era, invece, Neylan.

Si raccontarono brevemente le loro ultime novità, ma Bianca volle tenere per sé il messaggio che aveva appena ricevuto, come un segreto da custodire gelosamente.

Si salutarono dopo poco, Bianca doveva sbrigarsi, quel giorno aveva un appuntamento con il direttore Kaya a Konya. Si sarebbero incontrati per delle belle novità, così le aveva detto il direttore.

Le aveva dato appuntamento al Tropical Butterfly Garden, «non mi chieda perché, almeno non ora. Venga, capirà», le aveva spiegato misteriosamente il prof. Una frase che aveva incuriosito molto Bianca, che entrò quasi in fibrillazione al solo pensiero di qualche nuovo artista che aveva scovato il direttore o di qualche nuova idea legata alle farfalle. Amava quelle creature, che sanno essere di una bellezza rarissima e aveva sentito parlare del Tropical Butterfly Garden, un’area enorme di 1.600 metri quadrati, con oltre seimila farfalle appartenenti a più specie e ventimila piante tropicali diverse.
Sì, Bianca era decisamente curiosa.

Dopo un’ora era in stazione e dopo qualche minuto era sul treno diretto a Konya. Si sedette al suo posto e non poté fare a meno di pensare al suo incontro con Engin. A quanto tempo era passato. Troppo, anche da quando si erano visti l’ultima volta, all’Alan Kadıköy. Bianca aveva una maledetta voglia di rivederlo, di rincontrarlo, di sentire ancora e ancora il suo profumo, quell’odore di buono, quell’odore unico che negli anni aveva mantenuto vivo quel filo che li legava.
E voleva sentire di nuovo il suo sguardo addosso. Quando gli occhi di Engin le si posavano addosso, Bianca si sentiva la donna più bella al mondo. E la più desiderata.
Aveva quel potere, il suo sguardo.
E mai nessuno era riuscito a guardarla in quello stesso modo.
Aveva con sé, anche quella mattina, la sua inseparabile borsa rossa. Ci aveva messo dentro anche un plaid e un libro, la giornata infatti era calda e soleggiata, il cielo limpido, un sole particolarmente luminoso, neanche un alito di vento, insomma se ci fosse riuscita si sarebbe stesa sul prato da qualche parte a prendere un po’ di sole.
Dopo un po’ si accorse di aver ricevuto un messaggio. Era un vocale di Engin!

Si mise gli auricolari e chiuse gli occhi per godersi la magia della sua voce.



“Per qualche motivo che ignoro mi piaci moltissimo.
Molto, niente di irragionevole, direi quel poco che basta a far si che di notte, da solo, mi svegli e non riuscendo a riaddormentarmi, inizi a sognarti”.

Engin aveva esordito con le parole che Kafka scrisse alla sua Teresa. Poi, dopo un brevissimo silenzio, la voce di Engin si fece ancora più dolce e calda:


Bianca non riesco a trovare le parole giuste per dirti quello che provo, vorrei poterti dedicare tutte le poesie d’amore che esistono già e comporne di nuove per te. Per noi. Per questa strana magia che siamo io e te, quando stiamo insieme.
Accidenti, vorrei poterlo fare di persona, adesso, in qualunque posto tu sia. Dove sei? Perché non sei qui con me? Perché non sei su un treno che ci faccia rincontrare?

Di nuovo una pausa.
Poi, ancora la voce di Engin, ancora più carica di emozione:

Voglio amarti Bianca.
Vorrei riavvolgere il nastro del tempo. Ma non si può. Vorrei tornare indietro nel tempo, a vent’anni fa. Ma non si può. Eppure, qualcuno sostiene che l’amore può tutto.
Non siamo più chi eravamo. Ma siamo sempre noi, io e te. 
Possiamo adesso, domani, per sempre, essere ciò che non siamo stati?
Ti va di riavvolgere il nastro?
Ti va di tornare indietro nel tempo con Bianca ed Engin di oggi?
Con ciò che saremo domani?
Con quello che saremo per sempre?

Bianca rimase in trance per molti minuti. Cercò di simulare indifferenza, le sembrava infatti che tutto il vagone stesse analizzando ogni impercettibile movimento del suo viso, che volesse dare un nome alle emozioni che trasparivano dal suo volto.
Avrebbe voluto scendere e correre da lui in qualunque dannato posto si trovasse!

Allora prese il telefono per chiamarlo. Mentre squillava, in attesa di sentire la sua voce, il cuore le batteva all’impazzata. Cosa gli avrebbe detto?  Non sapeva cosa dirgli, mentre era lì su quel vagone che la portava a Konya e non da lui. Non poteva dirgli ciò che avrebbe voluto, in mezzo a tutta quella gente…
Fu Engin a risolvere l’impasse, non rispondendo al telefono.

Sarà sul set, pensò Bianca, che riappoggiò la testa sul sedile del treno, godendosi ancora e ancora la voce di Engin e le sue parole innamorate.
In questo stato di beatitudine Bianca arrivò a Konya, prima di scendere mandò un messaggio a Engin ricorrendo ai versi di Walt Whitman:

Se tardi a trovarmi, insisti.
Se non ci sono in nessun posto,
cerca in un altro, perché io sono
seduta da qualche parte,
ad aspettare te.

Si ricompose emotivamente e scese dal treno Oggi sarà dura col direttore, dovrò sforzarmi di restare concentrata! pensò Bianca con un sorrisetto sulle labbra.

Prese un taxi e dopo un po’ giunse davanti al Tropical Butterfly Garden.

Si guardò intorno chiedendosi ancora una volta come mai l’appuntamento lì, in quel luogo sostanzialmente creato per i bambini.
Il sole bellissimo, dopo tanti giorni di pioggia ininterrotta, aveva invitato molte persone a uscire e passeggiare. Nei dintorni diversi bambini con le loro mamme passeggiavano e correvano. Qualcuno, più ottimista, aveva portato un aquilone. Ma del vento non c’era traccia. Bianca provò un’infinita tenerezza, ripensando a sua madre.

Prese il cellulare dalla borsa per chiamare il direttore e avvisarlo che era arrivata. Si accorse di avere due messaggi, uno di Neylan e uno del direttore che forse era in ritardo?

Volle leggere prima quello dell’amica: “Ti auguro una fantastica giornata col tuo “direttore”, il messaggio sibillino di Neylan….É tutta matta, pensò Bianca sorridendo.

Senza pensarci più di tanto aprì il messaggio del professore: «Carissima Bianca, perdoni l’impudenza con cui mi sono avventurato oggi. La consideri un brivido di un vecchio sentimentale, quale in fondo sono, che davanti all’amore, seppur con stupore, non ha saputo tirarsi indietro al gioco della complicità a cui sono stato invitato. Si diverta e sia felice, lo merita davvero».

Bianca capì che Neylan e il direttore erano stati complici di qualcuno per farla arrivare proprio lì. E quel qualcuno non poteva che essere Engin.

Chiuse gli occhi per godersi quell’istante di felicità insieme ai raggi caldi di quel bellissimo e inaspettato sole. E in quel momento sentì chiaro il profumo di Engin. Quell’odore di cui tanto aveva avuto nostalgia era lì, vicino a lei. No, non era un’allucinazione questa volta, era certa che Engin fosse lì. Dietro di lei.

La conferma arrivò da due braccia che avvolsero le sue spalle e una voce che le sussurrò nell’orecchio: «Ti ho trovata, Bianca». 

Si voltò e rimasero a guardarsi. Impossibile stabilire con certezza per quanto tempo. Forse davvero l’eternità può durare un solo istante.

Poi si lasciaorno andare in una bellissima risata, come fanno gli amanti quando sono felici!

«Engin, tutto questo è davvero speciale!».
Engin la prese per mano: «Vieni con me»
«Ma come, non entriamo?»
«Sì certo, ma prima ti va se ci godiamo questo bellissimo sole?»

Il sorriso di Bianca fu sufficiente come risposta.

Camminarono mano nella mano. Quante volte lo avevano sognato entrambi?
Fecero una passeggiata fino al Kelebekler Vadisi Çicek Bahçesi, un immenso giardino pieno di fiori, che di lì a poche settimane, come ogni primavera, si sarebbe trasformato in uno spettacolo di colori e profumi.

«Ho una proposta», disse Bianca.
Engin la guardò con fare interrogativo.
Bianca aprì la sua borsa rossa e prese il plaid che aveva portato con sé e glielo fece vedere: «Che ne dici?»

Il sorriso di Engin bastò come risposta.

Stesero la coperta sull’erba, mentre Engin scherzava: «Ah la mia adorata borsa rossa!»
Scoppiarono di nuovo in una grassa risata.

Ora erano tutti e due stesi sulla coperta colorata, con il viso felice, rivolto verso il cielo. Trascorsero lunghi minuti godendosi i raggi di sole e la presenza dell’altro accanto al proprio corpo.

Poi Bianca chiese: «Perché le farfalle?»
Engin si sollevò e si voltò verso Bianca: «Non ti piacciono le farfalle?»
Sì, certo, le trovo bellissime. Ma qualcosa mi dice che potrebbero piacermi ancora di più» disse Bianca stuzzicandolo.
Engin abbozzò un sorriso, poi sfiorandole il viso con le dita, cominciò a parlare:
«Quella che noi chiamiamo farfalla non è solo ciò che vediamo, quell’insetto meraviglioso con le ali dagli incredibili disegni colorati. La farfalla è un animale complesso. E già farfalla quando è un uovo, che poi diventerà il bruco che si attaccherà al suo bozzolo e poi ancora la crisalide che si trasformerà nell’insetto adulto. Per tutta la sua vita, prima di raggiungere lo stadio di massima evoluzione e bellezza, di perfezione delle forme e dei colori, di assoluta armonia con il creato, vive una continua, faticosa, impegnativa, metamorfosi. Ciò che era all’inizio del suo percorso non è ciò che sarà alla fine quando bellissima potrà finalmente volare. La farfalla è come l’amore, è metamorfosi.  È come con la farfalla, tu ti ostini a rincorrerla per acciuffarla, ma scappa via da te. E allora, pazienza se vola via, anche se fa male. Un giorno forse, quando proprio non te lo aspetti, si poserà sulla tua spalla».

Si guardarono in silenzio, poi Engin aggiunse: «Ben tornata nella mia vita, amore mio».
Bianca lo guardò con gli occhi più innamorati che aveva mai avuto.

Una folata di vento fresco, la fece rabbrividire. Si sollevò da terra per cercare il caldo abbraccio di Engin. Ora erano vicini, Bianca lo annusò e inspirò con tutta la forza che aveva per trattenere quel suo odore di buono e di passione.

Lui cominciò a sussurrarle nell’orecchio, languidamente, i versi che le aveva inviato con il vocale la mattina. Bianca chiuse gli occhi per godersi quella voce appena appena bisbigliata e quelle parole d’amore.

Engin con le labbra le sfiorò il lobo e poi la guancia, poi si avvicinò alla sua bocca e finalmente si lasciarono andare in un lungo, bellissimo, interminabile bacio.
Un’altra folata di vento costrinse Bianca ad aprire gli occhi.

In quel momento un aquilone volteggiava nel cielo.
Il vento si era alzato ancora.
Bianca poteva, finalmente, tornare a volare.

❤️️
© Rosaria Bianco

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13 risposte a “Il vento pima o poi si alza/Finale”

  1. Grazie Ros splendido racconto. Io penso proprio che la donna che sarà ( è) al fianco di Engin sia proprio fortunata perchè come Bianca riesce a emozionarla anche solo con le sue parole a distanza figuriamoci con la presenza!!! e poi ho adorato come Bianca lo descrive alla sua amica Engin è maschio è uomo è…..Engin!!!!!

  2. Sentivo che sarebbe stato un bel finale,perché tu, come noi, vuoi il meglio per Engin anche se è solo fantasia… ma è stato un finale ben al di sopra delle mie aspettative: romantico ma allo stesso tempo molto intrigante. Mi ha fatto volare, proprio come Bianca.
    Grazie Ros!!!

  3. Ros le uniche parole che posso dire di questo racconto sono brividi dall’inizio alla fine .Grazie mi hai fatto emozionare tanto un bacio

  4. Uno splendido finale accompagnato da un’altrettanta splendida trama. Mi è piaciuto davvero molto il tuo racconto. Complimenti!

  5. Ross ti dico solo un racconto bellissimo, per un momento leggendo( non ridere) mi hai fatto sentire Bianca tornare indietro nel tempo e sognare ancora una volta Grazie 🙏❤️ Ora se avrai tempo buttati a capofitto in un altro meraviglioso racconto che ci permetta di volare con la fantasia proprio come ci fa fare Engin con i suoi racconti ♥️

  6. Cara Ros, ti ringrazio per il finale che hai scelto per questa storia, ne avevo bisogno, ne abbiamo bisogno di questi tempi. Non era scontato, ma tu hai scelto bene: una bella storia d’amore che coroni la sua vita è quanto tutte ci auguriamo per Engin (magari la sta già vivendo, ma non ci è dato a sapere… ma tant’è…) e per una donna come Bianca, che tu ci hai fatto amare! Ti ringrazio poi per l’accuratezza e la dovizia di particolari con cui hai arricchito il tuo racconto per quel che riguarda i luoghi in cui lo stesso si svolge e per le citazioni dei versi di poeti che tante amiamo. Ti ringrazio particolarmente poi per avere descritto Engin come tutte lo immaginiamo, con quei suoi meravigliosi capelli, quegli occhi neri e profondi che ti scavano dentro e quel profumo che solo con un contatto ravvicinato qualche fortunata creatura può sentire. Alla prossima, cara abla!

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